Il Congresso dei ministri della giustizia a Roma |
Fulvio Scaglione
Per fortuna, ogni tanto c’è un’escalation che non spegne vite ma ne salva. Ecco dunque il voto dell’Assemblea Generale dell’Onu con cui, l’altra notte, 114 Stati su 193 hanno detto 'sì' alla moratoria totale della pena di
L'incontro di Manila |
L’ultimo scatto, da 111 a 114, è stato compiuto con le adesioni di Eritrea, Fiji, Niger e Suriname e il dietrofront della Papua Nuova Guinea. Ma nella conta entra anche il fatto che per la prima volta la Russia, uno dei cinque Paesi che hanno un posto fisso nel Consiglio di Sicurezza, ha aderito alla proposta. Il Cremlino ha sospeso fin dal 1996, per iniziativa di Boris Eltsin, l’applicazione della pena capitale. E forse, oggi, alla Russia può tornar utile porgere al mondo anche una guancia benevola, visto che quella dura è già piuttosto nota.
Resta però che un Paese per tradizione diffidente dei trattati collettivi, e non incline al sentimento, ha deciso di aggregarsi a un movimento che guadagna di anno in anno velocità. Speriamo serva da traino anche a Cina e Stati Uniti, sordastri quando sentono parlare di pena capitale e diritto internazionale.
Se la moratoria totale è ora un esito possibile, parte non piccola del merito spetta all’Italia. È indiscutibile che negli ultimi vent’anni tutti i nostri governi, quale più quale meno, abbiano dato un contributo. In Italia, inoltre, si è sviluppata quella collaborazione tra governo, Ong e associazioni umanitarie (come Sant’Egidio o Nessuno tocchi Caino, esempi che citiamo sapendo di lasciarne fuori altri meritevoli) che è ormai un piccolo ma efficace soft power. Fino alla recente creazione di una task force per promuovere la campagna contro la pena capitale da parte dell’ex ministro degli Esteri Mogherini. Che ora, come commissario alle politiche internazionali della Ue nella fase finale del semestre di presidenza dell’Italia, potrà sfruttare una ribalta ancora più vasta e significativa.
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