Oggi sembriamo tutti o quasi essere avvezzi alla morte e ai suoi corollari. Sembra esserci familiare. Addirittura nelle sale cinematografiche questo traguardo finale che tutti attende è celebrato da film dove sangue, crimini violenti, efferatezze e situazioni macabre si susseguono senza soluzione di continuità.
In passato la morte veniva esorcizzata in vario modo insieme al malocchio. Al Sud come al Nord si mettevano e mettono in scena eventi che la pongono al centro ( o che sono votati,ndr) ad addomesticarla.
Mariantonietta Sorrentino |
La letteratura, poi, non è da meno. Basti pensare all’inossidabile ‘ A Livella di Totò o al dramma arcinoto di Arthur Miller “Morte di un commesso viaggiatore”.
E se nei secoli bui come il Medioevo la precarietà dell'esistenza era ribadita da carestie, guerre, malattie ed epidemie, oggi la morte si affaccia a casa nostra appena azioniamo il telecomando.
La “tanatofobia” sembra accompagnare fedelmente l’uomo del III millennio, così tecnologico, tanto produttivo di novità, iperinformato.
Eppure quest’ultimo e, spesso, inatteso appuntamento noi lo temiamo più che nel passato quando l’ultimo viaggio era accettato come qualcosa di inevitabile ed accompagnato da una bella dose di fatalismo, frammisto a paura e rassegnata compostezza. Il motivo è semplice. Nei nostri antenati albergava una sorta di fiducia mistica nel riconoscimento ultraterreno dei propri meriti.
A questo punto la domanda sorge spontanea: perché temiamo la morte? Perché in 38 Stati al mondo la pena di morte è ancora prevista dal codice penale ??
Nel rapporto di “Nessuno tocchi Caino” si può avere il polso della situazione.
Nel 2014 sono state registrate almeno 3.576 esecuzioni capitali in 22 Paesi. Nei primi sei mesi del 2015 sono state 2.229 in 17 Paesi.
Dalla fondazione di “Nessuno tocchi Caino” ad oggi si possono registrare dati incoraggianti: 64 dei 97 Paesi membri dell'Onu, praticanti la pena di morte, hanno smesso di praticarla.
Susan Sarandon |
La pena è commutata in vario modo, per inciso, ma sempre terribile. Ci ergiamo a Dio tutte le volte che uccidiamo. Un pugno allo stomaco l’ incongruenza degli States, figli di quei Padri Pellegrini della Mayflower che raggiunsero l’America nel 1620. Puritani fino all’ossessione, capaci di crearci un “business” attorno all’ultimo viaggio, ma datori ancora di morte.
Si è perso il conto delle esecuzioni eseguite dall’altra parte dell’Atlantico. Una cifra da capogiro se si pensa che gli Usa han stampigliato nella moneta “In God we trust”. Ma in quale Dio, viene da chiedersi.
Pene che arrivano dopo decenni , spesso, vissuti nel braccio della morte. Forse andrebbe spiegato che la giustizia non è uguale per tutti e che esiste una radicale differenza tra giustizia e vendetta. “Dead Man Walking” del 1995 è stata una delle risposte made in USA. Risposta invero tiepida quella che Hollywood ha saputo dare. Possiamo mai accontentarci? No, assolutamente no.
Sr. Helen Préjean |
Il film ha avuto un soggetto di prim’ordine, l'omonimo romanzo autobiografico di suor Helen Prejean della congregazione delle Suore di San Giuseppe che ha abbracciato la morte ed ha vissuto nell’inferno delle carceri americane.
Chi siamo noi per decidere la morte di un nostro simile ? Siamo custodi, pessimi in verità, di una vita che spesso usiamo male. Eppure ci ergiamo ad un ruolo che non ci attiene: quello di Dio. Amiamo i Paradisi, anche quelli artificiali, ma costruiamo inferni per i nostri simili.