domenica 29 maggio 2016

Giustizia e pace: la pena di morte “è inutile e sbagliata”


Mathias Hariyadi
Jakarta ha annunciato l’esecuzione imminente di 15 detenuti. P. Siswantoko, segretario esecutivo della Commissione, denuncia le lacune del sistema giudiziario, che non garantisce pene ai colpevoli e mette alla sbarra gli innocenti: “La pena capitale non è un deterrente per gli spacciatori di droga. Molti di essi continuano a lavorare da dietro le sbarre”.

 
Jakarta (AsiaNews) – Non c’è “alcun dato valido o informazione che
indichi che la pena di morte abbia ridotto o minimizzato il business della droga in Indonesia”. Secondo p. Siswantoko, segretario esecutivo della Commissione episcopale di giustizia e pace, questo è uno dei motivi per cui la pena capitale va rigettata. La Chiesa
indonesiana è tornata ad esprimersi sulle pene estreme in vigore nel Paese contro i trafficanti di droga, dopo che Jakarta ha annunciato che è imminente l’esecuzione di 15 detenuti.

Il sacerdote spiega che la pena di morte non risolverà la piaga dello spaccio di stupefacenti se il sistema giudiziario rimarrà corrotto come è adesso: “Quello che apprendiamo dalla stampa – dice – è che non c’è l’effetto deterrente che le pene dovrebbero avere. Siamo scioccati dall’apprendere che alcuni signori della droga potevano condurre i propri affari anche da dietro le sbarre”.

I dati di Transparency International, aggiornati al 2015, mostrano che l’opinione pubblica indonesiana percepisce il settore pubblico come molto corrotto, classificando il Paese all’88mo posto su 168. Di recente, il segretario generale della Corte suprema di Jakarta è finito al centro di un caso di corruzione: avrebbe favorito alcuni sospettati in cambio di somme di denaro.
La Commissione di giustizia e pace, afferma p. Siswantoko, è attiva da tempo per denunciare le esecuzioni capitali e garantire giustizia agli innocenti che finiscono alla sbarra per “errori” giudiziari. Egli racconta l’episodio di Christian, un commerciante di grano che nel
2008 è stato condannato a morte per spaccio di droga. Per la Commissione, che ha fornito 11 avvocati che lavorano pro bono per Christian, l’uomo è vittima di uno scambio di persona ed è stato scelto come capro espiatorio dalla polizia.

La pena capitale va annullata, afferma il sacerdote, “perché il sistema legale in Indonesia è marcio. Non ci sono garanzie che gli imputati siano le persone che davvero dovrebbero essere condannate, perché il sistema legale e burocratico è una catena di corruzione”.
Pochi giorni fa sul tema è intervenuto anche mons. Ignatius Suharyo, presidente della Conferenza episcopale (Kwi). Nel corso di un seminario all’università cattolica Atma Jaya di Yogyakarta, egli ha ribadito la posizione della Chiesa, che “rigetta con fermezza” la pena di morte e difende la vita dal suo concepimento alla morte naturale.
L’Indonesia ha una delle leggi anti-droga più severe al mondo, per combattere quella che il presidente Joko Widodo ha definito “un’emergenza nazionale”. Dal 1979 al 2015, sono state portate a termine 66 esecuzioni capitali.

venerdì 27 maggio 2016

IRAN - Narcotraffico. Sei giustiziati. Ma la soluzione è nella riabilitazione

da droghe.aduc.it

Diciassette detenuti sono stati giustiziati tra ieri e oggi in due differenti carceri di Karaj, città a ovest di Teheran. Lo ha denunciato Iran Human Rights (Ihr), un'ong che si batte contro la pena di morte nella Repubblica islamica, citando fonti locali. 

Recentemente l'Iran sta aprendo gli occhi sul un grave problema della tossicodipendenza, anche femminile. Le ultime statistiche rivelano che dei 76 milioni di abitanti del Paese, tre milioni fanno regolarmente uso di sostanze stupefacenti. Tra questi anche 700mila donne, il doppio rispetto ad appena due anni fa.

Molte delle ospiti sono finite nel tunnel della droga seguendo il proprio coniuge o fidanzato. Tra queste c'è Nahid, una giovane di 27 anni che ha iniziato a fare uso di sostanze con il marito subito dopo il matrimonio, avvenuto quando aveva appena 19 anni. Nahid ora dichiara  - Il mio più grande sogno è quello di essere in buona salute, buttarmi tutto alle spalle e ricostruire una buona vita per me stessa". Poi c'è Sepideh, 33 anni, che ha iniziato a fare uso di sostanze quando ne aveva 20. È stata ricoverata nel centro di Massoumeh a metà aprile, quando il suo datore di lavoro, dopo aver scoperto il suo problema, l'ha licenziata. È speranzosa, dopo diversi tentativi falliti per liberarsi dei cristalli di metanfetamine, stavolta sente che ce la farà.

Questa emergenza che ha portato alla nascita di diversi centri di recupero, anche nella periferia di Teheran, cosa impensabile fino a poco tempo fa, segno che il fenomeno è diffuso e fortemente sentito. Il paese sta facendo il possibile per combattere , anche con forti campagne di sensibilizzazione o chiedendo aiuto alle organizzazioni non governative, ma permane l'idea che la soluzione migliore sarebbe la pena capitale. 

"Voglio che i miei genitori siano orgogliosi di me. Loro mi hanno abbandonato" ha confessato Sepideh. "Senza il sostegno sociale, della comunità e della famiglia - ammette sconfortata Massoumeh - non possiamo pensare che la dipendenza vada via". In sostanza, è necessario un cambiamento intrinseco su come l'opinione pubblica percepisce e vede la tossicodipendenza femminile, altrimenti la maggior parte di queste ragazze sarà comunque condannata a morte. 

Secondo l'organizzazione, sei prigionieri sono stati impiccati ieri mattina nella prigione Gehzelhesar. Erano tutti accusati di narcotraffico. Altri 11 detenuti sono stati giustiziati stamane nel carcere Rajaishahr. Dieci di loro erano stati condannati per omicidio e uno per stupro. Tra gli 11, secondo Ihr, figurerebbe anche un giovane che era minorenne quando gli è stata inflitta la condanna a morte. "Malgrado il ritmo allarmante delle esecuzioni (in Iran, ndr), la comunità internazionale non ha ancora mostrato alcuna reazione. Invitiamo l'Onu, l'Ue e tutti i Paesi che hanno relazioni diplomatiche con l'Iran a condannare queste esecuzioni e a chiedere un'immediata moratoria sulla pena di morte in Iran", ha commentato il fondatore e portavoce di Ihr, Mahmood Amiry-Moghaddam.  


Divieto di esportare i farmaci che uccidono. No alla pena di morte

da swissinfo.ch/

Di Luigi Jorio

Il colosso farmaceutico americano Pfizer ha annunciato che non fornirà più i farmaci utilizzati per le iniezioni letali negli Stati Uniti. In Svizzera, una nuova legge introduce il divieto di esportare medicamenti che possono servire per giustiziare dei prigionieri. Una misura davvero efficace? La morale ha vinto sul profitto. È quanto si potrebbe dedurre in prima analisi dalla decisione dell’azienda farmaceutica Pfizer, che il 13 maggio ha annunciato l’introduzione di severi controlli sulla distribuzione dei suoi farmaci. Il motivo: fare in modo che non vengano più utilizzati nei bracci della morte degli Stati Uniti.«Pfizer fa prodotti per migliorare e salvare la vita dei pazienti ed è fortemente contraria all’impiego dei suoi farmaci per confezionare iniezioni letali usate per le esecuzioni capitali», ha comunicato l’azienda.Negli ultimi cinque anni, una ventina di ditte farmaceutiche americane ed europee hanno adottato misure simili. Anche le svizzere Novartis e Roche, che in passato hanno prodotto analgesici e tranquillanti utilizzati nei cocktail letali, si sono unite al movimento contro la pena di morte vietando la distribuzione nei 32 Stati americani che ancora giustiziano i prigionieri, rammenta il quotidiano svizzero Tages-Anzeiger.
Nel 2015, tutte le esecuzioni capitali negli Stati Uniti (in totale 28) sono state eseguite tramite iniezioni letali, indica Amnesty International. L’anno scorso, le persone giustiziate nel mondo sono state almeno 1'634, un terzo in più rispetto al 2014, secondo l’organizzazione.
La legge svizzera vieta l’esportazione di medicamenti che sono proibiti nel paese di destinazione o che possono essere destinati a scopi illeciti. Ma siccome la pena di morte è di fatto legale in alcuni Stati, non vi è per ora alcuna base legale che vieta l’esportazione di tali farmaci.Una situazione però destinata a cambiare. Nel marzo 2016, il parlamento ha accolto una nuova disposizione legislativa del governo, che allinea la Svizzera alle disposizioni già in vigore nell’Unione europea. Il testo, frutto di una mozione della deputata popolare democratica Barbara Schmid-Federer, stabilisce che «l’esportazione o il commercio all’estero di medicamenti è vietato se vi è motivo di ritenere che servano a giustiziare esseri umani».Poiché i medicamenti interessati, ad esempio i barbiturici, possono essere utilizzati anche per scopi medici legittimi, l’istituto svizzero per gli agenti terapeutici Swissmedic sarà tenuto a verificare, al momento del rilascio di un’autorizzazione di esportazione, se le sostanze saranno impiegate per l’esecuzione di esseri umani.La nuova Legge federale sui medicamenti e i dispositivi medici non dovrebbe entrare in vigore prima della primavera 2017, secondo le informazioni dell’Ufficio federale di sanità pubblica. Seppur soddisfatta, Barbara Schmid-Federer ha però fatto notare che la regolamentazione «non risolve tuti i problemi». Non si può infatti escludere che i farmaci giungano in America, o in altri paesi, tramite intermediari.Nel 2011, l’unità di Novartis Sandoz ha fornito del tiopentale (un baribiturico) agli Stati Uniti via un intermediario. Lo stesso anno, la casa farmaceutica Naari di Basilea ha fornito il medesimo farmaco tramite un intermediario indiano. Entrambe le aziende hanno ripudiato l’uso del loro prodotto come farmaco letale.

martedì 24 maggio 2016

Indonesia: Sant'Egidio annuncia che Chiesa e società civile chiedono di fermare le esecuzioni capitali

Le croci preparate per i detenuti che verranno giustiziati

da radiovaticana.va/

Un appello urgente e una campagna per fermare le nuove esecuzioni capitali pianificate dal governo indonesiano e annunciate come imminenti: è quanto stanno preparando, come riferisce l'agenzia Fides, organizzazioni cattoliche e gruppi della società civile indonesiana. 

Secondo le informazioni diffuse dalla polizia indonesiana, sono 15 i detenuti nel braccio della morte del carcere sull'isola di Nusakambangan, di fronte alla città di Cilacap (Giava Centrale), pronti a essere giustiziati. Si tratta di persone di diverse nazionalità: quattro cinesi, due dello Zimbabwe, due nigeriani, un senegalese, un pakistano e cinque indonesiani, tutti condannati a morte per reati di detenzione e spaccio di droga.

La Chiesa si mobilita contro le esecuzioni capitaliLa Chiesa indonesiana, che più volte ha disapprovato pubblicamente il ricorso alla pena capitale, si è attivata: si terrà giovedì 26 maggio a Giacarta un summit di emergenza cui partecipano la Commissione "Giustizia e pace" della Conferenza episcopale indonesiana, la Comunità di Sant'Egidio-Indonesia e alcune tra le maggiori associazioni indonesiane impegnate in difesa dei diritti umani come Kontras, Imparsial, Elsam, Lbh Masyarakat.La pena capitale è contraria alla dignità e al diritto alla vita di ogni personaMons. Ignazio Suharyo, arcivescovo di Jakarta e presidente dell'episcopato indonesiano, ha partecipato al seminario da titolo "La pena di morte ina una nazione democratica", organizzato il 18 maggio dall'università cattolica Atma Jaya a Giacarta. In vista delle nuove esecuzioni, l'arcivescovo ha ribadito a posizione della Chiesa, contraria alla pena di morte in nome della dignità e del diritto alla vita di ogni persona. "Le leggi non sono perfette e i giudici possono commettere errori. Quando si pensa che le leggi sono perfette, è l'inizio di ingiustizia", ha detto mons. Suharyo. 

Una Campagna di coscientizzazione della cittadinanza per fermare le esecuzioni.

Come riferisce una nota inviata a Fides, il leader della Comunità di Sant'Egidio-Indonesia, Teguh Budiono, che coordinerà l'incontro del 26 maggio, ha ringraziato l'arcivescovo, confermando che la Chiesa e la società civile chiederanno una campagna di coscientizzazione della cittadinanza, per fermare le esecuzioni. 

Giacarta è tra le 15 città indonesiane dove negli anni scorsi si è tenuta la manifestazione "Città per la vita, città contro la pena di morte", organizzata da Sant'Egidio in oltre duemila comuni nei cinque continenti. Nel 2015 il governo indonesiano, nonostante le pressioni internazionali contrarie, ha giustiziato 14 detenuti condannati a morte per reati droga. (P.A.)

Stati Uniti. Razzismo dei giudici: annullata una condanna a morte

La Corte Suprema salva l'afroamericano Timothy Foster, dopo 29 anni dalla sentenza. 

I 12 giudici che lo avevano condannato erano tutti bianchi. Assolto l'agente coinvolto nella morte di Freddie Gray. 

La sentenza di condanna a morte annullata per razzismo nella scelta dei giudici e un'assoluzione per l'agente di polizia coinvolto nella morte dell'afroamericano Freddie Gray.

Dagli Stati Uniti arrivano due notizie contraddittorie, destinate ad alimentare il dibattito sulla questione razziale e sulla violenza contro i neri da parte delle forze dell'ordine.


TIMORE DI NUOVI DISORDINI A BALTIMORA. 

Se infatti la Corte suprema ha salvato dall'iniezione letale Timothy Foster, condannato in Georgia alla pena capitale nel 1987 con l'accusa di aver ucciso un'anziana donna bianca, l'agente Edward Nero è stato assolto da tutti i capi d'accusa: violenza premeditata, eccesso nell'uso della forza e cattiva condotta in servizio. Ad aprile 2015 Nero, insieme ad altri cinque agenti, fermò Freddie Gray perché il giovane avrebbe avuto con sé un coltello a serramanico giudicato illegale dagli agenti stessi. Il ragazzo, trasportato in un furgone della polizia, ne era uscito in coma riportando un gravissimo trauma alla spina dorsale. L'assoluzione di Nero, adesso, fa temere che possano riesplodere i disordini di piazza avvenuti a Baltimora e in altre città degli Stati Uniti dopo la sua morte.

QUELLE 'B' PER SEGNALARE I GIUDICI DA ESCLUDERE. 

Timothy Foster, invece, deve dire grazie al suo avvocato, Stephen Bright. Bright è infatti riuscito a dimostrare che la giuria che lo condannò 29 anni fa, composta da 12 bianchi, fu selezionata con criteri razzisti. La Corte suprema ha accolto la tesi di Bright quasi all'unanimità, per 7 voti contro 1. Le regole introdotte nel sistema americano per prevenire la discriminazione razziale nella selezione dei giudici risalgono al 1986 ma nel caso Foster, secondo la Corte suprema, il tribunale non fece nulla per applicarle, consentendo che la giuria fosse formata esclusivamente da bianchi.

NUOVO PROCESSO A 29 ANNI DAI FATTI. 

La decisione della Corte suprema porterà a un nuovo processo a carico di Foster, che potrebbe anche ribaltare il verdetto iniziale e condurre definitivamente alla sua assoluzione. L'avvocato di Foster ha dimostrato che il tribunale della Georgia escluse dalla lista dei potenziali giudici sei persone. Cinque di loro erano afroamericani. La sesta era una donna bianca, che aveva dichiarato che non avrebbe mai dato il suo assenso alla pena di morte. I nomi degli esclusi, nei documenti del tribunale, sono marcati con una lettera B: l'iniziale eloquente della parola 'black', neri.

lunedì 23 maggio 2016

Bielorussia:Makei,su pena morte e diritti umani serve tempo

(di Cristiana Missori) (ANSA) 

ROMA - Relazioni bilaterali, sviluppo delle relazioni economiche, rapporti con l'Ue, pena di morte e diritti umani. ''I colloqui tra i presidenti Aleksander Lukashenko e Sergio Mattarella sono stati molto intensi e franchi''. A dirlo, è il ministro degli Esteri bielorusso, Vladimir Makei, giunto in Italia insieme al presidente Lukashenko, che oggi incontra papa Francesco. Tante le questioni affrontate con Roma, spiega il ministro. A cominciare dai rapporti con l'Unione europea.

''L'Italia - sostiene - ha sempre avuto un rapporto molto pragmatico e costruttivo, anche nei momenti più difficili delle nostre relazioni con l'Unione europea''. A pesare, dopo la fine delle sanzioni nei confronti di Minsk, sono soprattutto i temi dei diritti umani e la pena di morte. Una questione, riferisce Makei, affrontata dallo stesso Mattarella, dopo le critiche giunte dall'Ue in seguito alla recente condanna a morte emessa da un tribunale bielorusso. ''Presto o tardi - sostiene - le cose nel Paese cambieranno, ma non è possibile non tenere conto della volontà dei cittadini bielorussi che con il referendum dello scorso anno si sono espressi per l'80% a favore del mantenimento della pena capitale''. Quel che è certo, garantisce, ''è che non vogliamo rimanere al di fuori del sistema di valori dell'Ue. I nodi però restano il rispetto dei diritti umani e le riforme democratiche. ''Non si può dormire per anni su di un letto di totalitarismo - rimarca - e svegliarsi democratici. Vogliamo essere un partner politico affidabile per l'Europa. Il cambio di passo, però, deve avvenire gradualmente e senza rivoluzioni, come è accaduto nei Paesi vicini''. Dai diritti umani all'economia. La fine delle sanzioni imposte da Bruxelles ''sicuramente miglioreranno l'interscambio con l'Ue, che è nostro secondo partner commerciale, ma dire che in così pochi mesi ci sia stata una svolta non è possibile''.

''Il nostro obiettivo è accrescere gli scambi con i Paesi europei e istituire relazioni dirette con le istituzioni finanziarie quali Bers e Bei''. L'Italia, ricorda, è il nostro ottavo partner commerciale e vogliamo accrescere gli scambi, oggi fermi a quota 2 miliardi di dollari. Negli ultimi anni infatti l'interscambio tra Roma e Minsk ha registrato un calo.

Le aziende miste italo-bielorusse, rimarca, sono oggi 204. ''Un buon risultato''. Con il presidente Mattarella ''abbiamo concordato la necessità di istituire in futuro un Consiglio economico italo-bielorusso per sviluppare le relazioni economiche e per risolvere gli eventuali problemi''. C'è poi la questione del distretto industriale nella regione di Brest, istituito dal 2010 sotto il governo Berlusconi e mai ancora diventato operativo. ''Per ora sono soltanto 3 le aziende impiantatesi''. La Bielorussia dell'era Lukashenko guarda a Ovest come a Est, mantenendo rapporti stretti con Mosca, politici, economici - con l'Unione euroasiatica - e militari, ma anche oltre, verso la Cina e all'estremo oriente. ''Il nostro intento è rimanere indipendenti''. (ANSA).

sabato 21 maggio 2016

L'esecuzione di Kho Jabing ha avuto luogo

Petaling Jaya: 

Dopo una lunga battaglia che ha visto alternarsi la speranza e la disperazione fino all'ultimo minuto, Sarawakian Kho Jabing, di 31 anni, è stato impiccato a Singapore venerdì scorso.


La sua condanna è stata eseguita alle ore 3:30 ora locale presso la prigione di Changi, prima Kho ha potuto incontrare la sua famiglia per l'ultima volta, lo ha dichiarato Rachel Zeng attivista contro la pena di morte a Singapore. 

L'esecuzione è avvenuta nonostante le richieste da familiari e gli appelli lanciati dalle organizzazioni internazionali di risparmiare la sua  vita commutando la pena. 

L'esecuzione Jabing Kho, 31, ha avuto luogo questo pomeriggio nella prigione Changi per impiccagione, così hanno annunciato i media locali, dopo che anche l'ultimo ricorso è stato rigettato e dopo che è stato respinto anche un tentativo dell'ultima ora per rimandare l'esecuzione.

Diverse organizzazioni per i diritti umani hanno fatto appello alla giustizia arrivando fino al presidente di Singapore. 

Un tribunale di Singapore aveva condannato a morte Kho  per impiccagione il 30 luglio del 2010, ma la sentenza fu commutata grazie a una revisione del codice penale.  Tuttavia, la Corte d'Appello ha ripristinato la pena di capitale nel 2015.

Singapore è stata una colonia britannica, la città-stato tra il 1994 e il 1999 ha avuto il più alto tasso pro-capite di esecuzioni nel mondo: secondo le stime delle Nazioni Unite in questo periodo ci sono state 13,57 esecuzioni ogni centomila abitanti. Nel 1994 ci sono state 76 esecuzioni e 73 nel 1995, tra cui numerosi stranieri, in seguito si è verificata una diminuzione del numero di esecuzioni.

venerdì 20 maggio 2016

Ancora una condanna a morte in Bielorussia

Siarhei Vostrykau

La sentenza di  Siarhei Vostrykau non è ancora entrata in vigore, c'è ancora spazio per l'appello.

Il Tribunale regionale di Gomel  ieri ha condannato a morte Siarhei Vostrykau, con l'accusa di aver violentato e ucciso due donne.


L'udienza si è svolta a porte chiuse a causa di considerazioni etiche.

Siarhei Vostrykau è stato anche riconosciuto colpevole di sequestro e furto. La pena di morte non è ancora entrata in vigore e può ancora essere presentato ricorso.

Siarhei Vostrykau ha una moglie e un figlio minorenne.

mercoledì 18 maggio 2016

Filippine: no dei vescovi a ripristino della pena di morte

da Radio Vaticana

 Alcuni vescovi filippini hanno preso posizione contro l’annuncio del neoeletto Presidente Rodrigo Duterte di voler ripristinare la pena di morte nel Paese dal 30 giugno prossimo, giorno in cui entrerà ufficialmente in carica. “Solo Dio può avere potere sulla vita. Dio dà la vita e Dio la toglie, nessuno dovrebbe mettersi al posto suo”, ha affermato mons. Ruperto Santos, vescovo di Balanga e presidente della Commissione episcopale per la cura pastorale dei migranti e degli itineranti.

Dal 2011 in vigore una moratoria della pena di morte nelle FilippineDuterte è chiamato nelle Filippine “il giustiziere” per aver combattuto la criminalità quando era sindaco di Davao attraverso l’uso di forze speciali. Secondo mons. Santos, il presidente Duterte “anziché ripristinare la pensa capitale dovrebbe riformare le prigioni e il sistema della giustizia”. Mons. Ramon Arguelles, arcivescovo di Lipa, ha addirittura affermato “che è disposto a farsi uccidere al posto di coloro che il Governo vuole condannare alla pena di morte”, riferisce l’agenzia cattolica Ucanews ripresa dall’agenzia Sir. Le Filippine hanno introdotto una moratoria della pena di morte nel 2011 e commutato in ergastolo le sentenze di morte di 1.230 condannati alla pena capitale. (L.Z.)



martedì 17 maggio 2016

Appello urgente per fermare l'esecuzione del giovane Kho Jabing a Singapore

Ci uniamo all'appello lanciato dalle associazioni impegnate per la salvezza di Kho Jabing condannato a morte a Singapore.

L'esecuzione di questo giovane sembra imminente, nonostante le forti preoccupazioni per lo sviluppo del suo caso. 

Crediamo ci siano fondati motivi per concedere la clemenza. Per questo ci appelliamo al presidente Tony Tan della Repubblica di Singapore.

La famiglia del Sarawakian Kho Jabing, che ha 31 anni, ha ricevuto una lettera dal Prison Service Singapore il 12 Maggio 2016 per informarli che la sua esecuzione era stata fissata per il 20 maggio, 2016. 
Kho Jabing è stato condannato per omicidio nel 2011.

La famiglia di Kho Jabing 
L'annuncio è arrivato come uno shock per la famiglia e tutti i soggetti coinvolti nella campagna per Kho Jabing.  Il suo avvocato aveva mandato al presidente Tony Tan una lettera per informarli della sua intenzione di presentare una nuova petizione di clemenza, ed era stato in fase di stesura, quando l'esecuzione è stata fissata.

Sappiamo che il presidente aveva deciso di respingere la precedente istanza di clemenza. Non è chiaro se prenderà in considerazione la nuova petizione di clemenza una volta che è archiviato.

Chiediamo dunque al presidente Tony Tan di concedere la grazia a Kho Jabing senza indugio e ristabilire una moratoria sulle esecuzioni come primo passo verso l'abolizione della pena di morte.

La pena di morte è una punizione irreversibile. Una vita, una volta persa, non può essere restituito. 

Esortiamo il presidente di concedere la grazia a Kho Jabing, e commutare la condanna a morte in ergastolo.

http://nodeathpenalty.santegidio.UrgentAppeal
http://www.amnestyusa.org/get-involved/take-action-now/singapore-halt-kho-jabing-s-execution-ua-10315

Marazziti: presentazione del 6° Congresso mondiale contro la pena di morte


Il Congresso di Ginevra nel 2010
17/05/2016 
Audio Player

Presentazione del Congresso mondiale contro la pena di morte che si terrà ad Oslo dal 21 al 23 giugno.

Ascolta la trasmissione di RadioRadicale dedicata alle battaglie contro la pena capitale.   

http://www.spaziotransnazionale.it/2016/05/4446/



Cities For Life
Si tratta del 6° Congresso mondiale contro la pena di morte.

Saranno presenti 1500 persone, da oltre 80 paesi, tra i quali 138 associazioni aderenti alla World Coalition Against the Death Penalty. Ministri, avvocati, premi nobel, ex condannati riconosciuti innocenti, artisti.


Rappresentanti di associazioni
da Repubbliche asiatiche





Sono intervenuti: Benedetto della Vedova (Sottosegretario agli Affari Esteri e alla Cooperazione Internazionale), Sergio D’Elia (Segretario dell’Associazione Nessuno Tocchi Caino), Mario Marazziti (Presidente della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati) e Antonio Stango (Presidente del Comitato Italiano Helsinki per i diritti umani e Coordinatore del 6° Congresso mondiale contro la pena di morte).



Ha condotto la trasmissione Francesco De Leo


lunedì 16 maggio 2016

Filippine: il neo presidente vuole reintrodurre la pena morte per impiccagione

La pena capitale nelle Filippine era stata abolita nel 2006 dalla presidente Arroyo dopo un incontro con papa benedetto. L'ex presidente delle Filippine Gloria Arroyo firmò una legge che cancellava la pena capitale nel 2006, poco prima di una visita in Vaticano per un'udienza con Papa Benedetto XVI.

Il neo presidente filippino Rodrigo Duterte ha annunciato che chiederà al Congresso di reintrodurre la pena di morte per impiccagione e autorizzerà la polizia a "sparare per uccidere" gli appartenenti al crimine organizzato e a chiunque resista con la forza all'arresto. 

Prima di divenire presidente Duterte era stato sindaco di Davao del sud del paese. Sotto il suo mandato la polizia locale aveva facoltà di uccidere i criminali. In quel tempo, la gente del posto lo aveva soprannominato "The Punisher" e Human Rights Watch etichettò la polizia locale "squadroni della morte sindaco."

Durante la campagna elettorale, ha fatto una serie di dichiarazioni sconcertanti, tra cui la promessa di uccidere tutti i trafficanti di droga e di scaricare i loro corpi nella baia di Manila.


domenica 15 maggio 2016

Preoccupazione nel cuore dell'Europa, non si fermano le esecuzioni in Bielorussia

La Bielorussia come sappiamo è l'unico paese europeo che ancora ricorre alla pena capitale. Il nostro amico a Minsk Andrej Poludadel Centro per la Difesa dei Diritti Umani “Vjasna” (nella foto insieme a Tamara Chikunova dell'Associazione Uzbeka "madri contro la pena di morte") ci informa che purtroppo Sergej Ivanov, condannato a morte un anno fa per omicidio, è stato ucciso a Minsk presumibilmente il 18 aprile scorso. 

Le esecuzioni in Bielorussia avvengono nel segreto, senza alcun preannuncio. Andrej è venuto a saperlo da Sergej Chmelevskij, compagno di cella di Ivanov, anch'egli drammaticamente in attesa dell'esecuzione.La notizia è stata in seguito confermata dai familiari del detenuto, i quali della soppressione del loro congiunto sono stati avvisati solo due settimane dopo.

Ora nel braccio della morte di Valadarka, in attesa di venire uccisi dallo stato, sono in tre: oltre allo stesso Chmelevskij rimangono Gennadij Jakovickij e Ivan Kules.

Chiediamo al Presidente Lukashenka di fermare le eventuali esecuzioni programmate e di commutare la sentenza capitale nei confronti di tutti i condannati a morte in Bielorussia.


PAPA FRANCESCO: UNIONE CHIESA E PFIZER FARMACEUTICA VINCENTE CONTRO LA PENA CAPITALE

Da it.blastingnews.com

Dopo l'accorato discorso di Papa Francesco l'azienda farmaceutica Pfizer si unisce a lui contro la pena capitale

Un giorno memorabile quello di oggi in cui viene dato un comunicato importante sulla pena capitale; un discorso che anche Papa Francesco ha più volte commentato nel suo ultimo viaggio in America davanti al Congresso e nelle sue encicliche, dove non ha mai nascosto la sua posizione e quella della chiesa, sul tema
immorale della pena di morte considerata "inammissibile per quanto grande possa essere il delitto compiuto dal condannato". Questo 'tema' increscioso è stato affrontato infinite volte e portò la nascita, nel maggio 2002 a Roma, di una coalizione mondiale facente parte di più organizzazioni; unitesi in favore dei diritti umani nella speranza di eliminare la crudele piaga della pena di morte.

Di queste associazioni fanno parte Amnesty International, la Comunità di Sant'Egidio, Madri contro la pena di morte e la tortura, Penal Reform International, Fédération Internationale de l'Action des Chrétiens pour l'Abolition de la Torture, Fédération International des Droits de L'Homme, il comune di Matera, di Reggio Emilia, di Venezia, la Regione Toscana, il Comitato Paul Rougeau e Coalizione italiana contro la pena di morte. A queste si aggiungono le associazioni Journey of Hope (USA) e Forum 90 (Giappone), attiviste in quei Paesi dove la pena capitale non è ancora stata abolita.

sabato 14 maggio 2016

Pena di morte, Pfizer blocca l’uso dei suoi farmaci per le iniezioni letali negli Usa

Il colosso farmaceutico si unisce ad altre 20 aziende che hanno già adottato restrizioni sui medicinali

da La Stampa
14/05/2016

Svolta Pfizer. Il colosso farmaceutico blocca l’uso dei propri medicinali per le iniezioni letali usate per la pena di morte. Anche se già 20 case farmaceutiche europee e americane hanno già annunciato iniziative simile, la decisione Pfizer - riporta il New York Times - è considerata una pietra miliare. Pfizer è infatti un colosso mondiale, in grado di dettare la strada per il settore. 

Imponendo controlli più stringenti nella distribuzione dei suoi farmaci, la società americana punta a far che nessuno dei prodotti sia usato nelle iniezioni letali. Negli ultimi anni per evitare di essere associate con la pena di morte, molte case farmaceutiche hanno vietato la vendita dei loro prodotti ai penitenziari. Esperimenti con nuovi farmaci, una serie di esecuzioni mal riuscite e sforzi segreti per ottenere componenti chimici letali hanno spinto in tribunale diversi stati. I legali dei condannati a morte hanno aumentato la pressione sulle autorità statali, premendo per una maggiore trasparenza su come i farmaci letali sono ottenuti. 

«Con l’annuncio di Pfizer, gli stati che prevedono la pena di morte devono andare sottobanco se vogliono ottenere medicinali per le iniezioni letali» afferma Maya Foa, dell’associazione per la difesa dei diritti umani Reprieve. Da tempo alcuni stati americani hanno cercato di importare medicinali non approvati dalla Federal Drug Administration dall’estero, ma i loro tentativi si sono infranti negli agenti federali che li hanno bloccati e sequestrati. La mancanza di farmaci letali nei penitenziari ha quindi costretto molti stati a sospendere le esecuzioni a morte per mesi se non più a lungo. Nel 2015 si è assistito a un crollo del numero delle esecuzioni e delle condanne, scese negli Stati Uniti a livelli non visti da quaranta anni. E proprio la mancanza di medicinali è uno dei fattori che ha favorito il calo. 

Sul tema della pena di morte si è espresso Papa Francesco nel suo viaggio negli Stati Uniti, lanciando un appello direttamente al Congresso. Un appello accolto nel gelo dai parlamentari e dai senatori americani. Il tema è stato anche al centro di uno scontro fra i due candidati democratici alla Casa Bianca, Hillary Clinton e Bernie Sanders. L’ex segretario di stato ritiene che andrebbe limitata e non abolita, mentre Sanders è per una sua totale abolizione.  


venerdì 13 maggio 2016

Usa, la Corte Suprema ferma esecuzione di un disabile in Alabama

C'era bisogno di diventare invalido per fermare l'esecuzione? E' accaduto in Alabama.

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha fermato l'esecuzione  di un uomo affetto da demenza dopo aver subito vari ictus, confermando così la decisione di una Corte d'Appello che ha fermato il boia solo poche ore prima dell'iniezione letale.


Vernon Madison oggi ha 65 anni. In carcere l'uomo è stato colpito più volte da ictus, in conseguenza di ciò non riesce più a camminare. Gli ictus subiti inoltre avrebbero ridotto il suo quoziente intellettivo, che sarebbe ridotto a 72 e lo renderebbero incapace di comprendere il significato della sua condanna capitale o del delitto da lui commesso oltre 30 anni fa. 

Per queste ragioni la Corte Suprema ha fermato la sua esecuzione in Alabama. L’esecuzione di Madison era prevista alle 6 di mattina locali ed è stata bloccata poco prima della mezzanotte da una Corte d’appello. La procura dell’Alabama si è allora rivolta alla Corte Suprema, perché confermasse l’esecuzione. L’Alta corte si è spaccata in due sulla decisione – quattro giudici contro quattro – ma ha confermato la sospensione in attesa che si esamini il caso, sollevato dall’ong Equal Justice Initiative. 

Da almeno dieci anni la Corte Suprema Usa ha vietato l'esecuzione per i disabili mentali, affermando che il condannato deve possedere “capacità di comprensione razionale” della sua situazione, demandando tuttavia a tribunali di istanza inferiore di esaminare caso per caso.

Una buona notizia, mentre aspettiamo che passo dopo passo gli Stati Uniti d'America aboliscano in toto la pena capitale. 

Bangladesh: impiccato leader islamico in Bangladesh

Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha condannato l'impiccagione del leader del partito politico bengalese Jamaat-e-Islami (JI), Motiur Rahman Nizami. 

Il leader dell'Associazione Islamica aveva 73 anni.

L'episodio mette seriamente a rischio il già precario equilibrio nelle relazioni diplomatiche con l'acerrimo nemico: il Pakistan.L'attuale segretario generale delle Nazioni Unite Ban-ki-Moon. L'attuale segretario generale delle Nazioni Unite Ban-ki-Moon. 

Il portavoce del segretario generale ha dichiarato, nel corso di una conferenza stampa, che il capo dell'ONU è contro la pena di morte in ogni circostanza, allineandosi  al giudizio globale sull'esecuzione capitale: "Esprimiamo tutta la nostra preoccupazione e il nostro biasimo per come il Bangladesh ha gestito questo caso.

L'impiccagione del 73enne Bengalese Jamaat-e-Islami è stata, ieri, al centro della discussione durante la 21a sessione dell'Assemblea del Punjab, svoltasi in questi giorni in Pakistan. Due distinte risoluzioni sono state presentate dal Parlamento per condannare l'esecuzione.

Usa, eseguita pena di morte in Missouri dopo grazia respinta

Usa, eseguita pena di morte in Missouri dopo grazia respintaPena capitale eseguita in Missouri, negli Stati Uniti. 

Earl Forest, 66enne accusato di tre omicidi, due persone durante un regolamento di conti tra trafficanti di droga e un vicesceriffo in una successiva sparatoria, è stato messo a morte con iniezione letale. 

Prima dell'esecuzione ha solo rivolto qualche parola rivolta alla figlia che assisteva all'esecuzione. La Corte Suprema aveva respinto una domanda di grazia chiesta per lui dal governatore dello Stato, Jay Nixon.

giovedì 5 maggio 2016

La pena di morte negli Usa non è più un’arma elettorale

da Avvenire del 4/5/2016
di Elena Molinari

In quest’anno verso le presidenziali dire no
alla morte di Stato non è più una posizione
suicida per un candidato:
per la prima volta da quarant’anni,
la maggior parte dei cittadini statunitensi
sono disposti a votare per un presidente
che rifiuti le esecuzioni

Il cubo, non più grande di un bagno pubblico, è interamente di cemento. Sulla parete esterna, a un metro e mezzo di altezza, si apre una piccola finestra con le sbarre, anche è fisicamente impossibile che un adulto possa passarci
attraverso. Nella parte bassa della massiccia porta d’acciaio una fessura permette l’entrata e l’uscita di vassoi di plastica. La cella al momento è vuota, pronta per il prossimo inquilino, e odora di antisettico, dal letto bianco al water di metallo in un angolo. Ma le altre 259 del braccio della morte del carcere texano Allan Polunsky, nei pressi di Livingston, sono costantemente abitate. Di solito, per quasi 23 ore al giorno. Sbirciando all’interno di quelle lasciate libere
durante l’ora d’aria, si vedono mensole ben ordinate, due o tre libri, qualche foglio di carta, una matita. E,  sempre, una radio. «È per annegare i rumori del
carcere», spiega Kristin Houlé, direttore della Texas coalition against the death penalty, che accompagna i rari giornalisti permessi all’interno del braccio della
morte. La prigione, infatti, è un posto rumoroso. Nelle circa due ore fra il laborioso ingresso, la visita e la complicata uscita dal penitenziario, si è bombardati da ogni lato da una cacofonia irritante. Lamenti, lunghi e lugubri; sussurri, porte sbattute, cigolio di suole di gomma, tonfi sordi e persino urla di prigionieri che, viene da pensare, stanno perdendo la ragione.

Pubblicati gli scritti giuridici di Francesco

da "La Stampa"

Un gruppo di giuristi argentini ha presentato un volume che raccoglie il pensiero del Pontefice su temi che vanno dal carcere alla pena di morte


Il `no´ assoluto alla pena di morte, il ricorso alla detenzione solo quando non ci sono altre alternative e una giustizia che rimetta al centro la dignità dell’uomo. È il pensiero giuridico del Papa raccolto nella pubblicazione «Por una justicia realmente humana» che oggi è stata portata in Vaticano da un gruppo di giuristi argentini. Il libro - che è stato presentato nel pomeriggio nel corso di un evento organizzato dall’associazione Antigone e dall’Università Roma Tre - nasce da uno scambio di messaggi tra Bergoglio e l’associazione internazionale di diritto penale, per arrivare ad una udienza, il 23 ottobre 2014, in cui il pontefice ha messo a punto una serie di considerazioni sulla detenzione, dai «limiti» della pena alla condanna della tortura. E ora quelle parole sono diventate una sorta di trattato giuridico. 

«L’intervento del Papa - ha detto Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - non ha pari nella sua radicalità. Nel dibattito pubblico è molto raro che vengano affrontati temi come quelli del populismo penale, della tortura, della pena di morte, delle condizioni carcerarie, della non ineluttabilità del carcere. Un discorso radicale e profondo». 

I giuristi argentini, ospiti del convegno a Roma Tre, avevano incontrato questa mattina Papa Francesco al termine dell’udienza generale. Francesco da Alejandro Slokar, presidente della Camara Federal de Casacion Penal, ha donato al pontefice un crocifisso realizzato dalle donne detenute del penitenziario argentino di Ezeiza, nella provincia di Buenos Aires. 

Angela Ledesma, Presidente della II Camera Federale della Cassazione argentina, ha sottolineato che «Papa Francesco chiede una giustizia più umana e in questo interpella innanzitutto noi giuristi. Chiede più equità perché ancora oggi, almeno in Argentina, la giustizia è forte con i poveri e accomodante con i ricchi». 

Toccante la testimonianza di Marc S. Groenhuisen, presidente della società mondiale di vittimologia: «Quando ho incontrato Papa Francesco gli ho chiesto apertamente: se un bambino viene ucciso come spieghi ai genitori che il colpevole non debba finire in carcere? E lui mi ha risposto: `non si aumentano i diritti delle vittime diminuendo quelli dei colpevoli´. Mi ha colpito, è questa una sfida alla quale dobbiamo dare seguito». 

Paola Severino, vicerettore dell’Università Luiss ed ex ministro della Giustizia, ha ricordato come quando riuscì a portare Papa Francesco nel carcere minorile di Casal del Marmo, appena due settimane dopo la sua elezione a pontefice, per il giovedì santo. «Così vicino ai semplici e ai sofferenti ha riportato l’attenzione su uno dei temi più dolorosi e più dimenticati della nostra giustizia, che è quello del carcere. Il nostro Paese ha fatto molto per le misure alternative e per la qualità della vita dei detenuti ma stenta a crescere una cultura sociale. Il carcere non interessa ai media e per la gente resta qualcosa di `altro da me´».