venerdì 31 gennaio 2014

L'ex direttore del New York Times sul sovraffollamento delle carceri

Giustizia: dagli Stati Uniti proposte per risolvere i problemi di sovraffollamento delle carceri



L'ex direttore del New York Times mette insieme le proposte più promettenti tra quelle che circolano negli Stati Uniti, e alcune di queste possono interessarci.
Bill Keller, ex direttore e ora columnist del New York Times, ha scritto un articolo in cui fa il punto sulle nuove strategie proposte e adottate da alcuni stati americani per risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri americane e limitare la recidiva.
Keller spiega che negli ultimi anni l'atteggiamento dell'opinione pubblica verso le carceri è cambiato, anche grazie alla generale diminuzione dei reati commessi. Molte persone pensano che "il sovraffollamento delle carceri sia uno spreco di vite e denaro": il costo annuale per mantenere un detenuto è pari alla retta per una buona università, e le persone scarcerate hanno difficoltà a reinserirsi nella società e cadono in un circolo vizioso di crimine e povertà. Sempre più americani sono favorevoli a utilizzare pene alternative - come gli arresti domiciliari - per i reati meno gravi e i detenuti non pericolosi. Anche gli stati si stanno attrezzando per risolvere il problema del sovraffollamento: l'anno scorso 13 stati hanno chiuso prigioni e negli ultimi tre anni la popolazione carceraria è diminuita.
Dopo aver discusso con alcuni esperti di giustizia criminale, Keller suggerisce diverse alternative considerate generalmente promettenti: sono pensate ed esposte in relazione al contesto statunitense, ma molte di queste possono suggerire riflessioni anche in Italia, dove la questione delle carceri e del loro scandaloso sovraffollamento entra ed esce periodicamente dal dibattito pubblico.

Cambiare le leggi sulle condanne

Dagli anni Settanta gli Stati Uniti hanno adottato un approccio particolarmente duro, soprattutto per combattere la diffusione dell'uso di crack e la conseguente paura che ne era nata. Furono approvate leggi come il mandatory sentence, che per alcuni reati - soprattutto legati alla droga - impongono al giudice l'applicazione della condanna più severa possibile. La durata delle condanne è stata aumentata anche dalla "legge dei tre strike" (il nome deriva dal baseball), che obbliga il giudice a comminare pene più dure a chi è stato condannato a un reato per la terza volta, e dall'obbligo che un detenuto sconti l'85 per cento della pena. Queste leggi sono applicate soprattutto per i reati di droga e quando gli imputati sono neri, provocando un notevole aumento della popolazione carceraria nonostante il recente calo del crimine: tra il 1984 e il 2008, per esempio, il numero di persone condannate all'ergastolo è quadruplicato, arrivando a oltre 140 mila detenuti. Questo sistema comporta anche che molte persone restino in carcere a lungo anche se non sono più pericolose o dannose per la società e negli ultimi tempi alcuni stati e città - come New York e la California - hanno provato a modificare e ammorbidire queste leggi. I pubblici ministeri si oppongono però a questi tentativi dato che utilizzano spesso la minaccia di lunghe pene per ottenere in cambio la cooperazione degli imputati.

Cambiare il sistema di controllo e sostegno

Per ogni detenuto nelle prigioni statali e federali, ce ne sono altri due in libertà vigilata sotto la sorveglianza di assistenti sociali. Questi ultimi sono sottopagati e costretti a seguire un numero eccessivo di casi, finendo per limitarsi a registrare le volte che i detenuti sgarrano fino al frequente ritorno in carcere. Alcuni comuni stanno cercando di rendere il tempo della libertà vigilata utile al reinserimento nella società dell'ex detenuto: hanno tolto gli assistenti sociali dagli uffici e li hanno mandati nelle comunità a occuparsi soprattutto delle persone più a rischio di recidiva. Sono state anche introdotte nuove tecnologie per aumentare la supervisione, come le cavigliere GPS e un sistema di blocchi alle auto che si attiva in presenza di livelli pericolosi di alcol, per impedire di guidare a chi ha avuto problemi di alcolismo.

Diversificare i tribunali

Negli ultimi tempi sono stati aperti più di duemila tribunali speciali che si occupano solo di casi di droga, e che inviano i tossicodipendenti non violenti in clinica a curarsi anziché in carcere. Il loro esempio è stato seguito in altri campi, e sono nati tribunali specializzati per i veterani dell'esercito e per la violenza domestica, che cercano di risolvere i problemi oltre che dare una punizione al colpevole.

Ridurre la recidiva

Keller scrive che ogni anno negli Stati Uniti vengono scarcerate più di 650 mila persone: due terzi di loro sono arrestate nuovamente nel giro di tre anni. Ci sono numerosi programmi che cercano di offrire ai detenuti una possibilità di iniziare una nuova vita, trovare un lavoro e non restare poveri, senza casa e inclini a commettere altri reati. Alcuni prevedono una consulenza prima della scarcerazione, che coinvolge spesso i membri della famiglia. Nel frattempo è in corso una campagna che invita i datori di lavoro a eliminare nei curriculum la casella che chiede se il candidato ha avuto precedenti penali. Un'altra chiede di abrogare le norme che vietano a un ex detenuto di ottenere la licenza di barbiere o estetista.

Polizia

Un approccio mirato da parte della polizia ha permesso di ridurre la popolazione carceraria a New York, Chicago, Philadelphia, New Orleans e in altre città, e di ridurre nello stesso tempo i crimini violenti. Anziché fermare indiscriminatamente gli abitanti dei quartieri più malfamati, i poliziotti sono diventati più selettivi e si sono concentrati su singole zone - come gli angoli di spaccio della droga - e sui gruppi più violenti e pericolosi.

Sono soluzioni applicabili su vasta scala?

Keller scrive che il governo ha intensificato gli studi di tutti questi programmi, ma si tratta ancora di tentativi. Il movimento per la riforma per ora è ostacolato dalla mancanza di studi scientifici e dall'impazienza dell'opinione pubblica. Nel momento in cui il tasso di criminalità continuerà a salire, le persone si rivolgeranno nuovamente alle carceri come soluzione contro il crimine. La ricerca di alternative alle carceri è inoltre osteggiata dai procuratori, dai sindacati dei lavoratori che lavorano nelle carceri e dalle prigioni private (in cui vive circa il 9 per cento dei detenuti totali e che sono pagate in base al numero delle persone che ospitano). Altri sottolineano che questi programmi non risolvono il problema alla radice, ovvero i fattori che fanno proliferare i crimini: le comunità a rischio, la mancanza di buone scuole, case popolari degradate, i servizi insufficienti e la mancanza di lavoro. Keller risponde: "io sono favorevole a dare una mano a quelli intrappolati nel fondo della società. Ma nel frattempo, perché non provare a salvare alcune vite?".

giovedì 30 gennaio 2014

Non si fermano le esecuzioni negli USA, diminuiscono però condanne ed esecuzioni

In mancanza dei farmaci utilizzati per l'iniezione letale negli Usa torna la vecchia pena di morte

Diminuiscono però condanne ed esecuzioni e in diversi stati si pensa all'abolizione. 


Mancano i farmaci per l'iniezione letale? E negli Usa si pensa a tornare all'antico per continuare con le esecuzioni. Plotone di esecuzione, sedia elettrica e camera a gas potrebbero essere nuovamente gli strumenti di morte di alcuni degli stati americani. Il governatore del Missouri: "E' una soluzione umana ed economica, è ingiusto che i parenti delle vittime di omicidio debbano aspettare anni o decenni per ottenere giustizia". Qualche giorno fa c'era stato il caso di Dennis McGuire, in Ohio, che dopo l'iniezione letale ha impiegato 26 minuti di agonia prima di morire...

Brattin non è l’unico a proporre il plotone di esecuzione
la sedia elettrica o la camera a gas: recentemente l’hanno fatto anche un deputato del Wyoming e un’altra in Virginia. E' dal 1980 che è stata introdotta l’iniezione letale, nella convinzione che in questo modo il condannato non avrebbe avvertito alcun dolore. Nel frattempo le esecuzioni capitali negli Stati Uniti sono scese da un picco massimo di 98 nel 1999 a 39 del 2013. Alcuni stati hanno abbandonato la pena di morte mentre quelli che ancora la adottano devono affrontare la carenza di farmaci con i quali praticare l’iniezione letale, visto che molte case farmaceutiche non li concedono.

In un editoriale del primo gennaio del 2013, dedicato alla pena di morte e intitolato “L’allontanamento dell’America dalla pena di morte”, il New York Times aggiungeva altri argomenti a sostegno dell’inutilità e della pericolosità della punizione capitale: l’analisi partiva da un esame degli obiettivi per i quali la pena di morte era stata reintrodotta dalla Corte suprema nel 1976: la deterrenza e la punizione. Giudici, procuratori, studiosi, esperti e altri soggetti coinvolti nella giustizia penale, sia conservatori che liberali, hanno stabilito che non esistono elementi utili che facciano pensare che la pena di morte scoraggi reati gravi quali l’omicidio. In teoria, inoltre, la pena di morte dovrebbe essere riservata ai peggiori criminali, ma nella pratica diversi studi hanno mostrato che la decisione su chi debba essere condannato a morte è invece del tutto arbitraria e discriminatoria.Nel 1994, il giudice della Corte Suprema Harry Blackmun scrisse: «Mi sento moralmente e intellettualmente obbligato ad ammettere che l’esperimento della pena di morte semplicemente non è riuscito. Quanto tempo dovremmo aspettare prima che la maggioranza dei giudici lo ammetta?».


lunedì 27 gennaio 2014

Se un pranzo in carcere coinvolge un'intera città.... come Vasto è diventata città dell'amicizia!

Il saluto finale tra i volontari
Sabato 25 gennaio: un pranzo offerto da Sant'Egidio in collaborazione con la Caritas diocesana nella Casa di Lavoro di Vasto (CH) dove 200 internati aspettano, per tornare liberi, che qualcuno dia loro un po' di fiducia o un'opportunità di lavoro o una casa, insomma la necessaria accoglienza per ricominciare. 

Si parte da Roma, il furgone è carico di regali e cose utili 
Eravamo in 70, da Roma, Pescara, Isernia e Vasto per servire il "pranzo dell'amicizia" a una tavola con più di 300 persone, si perché in tanti hanno voluto partecipare alla festa. Il pasto e' buono e caldo, proviene da uno dei migliori catering di Vasto. 
Per la prima volta presente un po' tutta la città: il Sindaco, il Provveditore alle carceri dell'Abruzzo, l'assessore ai lavori pubblici, i presidi degli istituti superiori della città, lions, rotary, cooperative sociali, guardia costiera, e tanti altri per partecipare e per vedere e capire quel che normalmente è coperto da un muro e non si sa, non si vede e non si conosce.    

La tavola è allestita in due corridoi interni al carcere che normalmente conducono ai colloqui con i familiari e gli avvocati, i corridoi sono divisi da grandi cancelli, al centro una piccola orchestra per allietare con musiche il tempo trascorso insieme. 
Il saluto da parte della Comunità di Sant'Egidio: "Vasto oggi è città per la vita e città dell'amicizia, che lo sia per sempre!" e agli internati "Vi vogliamo bene, vi pensiamo e preghiamo per voi" e un internato ha risposto: "Voi veramente fate la rivoluzione!".

In Italia circa 1000 persone sono sottoposte a questo regime di sicurezza. La casa di lavoro non è destinata a "detenuti", cioè condannati che scontano una pena per il reato commesso, ma "internati" che hanno finito di scontare la loro pena, ma sono ritenuti “socialmente pericolosi” spesso anche a motivo della mancanza di riferimenti esterni per il reinserimento sociale: casa - famiglia - lavoro. In maggioranza italiani con problemi di tossicodipendenza, alcuni hanno disturbi psichiatrici. L’internamento, in assenza di una valutazione positiva, che dipende anche dalle concrete possibilità di reinserimento, viene prorogato, analogamente a quanto avviene per gli internati negli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari). Chi è assegnato alla casa di lavoro dovrebbe lavorare, ma il lavoro non c’è. Trascorso il periodo di detenzione il giudice può dichiarare persistente la pericolosità sociale proprio per l'assenza di una prospettiva di reinserimento in una casa, di un'offerta di lavoro o di percorsi terapeutici o sociali individuali e fissare un nuovo termine per un esame ulteriore. Il periodo di detenzione in una casa di lavoro non può essere inferiore a un anno, ma viene di volta in volta prorogato, per questo motivo viene da molti definito uno degli ergastoli bianchi. 


Babbo Natale arriva in ritardo...ma non si è dimenticato
Per rispondere alla condizione di povertà, alla mancanza di indumenti e di generi di prima necessità, il regalo per tutti conteneva felpe, cappelli, calzettoni e prodotti per l'igiene.
Una slitta tutta particolare per Babbo Natale che è entrato seduto sopra il carrello dei pacchi del carcere, tutto rivestito di stoffa rossa. Canti, balli e tanta gioia per una festa che quando è bella finisce sempre troppo presto. Un clima di gioia che ha coinvolto tutti i presenti, nella festa cadono i muri, le barriere e le differenze, pur tanto grandi, tra le persone.
Al momento di salutarsi le strette di mano non finivano mai, tanta voglia di ringraziare, di commentare e la richiesta di tornare ancora.

Dopo la festa un momento finale di saluto tra i volontari, la Polizia Penitenziaria e la direzione, un brindisi per non dirsi addio. Il responsabile del la Caritas diocesana ha detto ai tanti di Sant'Egidio che si preparavano a ripartire: "Voi oggi avete acceso il fuoco! ora noi che restiamo dobbiamo continuare!".

http://www.quiquotidiano.it/
http://www.piazzarossetti.it/it-it/notizie/comunita-di-s-egidio-casa-lavoro-di-vasto


domenica 26 gennaio 2014

Il Presidente della Corte di Cassazione Santacroce "non c'è altra via che l'indulto!"

“In attesa di riforme si deve adottare un rimedio straordinario”. Per il primo presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, per superare il problema del sovraffollamento carcerario, in attesa di riforme di sistema, “non c’è altra via che l’indulto”.
Il presidente della Cassazione, nella relazione sull’amministrazione della giustizia, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha sottolineato che la custodia cautelare è “da utilizzare entro i confini più ridotti possibili”, come estrema ratio. 

Dopo aver ricordato il messaggio solenne 
di Napolitano alle Camere sul tema del sovraffollamento carcerario, Santacroce ha spiegato: “In attesa di riforme di sistema (oltre quelle contenute nel decreto del dicembre scorso, che anticipano con piccoli passi e prudenti iniziative un’organica revisione della normativa in questa materia), dovrebbe adottarsi un rimedio straordinario che consenta di ridurre con immediatezza il numero dei detenuti”. Quindi “per ottenere questo risultato non c’è altra via che l’indulto”, e - ha ricordato Santacroce - “l’indulto non libera chi merita di essere liberato, ma scarcera chi non merita di stare in carcere ed essere trattato in modo inumano e degradante, reagendo temporaneamente ed efficacemente al problema del sovraffollamento”. Santacroce ha sottolineato che “il sistema ha bisogno di una serie articolata di riforme, alcune delle quali sono già intervenute come i tanti auspicati tagli e accorpamenti degli uffici giudiziari”. Santacroce ha aggiunto che sia al ministro
Severino che sia al ministro Cancellieri “va riconosciuto il merito di aver mostrato fermezza, mantenendo la barra del cambiamento”.  Consenso arriva anche da Santacroce al decreto del fare che “ha rafforzato le risorse umane degli uffici giudiziari” con i giudici ausiliari in Corte d’appelli e gli assistenti di studio in Cassazione e ha reintrodotto la mediazione come strumento di deflazione del contenzioso civile, istituto che “possiede le potenzialità per contenere la dispersione delle energie processuali”. Per il presidente della Cassazione “al di là di qualche riserva su talune soluzioni”, meritano anche consenso “le proposte formulate dalle Commissioni istituite presso il ministero della Giustizia per dare, attraverso la previsione di nuove misure organizzative normative, vitalità ed efficacia al processo civile, per arginare l’arretrato e snellire l’itinerario della definizione dei giudizi, e sul versante penale, le proposte intese a restringere l’area delle sanzioni detentive e a contenere il ricorso alla custodia cautelare, acquisendo una maggiore consapevolezza critica della sua funzione di estrema ratio, da utilizzare entro i confini più ridotti possibili”.(Tm News)


giovedì 23 gennaio 2014

Il Texas giustizia messicano che aveva un ritardo mentale

Il Texas ha giustiziato il messicano Edgar Tamayo Arias, 46enne condannato a morte per omicidio, nonostante il caso avesse innescato uno scontro diplomatico spingendo la stessa amministrazione Obama a chiedere un rinvio dell'esecuzione.
Quando fu arrestato l'uomo era ritardato mentalmente.

La Corte suprema Usa ha respinto l'appello in extremis dei legali che avevano
invocato una sospensione della condanna per la violazione dei diritti
consolari. Così all'alba il boia gli ha iniettato un cocktail letale di farmaci
nella camera della morte di Huntsville. Il decesso è stato pronunciato alle
21.32 locali (le 4.32 italiane).

Al momento dell'arresto nel 1994 a Houston per l'uccisione di un poliziotto che
lo aveva arrestato per rapina, Tamayo parlava malissimo l'inglese ed era
mentalmente ritardato, ma non gli fu comunicato che aveva diritto
all'assistenza consolare, come previsto dalla Convenzione di Vienna. Il
Messico, che ha abolito la pena di morte, si era opposto all'esecuzione
sostenendo che non sarebbe mai stato condannato a morte se avesse avuto
l'assistenza appropriata. Il ministero degli Esteri messicano ha sollecitato
immediate iniziative per evitare altre sentenze in violazione della sentenza
della Corte internazionale di giustizia dell'Aja del 2004 che aveva chiesto
agli Usa di non pregiudicare il regime di assistenza consolare». L'allusione è
ad altri detenuti in attesa di esecuzione, come il 44enne messicano Ramiro
Hernandez che il 9 aprile dovrebbe essere giustiziato in Texas. Amnesty
International ha denunciato la vergognosa violazione del diritto
internazionale». 

mercoledì 22 gennaio 2014

Ohio: condanna a morte eseguita con 20 minuti di estrema agonia

Dennis McGuire

Per far morire il condannato a morte Dennis McGuire è stata utilizzata una combinazione di farmaci a base di benzodiazepina e idromorfone in via del tutto sperimentale.
L'iniezione però sembra aver violato il diritto costituzionale che prevede, per tale pena, una morte rapida e indolore, il detenuto avrebbe impiegato circa 20 minuti per morire straziato dal dolore ed in preda al soffocamento.
Dennis McGuire aveva scritto al procuratore mostrandosi cosciente delle sue responsabilità e il difensore federale, Allen Bohnert, aveva tentato più volte di chiedere la sospensione della pena in quanto il cocktail letale non era stato mai utilizzato prima, esponendo la necessità del detenuto di parlare con la corte per poter raccontare la sua infanzia piena di abusi. Ricordi che avrebbero potuto far luce sul suo comportamento e sulle motivazioni che lo spinsero a commettere il crimine per cui era stato condannato. Giovedì 16 gennaio, nel carcere di Lucasville in Ohio, con una doppia iniezione sperimentale,  McGuire è deceduto davanti allo sguardo terrorizzato dei due figli e della moglie.
Durante la sua agonia ha continuato a salutare i suoi con la mano sinistra fin che ha potuto. 
Fino allo scorso anno per questo tipo di esecuzioni, si utilizzava un farmaco chiamato pentobarbital, un forte sedativo prodotto da una casa farmaceutica danese che nel 2011 decise di bloccarne la vendita per gli stati che lo utilizzano durante le esecuzioni. Molte le aziende farmaceutiche che si sono opposte a questo tipo di utilizzo.  La famiglia e l'avvocato di Dennis McGuire hanno comunque denunciato il
governo, accusandolo di aver torturato il detenuto ingiustamente. Il 19 marzo nello stesso stato ci sarà un'altra esecuzione, staremo a vedere.

La Comunità di Sant'Egidio chiede di sospendere le esecuzioni capitali e auspica non abbia a ripetersi e che presto la pena di morte sia abolita in ogni paese del mondo. 


Vasto è "città per la vita"! Pranzo della Solidarietà’ alla Casa di Lavoro con oltre 200 internati


il carcere di Vasto

Su iniziativa della Comunità di Sant’Egidio, e con la collaborazione della Caritas Diocesana di Chieti-Vasto, sabato 25 gennaio si terrà il primo ’Pranzo della Solidarietà’ a cui parteciperanno gli internati della Casa Lavoro (ex carcere) di Torre Sinello di Vasto. E’ prevista la partecipazione dell’arcivescovo di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte, del sindaco Luciano Lapenna, dei responsabili degli uffici ed enti che collaborano con l’istituto e delle organizzazioni di volontariato.

massimo di rienzo direttore casa di lavoro (ex carcere) vasto
Il direttore dott. Di Rienzo

”La mutata destinazione giuridica dell’istituto che ospita dalla primavera scorsa internati sottoposti alla misura di sicurezza della Casa Lavoro – si legge in una nota congiunta di Fabio Gui, per la Comunità di Sant’Egidio, e del direttore della Casa Lavoro vastese Massimo Di Rienzo (nella foto) – richiede un contatto diretto ed immediato con le risorse territoriali. Il coinvolgimento di enti, associazioni, la rete di assistenza, il mondo produttivo, il volontariato, è fondamentale per la realizzazione degli obiettivi istituzionali che essenzialmente si possono racchiudere nella formula di un’azione di riabilitazione che abbia  nel lavoro il suo perno principale. Non meno fondamentale – concludono Gui e Di Rienzo – è la risposta ai bisogni sanitari, di assistenza, di crescita culturale, di aggiornamento professionale che è posta dagli internati”.


Vasto: pranzo della solidarietà con Sant'Egidio - emergenza carceri
Natale in carcere con Sant'Egidio

martedì 21 gennaio 2014

Troppi malati nelle carceri italiane. Serve uno studio epidemiologico sulle patologie più frequenti.

Da Avvenire, di Paolo Ferrario 

Se l’80% della popolazione di una città fosse malata, il sindaco ordinerebbe quanto meno una profilassi collettiva per arginare la trasmissione del virus. Ciò non avviene, invece, nel sistema carcerario italiano che, per dimensioni (64.758 i detenuti presenti al 30 settembre scorso), potrebbe benissimo stare tra i comuni italiani di medie dimensioni. In questa cittadina con le sbarre e circondata da alte mura, la concentrazione di malattie ha ormai abbondantemente superato il livello d’allarme, come confermano i dati che la Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, ha recentemente consegnato al Parlamento.

«Sono anni che chiediamo al Ministero della Salute di attivare un Osservatorio nazionale sullo stato di salute dei detenuti – osserva Enrico Giuliani, consigliere della Simspe –. Soltanto così avremo la possibilità di effettuare un serio studio epidemiologico sulle patologie più sviluppate in carcere».


Le ultime stime dicono, appunto, che il 60-80% dei ristretti ha almeno una patologia e, per la maggior parte (48%), si tratta di malattie infettive. I tumori rappresentano l’1% circa di tutte le patologie e riguardano soprattutto linfomi, leucemia, neoplasie del polmone e neoplasie epatiche. «In genere – ricorda Giuliani, medico del carcere di Viterbo – questi pazienti sono curati negli ospedali e, dove esistono, vengono ricoverati nei reparti di Medicina protetta, come nel caso del “Belcolle” di Viterbo».

Un terzo dei carcerati (32%), ha problemi di tossicodipendenza, condizione che, stando agli ultimi dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, riguarda 15.663 persone (di cui 4.864 stranieri). Al terzo posto tra le patologie più comuni tra i carcerati, ci sono i disturbi psichiatrici maggiori, che colpiscono il 27% della popolazione delle celle. Nella “classifica” della Simspe entrano quindi le malattie strettamente legate alla forzata inattività cui è costretto chi sta scontando un pena detentiva. Il 17% soffre di malattie osteorticolari, il 16% presenta patologie cardiovascolari, l’11% ha problemi metabolici e il 10% malattie dermatologiche, la cui trasmissione è favorita dall’alto tasso di sovraffollamento. Lo scorso anno è arrivato al 136%, pari a 17.143 detenuti presenti oltre la capienza massima di 47.615 posti letto offerta dai 206 istituti di pena presenti sul territorio nazionale.

L’affollamento delle celle aumenta il rischio di contagio da infezioni; quelle maggiormente presenti sono la tubercolosi (ne soffre il 22% dei detenuti), il virus Hiv (4%), l’epatite B (5%), l’epatite C (33%) e la sifilide (2,3%).

Migliorare le condizioni di «detenzione per adulti e minori», anche attraverso il «completamento del piano straordinario di edilizia penitenziaria», è quindi in cima alle priorità indicate dal ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, nella direttiva ministeriale per il 2014.




Per affrontare in maniera non estemporanea il problema della cura delle malattie in carcere, la Società dei medici penitenziari ha rivolto una serie di «istanze al legislatore». Tra le più urgenti, dopo l’Osservatorio, c’è l’adeguamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) alle «specificità penitenziarie». Inoltre, i sanitari chiedono l’istituzione del «fascicolo sanitario elettronico nazionale, elemento sostanziale per creare ed integrare la continuità diagnostico-terapeutica territorio-carcere-territorio». E per evitare i casi come quello, denunciato dall’associazione Antigone, di Federico Perna, morto a Poggioreale (Napoli), l’8 novembre scorso ufficialmente per sospetto ictus. I compagni di cella raccontano però che «da una settimana sputava sangue», forse a causa della grave patologia epatica di cui soffriva da tempo. In carcere dal 2010, in tre anni Federico è stato detenuto a Regina Coeli (Roma), Velletri, Cassino, Viterbo, Napoli-Secondigliano e, infine, Poggioreale, dove è morto. Sul caso sono state aperte due inchieste, una amministrativa e una giudiziaria, ma non occorre attendere gli esiti per dire, con Antigone, che «questo girovagare tra gli Istituti di pena non ha giovato alla salute del detenuto».
Per evitare altri casi come questo, nel suo ultimo Rapporto, Antigone ha sollecitato la politica a creare le condizioni per una «tutela effettiva della salute» dei detenuti, «anche attraverso una figura che sia realmente intesa quale medico di fiducia». Un’opportunità ancora negata alla maggior parte dei carcerati.


lunedì 20 gennaio 2014

Oggi la prigionia produce solo nuova prigionia



da Avvenire del 17 gennaio 2014: 
«Oggi la prigionia produce soltanto nuova prigionia» di Giovanni Grasso


 Bisogna rompere questo circolo vizioso: oggi il carcere produce solo altro carcere». Mario Marazziti, deputato di "Per l'Italia", esponente della Comunità di Sant'Egidio, segue da sempre i problemi dei detenuti. E spiega: «Il sistema penitenziario è alla bancarotta. Oltre il 67 per cento di chi sconta la pena finisce in carcere di nuovo. Ma il dato che non si conosce o che non si cita è che, per quanto riguarda l'ultimo indulto, il 33 per cento dei detenuti in carcere sono tornati dentro, mentre il tasso è sceso drasticamente al 13 per cento per chi è stato sottoposto a misure alternative alla detenzione.

Come legge questi dati, onorevole?


Il carcere è diventata una istituzione contro la persona, contro l'idea della rieducazione, è diventato un luogo di perdizione. E allora bisogna sviluppare una cultura meno carcerocentrica,  sviluppando il più possibile il ricorso alle misure alternative, come la detenzione domiciliare, i lavori socialmente utili e così via. Nel frattempo i penitenziari che scoppiano. 

Che fare?

C'è da modificare la Giovanardi-Fini sulla reclusione  dei tossicodipendenti. I detenuti per reati legati alla droga sono il 33 per cento dell'intera popolazione carceraria italiana. In Francia e in Germania non superano il 14 per cento. E poi modificare la ex. Cirielli che impedisce i benefici ai recidivi. Con queste due misure si può alleggerire la popolazione carceraria di un buon 20 per cento immediatamente. Amnistia e indulto non sono colpi di spugna ma il modo di restituire funzionalità al sistema e fare uscire il sistema carcerario dall'illegalità.

sabato 11 gennaio 2014

Myanmar, il presidente Thein Sein riduce alcune condanne a morte in carcere a vita

Il presidente del Myanmar ha commutato le condanne a morte di diversi detenuti e ridotto le pene detentive di altri, tuttavia non è chiaro se tutti i prigionieri politici saranno liberati a seguito del suo ordine.
Il presidente Thein Sein ha concesso la grazia il 30 dicembre ai condannati o accusati di una serie di reati politici. Il provvedimento ha fatto seguito ad una promessa pronunciata a luglio da Thein Sein di liberare tutti i prigionieri politici entro la fine dell'anno.

La televisione e la radio di Stato hanno reso noto che l’ordine del 2 gennaio commuta le condanne a morte in ergastolo, riduce le pene detentive di oltre 40 anni a 40 anni, e riduce le condanne a 40 anni o meno di un quarto. L’ordine è stato dato per motivi umanitari e per celebrare il 66° anniversario dell'indipendenza del Paese che cade il 4 gennaio.
Non è finora chiaro quanti prigionieri beneficeranno dell'ordine o se tutti i prigionieri politici saranno liberati.
"Molti detenuti di varie prigioni, inclusi criminali, saranno liberati con questo ordine", ha dichiarato Bo Kyi dell'Associazione di Sostegno ai prigionieri politici del Myanmar e membro dell’Organismo di Valutazione dei Prigionieri politici istituito dal governo. "Voglio aspettare fino a domani per vedere se i prigionieri politici per i quali abbiamo chiesto la liberazione sono tra quelli rilasciati."
Bo Kyi ha detto che i nomi di 46 prigionieri politici meritevoli della libertà sono stati sottoposti al Presidente.
Mentre le preoccupazioni si concentrano sui prigionieri che appartengono ai movimenti pro-democrazia e anti-militari del Paese così come a diverse minoranze etniche, ci sono altri che rientrano nella categoria dei prigionieri politici, tra cui ex militari finiti sconfitti in lotte tra fazioni.
Bo Kyi ha detto che molti ex funzionari dei servizi segreti militari che stanno scontando pene detentive lunghe avranno la loro pena ridotta, ma rimarranno in carcere.
E’ anche previsto che un funzionario del Ministero degli Esteri e un ex maggiore dell’esercito avranno le loro condanne a morte commutate in ergastolo.
Il funzionario del ministero e l'ex maggiore sono stati condannati nel 2010 per presunta fuga di informazioni circa un viaggio segreto in Corea del Nord nel 2008 di un membro della giunta militare dell’epoca, Shwe Mann, attuale presidente eletto del Parlamento. I dettagli trapelati dei rapporti tra le due nazioni “canaglia” hanno spinto gli Stati Uniti ad esprimere preoccupazione e invitare Myanmar a recidere i legami militari con la Corea del Nord.
Thein Sein il 30 dicembre ha concesso la grazia ai condannati o accusati di una serie di reati politici come associazione illegale, alto tradimento, critica del governo e delle leggi sulla sicurezza e violazioni della legge sulla riunione pacifica.
Da quando Thein Sein è diventato presidente nel 2011, ha liberato circa 1.300 prigionieri politici, secondo ex prigionieri.
Thein Sein, ex generale che è diventato presidente eletto dopo cinque decenni di regime militare repressivo, ha introdotto riforme politiche e finanziarie per sollevare l'economia del Myanmar. Il Paese ha subito sanzioni da parte di nazioni occidentali a causa del suo scarso rispetto dei diritti umani e del regime non democratico, ma la maggior parte di esse sono state revocate.
Il rilascio dei detenuti politici è un criterio utilizzato dalle nazioni occidentali per giudicare l'amministrazione di Thein Sein, e precedenti liberazioni sono state un fattore importante nella decisione di alleggerire le sanzioni. (Fonti: AP, 02/01/2014)

El Salvador ha ratificato il protocollo internazionale che vieta la pena di morte

Il Parlamento salvadoregno ha ratificato il secondo protocollo della Convenzione internazionale sul Consiglio per i diritti civili e politici, che comprende l'abolizione della pena di morte.
 
Il protocollo è stato ratificato con 56 voti sul totale degli 84 membri presenti alla sessione plenaria della legislatura.

Nonostante la ratifica, i deputati hanno adottato una riserva in relazione all'articolo 2 di tale strumento, basata sull'articolo 27 della Costituzione di questo paese, in cui si afferma che possono essere imposte solo la pena di morte nei casi previsti dalla legge per i militari lo stato di guerra internazionale, ha detto un comunicato della Assemblea legislativa. 


Il protocollo ratificato è stato adottato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 15 dicembre 1989.  Il documento sostiene che nessuna persona soggetta alla giurisdizione di uno Stato parte al presente Protocollo sarà giustiziata e che ogni Stato parte adotterà tutti i provvedimenti necessari per abolire la pena di morte nell'ambito della sua giurisdizione. 

La pena di morte in El Salvador è stata abolita nel 1983 e in questo paese centroamericano la pena massima è di 60 anni di reclusione. 

venerdì 3 gennaio 2014

Natale in carcere nel Lazio e in Abruzzo. La festa raggiunge il 25% dei detenuti!

La festa nel carcere di Avezzano
Nonostante la crisi, la solidarietà resta al centro per la Comunità di Sant'Egidio. Anche e soprattutto nel periodo delle festività natalizie. 
Grande la presenza accanto ai detenuti nelle carceri perché Gesù nasce accanto a loro ed è presente nelle loro celle così come in tutti i luoghi di dolore.  Nel Lazio la Comunità di Sant'Egidio ha raggiunto in questo Natale il 25% dei detenuti presenti.
Dalla sera del 24 dicembre con la celebrazione delle sante messe a Rebibbia femminile e a Rebibbia Terza Casa, il 25 mattina al carcere di Regina Coeli e a Rebibbia Nuovo Complesso; dopo la celebrazione una merenda con panettone e dolci, poi la visita nel pomeriggio al reparto protetto dell'ospedale Sandro Pertini con consegna di regali e dolci. Per Santo Stefano il consueto pranzo presso la rotonda di Regina Coeli con un centinaio di reclusi; il 27 sarà il turno di 45 detenuti a Rebibbia Terza Casa, il 28 «nel reparto G8 con 60 detenuti di Rebibbia Nuovo Complesso e presso l'infermeria G14 con 24 detenuti; al termine del pasto saranno distribuiti dei doni anche ad altri 35 detenuti ricoverati in infermeria che, a causa delle loro patologie, non possono partecipare al pranzo. La mattina del 29, grande festa al reparto nido di Rebibbia femminile, con 15 detenute e i loro bambini da zero a 3 anni. Altri momenti di svago sono previsti per le recluse del penitenziario: il 30 alle ore 15 presso il reparto Camerotti con 200 donne, il 31 alla stessa ora, ma al reparto Infermeria, con 25 detenute. Il 3 gennaio alla Casa di Reclusione di Civitavecchia e a seguire nel Reparto femminile del Carcere di Civitavecchia e ancora a Rebibbia nel reparto G11. 
In Abruzzo ad Avezzano e Vasto pranzi e feste con centinaia di detenuti per accogliere con gioia Gesù che nasce e aspettando che l'anno nuovo porti qualche novità positiva e aiuti tanti a ritrovare la libertà. 


giovedì 2 gennaio 2014

La lettera di Asia Bibi a Papa Francesco

pubblicata da Avvenire mercoledì 1 gennaio 2014


A Sua Santità Papa Francesco:
nel nome del Signore nostro onnipotente e glorioso, io Asia Bibi vorrei esprimere tutta la mia più profonda gratitudine a Dio e lei, Padre Santo.
Spero che ogni cristiano abbia potuto celebrare con gioia il Natale appena trascorso.

Come molti altri prigionieri, anche io ho festeggiato la nascita del Signore nel carcere di Multan, qui in Pakistan.

Vorrei ringraziare la Renaissance Education Foundation che ha fatto avverare il sogno di vivere quel momento insieme a mio marito e ai miei figli, portandoli qui a Multan. Mi sarebbe tanto piaciuto poter essere a San Pietro per Natale a pregare insieme a lei ma ho fiducia nel progetto che Dio ha per me e magari Lui vorrà realizzare il mio desiderio l’anno prossimo.

Sono molto grata a tutte le Chiese che stanno pregando per me e si battono per la mia libertà. Non so quanto potrò andare ancora avanti. Se sono ancora viva è grazie alla forza che le vostre preghiere mi danno.
Ho incontrato molte persone che parlano e combattono per me. Purtroppo ancora non è servito.

In questo momento voglio affidarmi solo alla misericordia di Dio che può tutto. Unicamente Lui può liberarmi. Prego, inoltre, per tutti coloro che lavorano e raccolgono fondi per la mia causa. Grazie.

In questo inverno, sto affrontando molti problemi: la mia cella non ha riscaldamento e non ha una porta adatta per ripararmi dal freddo pungente, anche le misure di sicurezza non sono adeguate, non ho abbastanza soldi per le necessità quotidiane e sono molto lontana da Lahore, dunque i miei familiari non riescono ad aiutarmi.
Voglia, infine, Padre Santo, accettare i miei migliori auguri per l’anno nuovo. So che lei prega per me con tutto il cuore. E questo mi dà fiducia che un giorno, la mia libertà sarà possibile.

Certa di essere ricordata nelle sue preghiere, la saluto con affetto.
Asia Bibi, sua figlia nella fede.



Asia Bibi - dal carcere di Multan

mercoledì 1 gennaio 2014

Feste di Natale con Sant'Egidio nelle carceri italiane

Grande festa a Natale con la Comunità di Sant'Egidio nelle carceri piemontesi di Novara e Vercelli, in quelle liguri di Marassi e Pontedecimo, in quelle toscane di Livorno e Firenze, nel Lazio a Rebibbia, Regina Coeli, Paliano, Civitavecchia e Cassino.  Pranzi di Natale anche nelle carceri della Campania a Pozzuoli, Secondigliano e Poggioreale e in quelle abruzzesi di Avezzano e Vasto. 

l pranzi di Natale in carcere organizzati dalla Comunità di Sant'Egidio sono accolti come un momento di speranza e dignità: «Forse per voi questo sarà un Natale come tanti altri ma è il migliore che io ricordi», sono parole che impressionano, soprattutto se a pronunciarle è un detenuto.

Intorno alle tavole decorate con addobbi natalizi, i detenuti hanno mangiato e brindato insieme. Dai reclusi è arrivata forte la richiesta di amnistia e di un sistema che non dimentichi la dignità delle persone. 


Per dieci Natale insieme a Poggioreale
A Poggioreale, che risulta essere il carcere con il numero più alto di detenuti in Italia, il 23 dicembre si è festeggiato il decennale dei pranzi natalizi di Sant'Egidio e vi hanno partecipato 150 detenuti.









Il Natale è una festa difficile da vivere in carcere ed è sentita da molti come un momento di grande debolezza. Nella presenza quotidiana accanto ai detenuti si comprende quanto è importante rafforzare l'amicizia portando la festa di Natale dentro ai penitenziari. La festa aiuta ad affrontare la lontananza dai propri cari, la difficile vita di tutti i giorni, l'attesa del giudizio o la tristezza per la condanna ricevuta, l'assenza di prospettive e la paura del futuro.