L’Iraq dovrebbe abbandonare la pena di morte in quanto e’ una forma di punizione ingiusta, mal applicata e che alimenta la violenza che si prefigge di prevenire: l’appello e’ delle Nazioni Unite in un rapporto congiunto della missione Onu in Iraq e l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani del Palazzo di Vetro.
L’Onu ha scoperto che l’Iraq tende a effettuare le condanne in gruppi – nel 2013 34 in un solo giorno su un totale di 177 – perche’ il presidente Jalal Talabani e’ contrario alla pena di morte ed un suo vice forma gli ordini di esecuzione quando lui si trova all’estero. Ma anche così i primi otto mesi dell’anno in corso hanno già visto 80 esecuzioni con 1.724 condannati tuttora nel braccio della morte. Secondo Amnesty International solo Cina, Arabia Saudita e Iran battono l’Iraq quando a superlavoro del boia.
Secondo il dossier, l’alto numero di esecuzioni rappresenta una reazione all’escalation di violenza in atto nel Paese. L’Alto Commissario per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein e il rappresentante speciale Onu per l’Iraq Nickolay Mladenov hanno fatto appello alle autorita’ irachene perche’ fermino la mano del boia.
Il rapporto evidenzia il clima di arbitrarietà nell’applicazione della pena capitale. Spesso le sentenze di morte sono comminate sulla base di confessioni estorte con la tortura o controverse o su prove fornite da informatori segreti. Il rapporto parla anche di parenti di condannati a cui e’ stata offerta la chance di evitare il boia assumendo un particolare avvocato per centomila dollari e di donne finite nel braccio della morte al posto di parenti maschi.
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