di Riccardo Noury 20 ottobre 2014
L’ultima volta che in Marocco venne eseguita una condanna a morte fu nel 1993. Da allora, i tribunali hanno continuato a emettere sentenze capitali ma non ci sono state esecuzioni. Eppure, dopo oltre 20 anni di moratoria, in attesa dell’uccisione per via giudiziaria rimangono oltre 100 prigionieri. A fare che?
Secondo Nouzha Skalli, ex ministra e attuale portavoce della Rete parlamentare contro la pena di morte, “molti dei condannati a morte hanno sviluppato disturbi mentali e versano in condizioni psicologiche estremamente difficili”. Alcuni di loro sono nel braccio della morte da oltre 15 anni.
Le richieste di cancellare definitivamente la pena di morte dall’ordinamento giuridico si fanno sempre più insistenti: da parte della società civile, guidata dalla Coalizione marocchina per l’abolizione della pena di morte, una rete di sette organizzazioni abolizioniste sorta nel 2003; e da parte delle istituzioni, in prima fila il Consiglio nazionale per i diritti umani e la Commissione per l’equità e la riconciliazione ma anche lo stesso parlamento, dove ormai 240 deputati su 600 sono apertamente contrari alla pena capitale.
Dal lato opposto, la nuova Costituzione, adottata nel 2011, garantisce “il diritto alla vita” senza vietare espressamente la pena di morte. I partiti islamisti la difendono in quanto coerente con la sharia e il ministro della Giustizia sostiene che il “terrorismo” è un buon motivo per mantenerla.
Intanto che va avanti il dibattito, gli oltre 100 condannati a morte attendono che qualcuno si occupi della loro situazione. Magari con un provvedimento di clemenza, che riduca la sentenza a pena detentiva.
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