Era stato condannato a morte con una falsa testimonianza.
La data di esecuzione era fissata per il 26 agosto, doveva dunque accadere oggi. Invece, quando mancavano meno di 24 ore, la Corte d’appello del Texas ha sospeso l’esecuzione di Bernardo Aban Tercero, un cittadino del Nicaragua di 39 anni, condannato a morte nel 2000 per l’omicidio di un insegnante d’inglese, Robert Berger, nel corso di una rapina a una lavanderia di Houston avvenuta tre anni prima, nel 1997. Bernardo si trovava nel braccio della morte da 18 anni.
La sospensione è arrivata appena in tempo.
Il pubblico ministero aveva detto che il presunto omicida era illegalmente negli Stati Uniti all'epoca dei fatti.
In appello, gli avvocati difensori del condannato a morte hanno dimostrato che un teste dell'accusa al processo nel 2000 aveva reso falsa testimonianza. E ora il caso torna al tribunale del riesame.
In Nicaragua e non solo in molti si sono mobilitati per evitare la condanna a morte di Bernardo Tercero, il solo cittadino nicaraguense nel braccio della morte negli Usa. Dalla presidenza alla Chiesa cattolica, fino agli attivisti come Bianca Jagger, ex moglie del cantante dei Rolling Stones.
Nel paese centroamericano la pena di morte è stata abolita nel 1979, quando presero il potere i ribelli del fronte Sandinista. "Per noi in Nicaragua, dove non abbiamo la pena di morte e abbracciamo lo spirito dell'umanità e della solidarietà, sembra assurdo essere alla vigilia dell'esecuzione di un cittadino nicaraguense", ha detto l'ambasciatore del paese presso l'Organizzazione degli Stati americani, Denis Moncada, rivelando che anche il presidente Daniel Ortega ha chiesto clemenza "ai più alti livelli" dell'amministrazione americana, incluso Barack Obama.
mercoledì 26 agosto 2015
Iraq: Kurdistan, Onu condanna prime esecuzioni capitali dopo sette anni
Baghdad (Agenzia Nova)
Le Nazioni Unite hanno espresso costernazione per la condanna a morte da parte del governo della regione autonoma del Kurdistan iracheno di tre persone accusate di omicidio e sequestro di persona. Farhad Jaafar Mahmood e le due mogli, Khuncha Hassan Ismaeil e Berivan Haider Karim, sono stati impiccati lo scorso 12 agosto per il rapimento e l’omicidio di due ragazze. Si tratta delle prime esecuzioni in Kurdistan dopo sette anni. Le autorità di Erbil avevano attuato una moratoria informale sull'uso della pena di morte nel 2008. "Siamo costernati da queste condanne a mote" ha detto Rupert Colville, portavoce per l'Ufficio per i diritti umani Nazioni unite dei diritti, parlando con i giornalisti a Ginevra. (segue) (Irb) © Agenzia Nova - Riproduzione riservata
Sant'Albano Stura è città per la vita!
Il Comune di Sant'Albano Stura ha recentemente aderito all'iniziativa "città per la vita"!
Il Comune ha adottato la delibera n. 30 con la quale sancisce l'adesione del Comune di Sant'Albano Stura all'iniziativa della Comunità di Sant'Egidio "Città per la vita / Città contro la pena di morte" - "Cities for life / Cities against the death penalty" e con la quale istituisce la giornata cittadina contro la pena di morte, individuata nella data del 30 novembre.
Il Comune ha adottato la delibera n. 30 con la quale sancisce l'adesione del Comune di Sant'Albano Stura all'iniziativa della Comunità di Sant'Egidio "Città per la vita / Città contro la pena di morte" - "Cities for life / Cities against the death penalty" e con la quale istituisce la giornata cittadina contro la pena di morte, individuata nella data del 30 novembre.
Ha adottato altresì la delibera n. 29 con la quale ha comunicato ai parlamentari nazionali ed europei la volontà della cittadina di prendere le distanze da tutte le forme di discriminazione e di violenza basate su razza, idee politiche o credo religioso.
Pena morte, Arabia Saudita. Amnesty, 175 esecuzioni in 1 anno
(ANSA-AP) - DUBAI (EMIRATI ARABI), 25 AGO - L'Arabia Saudita ha giustiziato almeno 175 persone negli ultimi 12 mesi: una media di una persona ogni due giorni. Lo rende noto un rapporto pubblicato oggi da Amnesty International.
Il documento di 43 pagine, intitolato 'Uccidere in nome della Giustizia: la pena di morte in Arabia Saudita', afferma inoltre che negli ultimi 30 anni, tra gennaio 1985 e giugno 2015, almeno 2.208 persone sono state giustiziate nel regno. Sulla base dei dati ufficiali, l'Arabia ha giustiziato 109 persone da gennaio,
rispetto alle 83 del 2014. "Il sistema giudiziario difettoso dell'Arabia Saudita facilita esecuzioni di massa", afferma il direttore del programma Medio Oriente e Nord Africa di Amnesty, Said Boumedouha.
Il regno segue un'interpretazione rigida della legge islamica e applica la pena di morte per una serie di reati tra cui omicidio, stupro e traffico di droga. Sebbene raramente, i tribunali sauditi possono condannare a morte anche per
adulterio, apostasia e stregoneria. E le persone possono essere giustiziate anche per reati commessi da minorenni. La maggior parte delle esecuzioni sono svolte per decapitazione, alcune per fucilazione. In rari casi, i corpi giustiziati sono stati
esposti in pubblico per dissuadere altri dal commettere il crimine. (ANSA-AP).
Mississippi: giudice sospende le esecuzioni
WASHINGTON – Un giudice federale americano ha temporaneamente bloccato lo Stato del Mississippi dall’eseguire le condanne alla pena capitale, in seguito ad una causa intentata da tre detenuti e basata sull’utilizzo di un mix di medicinali che, sostengono, non garantisce ‘una morte senza sofferenza’ come dovrebbe.
La sfida legale è possibile appellandosi all’ottavo emendamento della Costituzione americana, che proibisce punizioni crudeli e disumane. La questione è da tempo al centro del dibattito sulla pena di morte dopo che in diversi episodi l’anestetico utilizzato non e’ risultato efficace al 100%, sottoponendo i condannati a una dolorosa agonia.
giovedì 20 agosto 2015
Chiesa Canada. Primo: rispetto della vita, dal concepimento fino alla morte naturale
http://it.radiovaticana.va
a cura di Isabella Piro
Una “Guida alle elezioni federali 2015”, diffusa ieri dalla Commissione episcopale Giustizia e Pace del Canada in vista delle elezioni che si terranno il prossimo 19 ottobre.
Non “un programma politico”, ma piuttosto “una lente attraverso la quale analizzare e valutare i politici ed i loro programmi” elettorali: è questo il senso della “Guida alle elezioni federali 2015”, diffusa ieri dalla Commissione episcopale Giustizia e pace del Canada. Il documento è stato pubblicato in occasione dell’apertura della campagna elettorale per le votazioni del prossimo 19 ottobre.
La politica sia al servizio del bene comune della società
Intitolata “Far sentire la propria voce”, la Guida episcopale ricorda la Chiesa incoraggia e promuove “la libertà politica e la responsabilità dei cittadini” i quali, “esercitando il diritto di voto, compiono il loro dovere di scegliere il governo”. Allo stesso tempo, ai candidati ed ai partiti politici i presuli canadesi ricordano “la responsabilità” di lavorare “per il benessere della popolazione e per il bene comune della società”. Di qui, l’indicazione, da parte della Chiesa canadese, di alcuni criteri con cui valutare i programmi dei candidati in lizza.
Primo criterio: rispetto della vita, dal concepimento fino alla morte naturale
Al primo posto, i vescovi pongono “il rispetto della vita e della dignità della persona dal concepimento e fino alla morte naturale”, ribadendo la necessità di tutelare l’embrione, aiutare le donne incinte in difficoltà, rispettare la dignità dei malati in fin di vita accompagnandoli fino alla morte naturale e favorendo il loro accesso alle cure palliative. Per questo, la Chiesa canadese esorta a “protestare apertamente” contro il suicidio assistito, l’eutanasia, la pena di morte che “annientano il valore intrinseco della vita umana” ed a proteggere “le persone più vulnerabili”, ovvero “disabili, anziani, malati, poveri o sofferenti”.
Secondo criterio: costruzione di una società giusta e solidale
Il secondo criterio analitico indicato dalla Commissione Giustizia e pace riguarda “la costruzione di una società più giusta”, in cui siano garantiti “il rispetto della libertà di coscienza e di religione sia in pubblico che in privato”, “la solidarietà ed il dialogo con le comunità autoctone” il cui sviluppo va adeguatamente promosso, l’introduzione di misure fiscali eque insieme alla fine degli eccessi nella spesa pubblica, la lotta alla povertà infantile e l’aiuto alle famiglie disagiate.
Terzo criterio: promozione integrale della famiglia
Riguardo, invece, alla vita familiare nel suo insieme, come terzo punto i presuli canadesi indicano “la sua promozione integrale” che comporti “un equilibrio” con la vita lavorativa, l’equità salariale tra uomini e donne, l’accesso per tutti a cure sanitarie di qualità, il sostegno ai ricongiungimenti familiari dei migranti, la lotta contro la tratta di esseri umani, la riabilitazione dei detenuti insieme al sostegno per le vittime di crimini, ed il contrasto alla tossicodipendenza ed alla ludopatia.
Quarto criterio: lavorare per la pace
La giustizia e la pace sono ancora un’altra “lente” con la quale, scrive la Chiesa di Ottawa, è utile valutare i candidati alle elezioni. “Credere nella giustizia e nella pace, infatti – si legge nella Guida – significa promuovere sforzi contro la povertà e la fame e favorire l’istruzione e le cure mediche nei Paesi in via di sviluppo”. E significa anche lavorare all'eliminazione degli armamenti nucleari, incoraggiando al contempo “un controllo severo sulla vendita delle armi leggere”, rispettando i Trattati sul diritto internazionale, tutelando la dignità umana di migranti e rifugiati, lottando contro quelle pratiche commerciali ed industriali che violano la dignità dei lavoratori.
Quinto criterio: tutelare l’ambiente
Come ultimo criterio, ma non meno importante, la Conferenza episcopale canadese indica quello ambientale, richiamando la necessità di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, l’uso di combustibili fossili, l’inquinamento urbano ed incoraggiando le imprese a fare uso di energie rinnovabili ed a considerare l’acqua come “una risorsa essenziale da tutelare”.
Cittadini e istituzioni dialoghino su grandi sfide sociali
La Guida si conclude ricordando che “la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti”. Di qui il richiamo ai canadesi affinché siano “cittadini informati e responsabili”, capaci di “impegnarsi nel dialogo con i leader politici sulle grandi sfide sociali”.
a cura di Isabella Piro
Una “Guida alle elezioni federali 2015”, diffusa ieri dalla Commissione episcopale Giustizia e Pace del Canada in vista delle elezioni che si terranno il prossimo 19 ottobre.
Non “un programma politico”, ma piuttosto “una lente attraverso la quale analizzare e valutare i politici ed i loro programmi” elettorali: è questo il senso della “Guida alle elezioni federali 2015”, diffusa ieri dalla Commissione episcopale Giustizia e pace del Canada. Il documento è stato pubblicato in occasione dell’apertura della campagna elettorale per le votazioni del prossimo 19 ottobre.
La politica sia al servizio del bene comune della società
Intitolata “Far sentire la propria voce”, la Guida episcopale ricorda la Chiesa incoraggia e promuove “la libertà politica e la responsabilità dei cittadini” i quali, “esercitando il diritto di voto, compiono il loro dovere di scegliere il governo”. Allo stesso tempo, ai candidati ed ai partiti politici i presuli canadesi ricordano “la responsabilità” di lavorare “per il benessere della popolazione e per il bene comune della società”. Di qui, l’indicazione, da parte della Chiesa canadese, di alcuni criteri con cui valutare i programmi dei candidati in lizza.
Primo criterio: rispetto della vita, dal concepimento fino alla morte naturale
Al primo posto, i vescovi pongono “il rispetto della vita e della dignità della persona dal concepimento e fino alla morte naturale”, ribadendo la necessità di tutelare l’embrione, aiutare le donne incinte in difficoltà, rispettare la dignità dei malati in fin di vita accompagnandoli fino alla morte naturale e favorendo il loro accesso alle cure palliative. Per questo, la Chiesa canadese esorta a “protestare apertamente” contro il suicidio assistito, l’eutanasia, la pena di morte che “annientano il valore intrinseco della vita umana” ed a proteggere “le persone più vulnerabili”, ovvero “disabili, anziani, malati, poveri o sofferenti”.
Secondo criterio: costruzione di una società giusta e solidale
Il secondo criterio analitico indicato dalla Commissione Giustizia e pace riguarda “la costruzione di una società più giusta”, in cui siano garantiti “il rispetto della libertà di coscienza e di religione sia in pubblico che in privato”, “la solidarietà ed il dialogo con le comunità autoctone” il cui sviluppo va adeguatamente promosso, l’introduzione di misure fiscali eque insieme alla fine degli eccessi nella spesa pubblica, la lotta alla povertà infantile e l’aiuto alle famiglie disagiate.
Terzo criterio: promozione integrale della famiglia
Riguardo, invece, alla vita familiare nel suo insieme, come terzo punto i presuli canadesi indicano “la sua promozione integrale” che comporti “un equilibrio” con la vita lavorativa, l’equità salariale tra uomini e donne, l’accesso per tutti a cure sanitarie di qualità, il sostegno ai ricongiungimenti familiari dei migranti, la lotta contro la tratta di esseri umani, la riabilitazione dei detenuti insieme al sostegno per le vittime di crimini, ed il contrasto alla tossicodipendenza ed alla ludopatia.
Quarto criterio: lavorare per la pace
La giustizia e la pace sono ancora un’altra “lente” con la quale, scrive la Chiesa di Ottawa, è utile valutare i candidati alle elezioni. “Credere nella giustizia e nella pace, infatti – si legge nella Guida – significa promuovere sforzi contro la povertà e la fame e favorire l’istruzione e le cure mediche nei Paesi in via di sviluppo”. E significa anche lavorare all'eliminazione degli armamenti nucleari, incoraggiando al contempo “un controllo severo sulla vendita delle armi leggere”, rispettando i Trattati sul diritto internazionale, tutelando la dignità umana di migranti e rifugiati, lottando contro quelle pratiche commerciali ed industriali che violano la dignità dei lavoratori.
Quinto criterio: tutelare l’ambiente
Come ultimo criterio, ma non meno importante, la Conferenza episcopale canadese indica quello ambientale, richiamando la necessità di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, l’uso di combustibili fossili, l’inquinamento urbano ed incoraggiando le imprese a fare uso di energie rinnovabili ed a considerare l’acqua come “una risorsa essenziale da tutelare”.
Cittadini e istituzioni dialoghino su grandi sfide sociali
La Guida si conclude ricordando che “la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti”. Di qui il richiamo ai canadesi affinché siano “cittadini informati e responsabili”, capaci di “impegnarsi nel dialogo con i leader politici sulle grandi sfide sociali”.
mercoledì 19 agosto 2015
Egitto: al-Sisi approva severe misure anti-terrorismo
Il presidente egiziano Abdul al-Sisi ha approvato un nuovo pacchetto di severe misure per contrastare il terrorismo di matrice islamista. Lo riporta la Bbc. Tra i provvedimenti approvati c'è anche la pena di morte per chi fonda o guida una cellula terrorista.
Il pacchetto prevede 54 nuove misure contro il terrorismo descritto come "ogni atto che lede l'ordine pubblico con la forza". Sono previste inoltre multe molto pesanti per i giornalisti che pubblicano "notizie o dichiarazioni false" su atti terroristici o che pubblicano informazioni che contraddicono le note diffuse dal ministero della Difesa. Per i critici di al-Sisi queste leggi serviranno per stroncare il dissenso.
Il pacchetto prevede 54 nuove misure contro il terrorismo descritto come "ogni atto che lede l'ordine pubblico con la forza". Sono previste inoltre multe molto pesanti per i giornalisti che pubblicano "notizie o dichiarazioni false" su atti terroristici o che pubblicano informazioni che contraddicono le note diffuse dal ministero della Difesa. Per i critici di al-Sisi queste leggi serviranno per stroncare il dissenso.
Victor Saldaño, ancora speranza in papa Francesco
Lidia Guerrero, madre di Victor, che aveva già incontrato Papa Francesco a Roma insieme alla Comunità di Sant'Egidio, si è detta certa dell'attenzione che il Papa vorrà prestare al caso di suo figlio e che ci sono "alte probabilità " che egli presenti questa situazione al presidente Obama, nel corso dell'incontro il 23 settembre prossimo a Washington.
Saldaño oggi ha 43 anni e si trova in un carcere di massima sicurezza in Texas. E' stato condannato a morte nel giugno 1996 per un omicidio commesso nel novembre 1995 a Dallas. Secondo l'avvocato difensore Vega la condanna è stata inflitta in modo discriminatorio e il caso è stato esaminato anche dalla
Commissione Inter-Americana sui Diritti Umani (CIDH) nel 1999.
Nel 2002, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato
la condanna.
Saldaño nel 2004 è stato processato e condannato di nuovo e nel 2007 e la Corte d'Appello del Texas ha respinto la richiesta di annullamento. Soffre di disturbi psichici.
La Comunità di Sant'Egidio, segue con attenzione gli importanti cambiamenti in atto negli USA, dove si registra una diminuzione delle condanne e delle esecuzioni, purtroppo non ancora in Texas. Ha a cuore fin dal 2002 la situazione di questo cittadino argentino e segue la sua vicenda umana di condannato alla pena più dura, orribile e inaccettabile. Insieme alle altre associazioni abolizioniste.
L'avvocato Vega è deciso a mettere tutto il suo impegno per ottenere una decisione favorevole per l'annullamento della condanna e, in una seconda fase, il rilascio di Saldaño, perché, "pur è un uomo che ha pagato troppo con il suo dolore".
venerdì 14 agosto 2015
Connecticut: commutazione della pena di morte retroattiva per 11 condannati
Il giudice Richard Palmer ha dichiarato che "La pena di morte nello Stato non è più in linea con gli standard attuali", evidenziando che l'esecuzione di persone condannate prima del 25 aprile 2012 costituirebbe una violazione della costituzione.
11 detenuti che si trovavano nel braccio della morte delle prigioni dello stato americano del Connecticut sfuggono al boia. La Corte suprema di quello Stato, infatti, ha dichiarato che la decisione del Parlamento statale cui si deve l’abolizione della pena di morte a partire dal 2012 si deve estendere anche a quanti sono stati condannati alla pena capitale in precedenza e questo era il caso degli 11 detenuti in questione.
Uno di loro si era rivolto alla Corte suprema statale sostenendo che la pena di morte è anticostituzionale perché costituisce una pena sproporzionata ed eccessiva e che la norma sull’abolizione doveva essere retroattiva. Si è visto dare ragione e adesso, con gli altri, 10 uscirà dal braccio della morte per finire in una cella normale per scontare l’ergastolo.
http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/Usa,-Connecticut,-pena-capitale-incostituzionale.aspx
11 detenuti che si trovavano nel braccio della morte delle prigioni dello stato americano del Connecticut sfuggono al boia. La Corte suprema di quello Stato, infatti, ha dichiarato che la decisione del Parlamento statale cui si deve l’abolizione della pena di morte a partire dal 2012 si deve estendere anche a quanti sono stati condannati alla pena capitale in precedenza e questo era il caso degli 11 detenuti in questione.
Uno di loro si era rivolto alla Corte suprema statale sostenendo che la pena di morte è anticostituzionale perché costituisce una pena sproporzionata ed eccessiva e che la norma sull’abolizione doveva essere retroattiva. Si è visto dare ragione e adesso, con gli altri, 10 uscirà dal braccio della morte per finire in una cella normale per scontare l’ergastolo.
http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/Usa,-Connecticut,-pena-capitale-incostituzionale.aspx
giovedì 13 agosto 2015
Esecuzione in Texas, Daniel Lopez è stato messo a morte. Aveva 27 anni
(AGI) - Austin (Texas), 13 ago. - Un uomo e' stato giustiziato in Texas, il 528mo da quando nel 1976 la Corte suprema reintrodusse nello stato americano la pena di morte. Daniel Lopez, 27 anni al momento dell'iniezione letale che ha posto fine alla sua vita, ne aveva 21 quando travolse con la propria auto un agente di polizia e lo uccise. Lopez ha sempre affermato di non aver mai avuto l'intenzione di uccidere il poliziotto 71enne Stuart Alexander ma di aver solo tentato di fuggire a una pattuglia della polizia per timore di essere punti per violazione della libertà condizionata. Nonostante ciò, il condannato ha fatto di tutto per accelerare il momento dell'esecuzione capitale sottolineando di meritare la morte, tanto che i suoi avvocati hanno chiesto per lui l'infermitàEsecuzione in Texas; di mente. (AGI) .
mercoledì 12 agosto 2015
Corea del Nord: esecuzione del vice primo ministro
La Corea del Nord ha messo a morte il vice primo ministro accusato di aver mostrato malcontento verso la politica del leader Kim Jong Un.
Lo rivela la Yonhap News Agency citando una fonte anonima. L'esecuzione del sessantatreenne Choe Yong Gon segna un'altra morte di un anziano ufficiale in una serie di purghe di alto livello da quando Kim Jong Un ha preso il potere alla fine del 2011. Choe aveva espresso disaccordo con le politiche
forestali di Kim nel maggio scorso e aveva mostrato scarso rendimento lavorativo.
Le note di agenzia non riferiscono ulteriori dettagli.
Choe era stato nominato lo scorso anno vice-premier, e aveva lavorato sugli affari inter-coreani nel 2000, in commissioni congiunte di cooperazione economica con la Corea del Sud tra il 2003 e il 2005.
Lo rivela la Yonhap News Agency citando una fonte anonima. L'esecuzione del sessantatreenne Choe Yong Gon segna un'altra morte di un anziano ufficiale in una serie di purghe di alto livello da quando Kim Jong Un ha preso il potere alla fine del 2011. Choe aveva espresso disaccordo con le politiche
forestali di Kim nel maggio scorso e aveva mostrato scarso rendimento lavorativo.
Le note di agenzia non riferiscono ulteriori dettagli.
Choe era stato nominato lo scorso anno vice-premier, e aveva lavorato sugli affari inter-coreani nel 2000, in commissioni congiunte di cooperazione economica con la Corea del Sud tra il 2003 e il 2005.
Texas: l'esecuzione di Tracy Beatty, prevista per domani, è stata sospesa!
La Corte d'Appello Criminale del Texas ha concesso oggi, in risposta al ricorso presentato, la sospensione della condanna a Tracy Beatty, la cui esecuzione era in calendario per domani 13 agosto.
Tracy Beatty, che ha oggi 54 anni, era stato condannato a morte per un crimine commesso nel 2003. Ora nuovi elementi processuali hanno convinto la giuria della necessità di riesaminare il caso. Questo potrebbe portare a commutare la sentenza di morte in carcere a vita. La Corte però non ha indicato una nuova data.
Ad oggi, 18 prigionieri sono stati giustiziati quest'anno negli Stati Uniti, la metà dei quali in Texas. Per oggi, sempre in Texas è purtroppo attesa l'esecuzione di Daniel Lopez, ispanico, condannato per aver ucciso un poliziotto mentre fuggiva dopo aver partecipato a una rissa, l'auto del poliziotto fu investita durante l'inseguimento.
Texas: prevista per oggi l'esecuzione di Daniel Lopez
Prevista l'esecuzione di due uomini nei prossimi giorni in Texas. Si tratta di Daniel Lopez, che se non arriverà uno stop sarà eseguito questa sera. Daniel Lopez nel 2013 lasciò cadere i suoi appelli e chiese di accelerare la data della sua esecuzione. Venne condannato nel 2009 in seguito a un incidente automobilistico che costò la vita a un tenente di polizia durante un inseguimento ad alta velocità per fermare Lopez.
Preghiamo e siamo vicini a Lopez in questo giorno e confidiamo nella clemenza.
Domani 13 agosto è prevista l'esecuzione di Tracy Beatty, condannato a morte nel 2003 per omicidio. Recentemente
aveva ricevuto il beneficio di scontare la pena in libertà vigilata, ma una corte federale aveva stabilito che non ne aveva diritto.
Preghiamo e siamo vicini a Lopez in questo giorno e confidiamo nella clemenza.
Domani 13 agosto è prevista l'esecuzione di Tracy Beatty, condannato a morte nel 2003 per omicidio. Recentemente
aveva ricevuto il beneficio di scontare la pena in libertà vigilata, ma una corte federale aveva stabilito che non ne aveva diritto.
Preghiamo perché la vita di Tracy Beatty sia risparmiata.
No justice without life.
martedì 11 agosto 2015
Le prime adesioni italiane a "cities for life" 2015! L'Italia si impegna contro la pena di morte
Palermo, Alba, Castelfiorentino, Forlimpopoli, Casal Velino,
Marina di Gioiosa Ionica, Codigoro, Sant'Agata di Puglia,
Scarperia e San Piero, San Giovanni a Piro, Melzo, Mugnano, sono le prime adesioni all'edizione 2015 di "Città per la vita/Città contro la pena di morte".
Riportiamo la dichiarazione del sindaco di Mugnano, Luigi Sarnataro pubblicata su Napoli Today: "Abbiamo deciso di aderire alla proposta della Comunità di Sant'Egidio per affermare che anche la città Mugnano è contro la pena di morte e ne chiede l'abolizione in tutto il mondo. Organizzeremo una serie di iniziative educative e culturali, da diffondere nelle scuole, per mantenere alta l'attenzione su questa pratica disumana che ancora oggi è diffusa in diversi stati e nazioni". L'adesione a
quest'importante progetto - si legge in una nota - prevede l'organizzazione di una serie di iniziative sul territorio comunale in occasione della XIV edizione della Giornata Internazionale "Cities for Life - Città per la Vita/Città contro la Pena di Morte", che si terrà il 30 novembre in ricordo della prima abolizione della pena capitale nel Granducato di Toscana nel 1786.http://www.napolitoday.it/cronaca/mugnano-aderisce-iniziativa-contro-pena-di-morte.html
domenica 9 agosto 2015
La lunga agonia della pena di morte negli USA
Il voto della donna giurato che cancella la pena di morte per James Holmes
da La Repubblica
di Vittorio Zucconi
Un solo giurato contro gli altri undici, nel tribunale del Colorado che doveva decidere sulla vita o la morte di James Holmes. Una donna ostinatamente contraria al patibolo nella sua resistenza isolata contro tutti, ha salvato dal patibolo l'assassino che fece strage di dodici innocenti in un cinema. E ha detto al resto dell'America, e del mondo, che nella terra della forca, del plotone di esecuzione, delle camere a gas, della sedia elettrica, delle iniezioni letali è cominciata finalmente la lenta agonia della pena di morte.
Come cambia lo stato della pena di morte nel mondo
Secondo il rapporto di Nesuno Tocchi Caino
Pena di morte, in Arabia Saudita decapitati 10 prigionieri
Il report periodico di Nessuno Tocchi Caino rende noto che 10 prigionieri in Arabia Saudita sono stati decapitati tra il 29 luglio e il 5 agosto, portando a 114 le esecuzioni praticate quest'anno nel Paese. Il 29 luglio sono stati giustiziati tre cittadini sauditi: Turki al Diaini, decapitato a Riad per omicidio; Sharie al-Jineibi, giustiziato nella provincia di Asir, sempre per omicidio; Mansour al Roali, ucciso nella regione di Jawf per traffico di anfetamine. Il 30 luglio, il cittadino siriano Qassem Mohammed al-Hilal è stato decapitato per aver "introdotto nel Regno una grande quantità di pasticche di anfetamine", è scritto nel comunicato diffuso dal Ministero degli Interni saudita.
Uccisi anche due etiopi e un pakistano. Il 31 luglio un cittadino pakistano è stato decapitato per traffico di eroina. Si tratta di Shah Faisal Azeem Shah, la cui esecuzione è stata effettuata nella capitale Riad, è scritto nel comunicato del Ministero degli Interni saudita, diffuso dall'agenzia di stampa ufficiale Saudi Press. Il 3 agosto un altro cittadino saudita, Mugrib al-Thanyan, è stato messo a morte nella provincia Orientale per l'omicidio di un connazionale, commesso con arma da fuoco a seguito di una lite. Due cittadini etiopi, un pakistano e un saudita sono stati decapitati il 5 agosto.
Pena di morte, in Arabia Saudita decapitati 10 prigionieri
Il report periodico di Nessuno Tocchi Caino rende noto che 10 prigionieri in Arabia Saudita sono stati decapitati tra il 29 luglio e il 5 agosto, portando a 114 le esecuzioni praticate quest'anno nel Paese. Il 29 luglio sono stati giustiziati tre cittadini sauditi: Turki al Diaini, decapitato a Riad per omicidio; Sharie al-Jineibi, giustiziato nella provincia di Asir, sempre per omicidio; Mansour al Roali, ucciso nella regione di Jawf per traffico di anfetamine. Il 30 luglio, il cittadino siriano Qassem Mohammed al-Hilal è stato decapitato per aver "introdotto nel Regno una grande quantità di pasticche di anfetamine", è scritto nel comunicato diffuso dal Ministero degli Interni saudita.
Uccisi anche due etiopi e un pakistano. Il 31 luglio un cittadino pakistano è stato decapitato per traffico di eroina. Si tratta di Shah Faisal Azeem Shah, la cui esecuzione è stata effettuata nella capitale Riad, è scritto nel comunicato del Ministero degli Interni saudita, diffuso dall'agenzia di stampa ufficiale Saudi Press. Il 3 agosto un altro cittadino saudita, Mugrib al-Thanyan, è stato messo a morte nella provincia Orientale per l'omicidio di un connazionale, commesso con arma da fuoco a seguito di una lite. Due cittadini etiopi, un pakistano e un saudita sono stati decapitati il 5 agosto.
sabato 8 agosto 2015
Asia Bibi: continuate a pregare per me, non vedo l'ora di vedere di nuovo la luce del sole
da Radio Vaticana
Un messaggio di fede e speranza: è l’ultimo appello lanciato dal carcere da Asia Bibi la donna pakistana cristiana, madre di 5 figli, condannata a morte con false accuse di blasfemia contro Maometto e in carcere ormai da sei anni. Ad oggi, dopo la prima sentenza d’appello, nel terzo e definitivo grado di giudizio, la pena è stata sospesa e il caso è al riesame della Corte Suprema che ha ammesso il ricorso della difesa. In attesa della prossima udienza Asia Bibi e la sua famiglia continuano a pregare e a chiedere il sostegno internazionale. Il servizio di Gabriella Ceraso.
Diffuso attraverso la rete CitizenGO, che si batte sul web per la difesa dei princìpi non negoziabili e le libertà fondamentali dell’uomo, l’ultimo commosso messaggio di Asia Bibi è arrivato a quanti, cristiani e non, nel mondo si stanno mobilitando per il suo caso.” Una situazione” - la definisce“ - in cui sono stata ingiustamente coinvolta”. “Non ho parole per esprimere la mia gratitudine”, scrive la cinquantenne, “perché avete fatto conoscere la mia storia. So che mi siete vicini e Dio Onnipotente è pronto a rispondere alle vostre preghiere e a tutti gli sforzi che state continuando a fare per me e per la mia famiglia”. ”Non ho commesso nessun reato”, ripete ancora una volta. “Non avrei mai pensato che la mia famiglia dovesse affrontare una vicenda così terribile, specialmente le mie figlie Esha e Eisham, che allora erano molto piccole”. Ma la speranza prevale sui timore e le fa dire: “Presto sarò di nuovo in mezzo a voi, per la grazia del Signore. Non vedo l’ora di sentire di nuovo il sole e il freddo, di vedere il cielo aperto, le stelle e la luna”. Quindi l’appello: ”Vi prego di continuare a pregare per liberarmi da questo buio, così potrò stare con voi alla luce del sole”.
Sudan. Erano infondate le accuse ai pastori protestanti che erano stati condannati a morte
di Benedetta Frigerio
Dopo oltre sette mesi di carcere liberati i due cristiani. Infondate le accuse di spionaggio, attentato allo Stato e blasfemia. Il reverendo Yat Michael: «È come se fossi rinato un’altra volta».
È finalmente finito l’incubo di Yat Michael e Peter Yen Reith. I due pastori protestanti, in carcere da oltre sette mesi, erano stati accusati dai servizi di sicurezza del Sud Sudan di danneggiare il sistema costituzionale, di spionaggio, di condurre una guerra contro lo Stato e di blasfemia, e rischiavano la pena di morte. Ma grazie anche all’intervento di alcune associazioni americane ed europee per la difesa dei diritti dell’uomo, fra cui Italians for Darfur, sono stati liberati.
LA VICENDA. Yat Michael era stato arrestato nel dicembre del 2014 dopo aver recitato un sermone in una chiesa evangelica presbiteriana di Khartoum in rotta con il governo islamico, mentre Peter Yen Reith era finito in carcere il mese successivo dopo aver difeso il primo. La polizia sudanese li aveva accusati di attentato allo Stato oltre che di spionaggio e di blasfemia, togliendo loro la possibilità di difendersi. In questi mesi, infatti, i due uomini avevano subìto misure ingiuste, come il trasferimento immotivato in un carcere di massima sicurezza o come il divieto di incontrare i familiari e il proprio avvocato, Mohaned Alnour Mustafa. Quest’ultimo però, pur essendo musulmano, aveva spiegato a tempi.it di voler combattere contro uno Stato che, imponendo la sharia, toglie ai cristiani la libertà religiosa. Così facendo ha voluto anche spingere la comunità internazionale a prendere posizione.
Dopo oltre sette mesi di carcere liberati i due cristiani. Infondate le accuse di spionaggio, attentato allo Stato e blasfemia. Il reverendo Yat Michael: «È come se fossi rinato un’altra volta».
È finalmente finito l’incubo di Yat Michael e Peter Yen Reith. I due pastori protestanti, in carcere da oltre sette mesi, erano stati accusati dai servizi di sicurezza del Sud Sudan di danneggiare il sistema costituzionale, di spionaggio, di condurre una guerra contro lo Stato e di blasfemia, e rischiavano la pena di morte. Ma grazie anche all’intervento di alcune associazioni americane ed europee per la difesa dei diritti dell’uomo, fra cui Italians for Darfur, sono stati liberati.
LA VICENDA. Yat Michael era stato arrestato nel dicembre del 2014 dopo aver recitato un sermone in una chiesa evangelica presbiteriana di Khartoum in rotta con il governo islamico, mentre Peter Yen Reith era finito in carcere il mese successivo dopo aver difeso il primo. La polizia sudanese li aveva accusati di attentato allo Stato oltre che di spionaggio e di blasfemia, togliendo loro la possibilità di difendersi. In questi mesi, infatti, i due uomini avevano subìto misure ingiuste, come il trasferimento immotivato in un carcere di massima sicurezza o come il divieto di incontrare i familiari e il proprio avvocato, Mohaned Alnour Mustafa. Quest’ultimo però, pur essendo musulmano, aveva spiegato a tempi.it di voler combattere contro uno Stato che, imponendo la sharia, toglie ai cristiani la libertà religiosa. Così facendo ha voluto anche spingere la comunità internazionale a prendere posizione.
venerdì 7 agosto 2015
War Never again! Il grido di Sant'Egidio da Hiroshima a 70 anni dall'atomica
A 70 anni dalla bomba atomica su Hiroshima, Sant'Egidio dà un messaggio di vita dalla città colpita: War Never Again!
Capraia, "città per la vita" dal 2014, si impegna per la pace a 70anni dalle bombe sul Giappone
A 70 anni dalle bombe sul Giappone, l’amministrazione si impegna per la pace Il municipio di Capraia e Limite. Erano le 8,15 locali del 6 Agosto 1945, settant’anni fa, quando a Hiroshima, in Giappone, si scatenò l’inferno causato dalla prima bomba nucleare della storia dell’uomo. L’ordigno scoppiò a 580 metri di altezza sopra la città, provocando un innalzamento della temperatura fino a sessanta milioni di gradi centigradi, dieci volte circa più calda della luce del Sole, fonte di vita per il nostro pianeta. Migliaia di persone morirono all’istante, carbonizzate, così come gli animali, mentre i palazzi di cemento armato e gli oggetti di acciaio si liquefecero. In tutto, considerando anche la successiva onda d’urto dalla velocità di 3.000 metri al secondo, si stima che rimasero uccise oltre 200.000 persone, dopo l’ulteriore esplosione del 9 Agosto a Nagasaki. A distanza di settant’anni da quei tragici momenti, che definirono la fine della Seconda Guerra Mondiale, è doveroso da parte di chi amministra impegnarsi per la sensibilizzazione alla costruzione di un futuro di pace e concordia tra gli esseri umani, scevro da conflitti bellici sanguinari forieri di lutti, disgrazie e dolore. In un mondo ancora segnato dai conflitti e dalle divisioni che lacerano la tenuta geopolitica internazionale, occorre una svolta verso la pacificazione che non può che partire, per il futuro, dalle giovani generazioni e dalla scuola, il luogo deputato alla formazione di una coscienza consapevole e responsabile. Già dal prossimo anno scolastico, il Sindaco e la Giunta coinvolgeranno gli studenti in commemorazioni ed incontri di approfondimento a carattere storico per favorire il percorso di responsabilizzazione.
A novembre del 2014, l’Amministrazione Comunale di Capraia e Limite ha aderito, su proposta della Comunità di Sant’Egidio, alla rete di Municipalità “Città per la Vita/Città contro la pena di Morte”, con la promessa di prodigarsi per operare “in tutti gli ambiti di propria competenza perché siano assicurati spazi di adeguata informazione e sensibilizzazione” sul rifiuto della pena di morte. Le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, hanno prodotto sangue e distruzione, annientando vite innocenti tra cui molti/e bambini/e, configurandosi come una pena di morte ripetuta per 200.000 volte. Esecuzioni capitali singole o collettive, esistenti ancora oggi in numerose parti del mondo, devono lasciare spazio a risoluzioni pacifiche delle tensioni, al fine di giungere il prima possibile ad una realtà fondata sul rispetto dei diritti umani, della dignità e dell’inviolabilità della persona. Per riuscirci, secondo la Giunta di Capraia e Limite, è necessario custodire in maniera viva la Memoria di quanto accaduto ed adoperarsi a tutti i livelli per mutare i comportamenti e le prassi seguite, magari partendo da una massima del celebre filosofo settecentesco, Immanuel Kant (1724-1804): “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona che nella persona di ogni altro, sempre anche come un fine e mai soltanto come un mezzo”.
Fonte: Comune di Capraia e Limite - Ufficio Stampa
A novembre del 2014, l’Amministrazione Comunale di Capraia e Limite ha aderito, su proposta della Comunità di Sant’Egidio, alla rete di Municipalità “Città per la Vita/Città contro la pena di Morte”, con la promessa di prodigarsi per operare “in tutti gli ambiti di propria competenza perché siano assicurati spazi di adeguata informazione e sensibilizzazione” sul rifiuto della pena di morte. Le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, hanno prodotto sangue e distruzione, annientando vite innocenti tra cui molti/e bambini/e, configurandosi come una pena di morte ripetuta per 200.000 volte. Esecuzioni capitali singole o collettive, esistenti ancora oggi in numerose parti del mondo, devono lasciare spazio a risoluzioni pacifiche delle tensioni, al fine di giungere il prima possibile ad una realtà fondata sul rispetto dei diritti umani, della dignità e dell’inviolabilità della persona. Per riuscirci, secondo la Giunta di Capraia e Limite, è necessario custodire in maniera viva la Memoria di quanto accaduto ed adoperarsi a tutti i livelli per mutare i comportamenti e le prassi seguite, magari partendo da una massima del celebre filosofo settecentesco, Immanuel Kant (1724-1804): “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona che nella persona di ogni altro, sempre anche come un fine e mai soltanto come un mezzo”.
Fonte: Comune di Capraia e Limite - Ufficio Stampa
Pakistan: 200 esecuzioni da dicembre 2014, al patibolo finiscono i poveri
Secondo la Commissione diritti umani al patibolo finiscono i poveri
Islamabad, 6 ago. (AdnKronos/Aki) - Duecento esecuzioni per impiccagione da dicembre. Nonostante gli appelli a fermare l'esecuzione di condanne a morte, il Pakistan continua a mandare al patibolo i prigionieri condannati alla pena capitale. "Ieri siamo arrivati a quota 200", ha detto un funzionario del ministero dell'Interno di Islamabad all'agenzia di stampa Dpa, chiedendo l'anonimato.
La "Commissione indipendente per i diritti umani del Pakistan" (Hrcp) ha confermato 196 esecuzioni fino a martedì scorso. Ieri quattro detenuti, tutti condannati a morte per omicidio, sono stati impiccati a Gujranwala e Mianwali, dopo lo sdegno suscitato il giorno precedente
dall'impiccagione di Shafqat Hussain, il giovane condannato a morte per un omicidio commesso nel 2004 quando - secondo la difesa - era minorenne. "La cosa peggiore è che vengono impiccati i poveri - ha denunciato Zaman Khan, portavoce della Hrcp - Quelli che non possono comprarsi una sentenza in un sistema in cui dilaga la corruzione".
Sono oltre ottomila i detenuti nel braccio della morte in Pakistan. La moratoria sulla pena di morte, in vigore dal 2008, è stata revocata lo scorso dicembre dopo l'attacco contro una scuola di Peshawar, che ha fatto 150 morti, per lo più bambini. Le esecuzioni erano state poi sospese durante il mese sacro di Ramadan, che si è concluso il 18 luglio.
mercoledì 5 agosto 2015
Sudan: rilasciati i due pastori evangelici condannati a morte
da Le persone e la dignità
di Riccardo Noury
Sudan, liberi i due pastori cristiani che rischiavano la pena di morte
Rischiavano la pena di morte per spionaggio, blasfemia e tentativo di sovversione dello stato.
Invece i reverendi Yat Michael e Peter Yein Reith, arrestati tra la fine dello scorso dicembre e l’inizio di gennaio, sono stati rilasciati oggi da un tribunale della capitale sudanese Khartoum.
In loro favore si erano mobilitate le organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International e soprattutto Italians for Darfur, che aveva lanciato una petizione (sottoscritta da oltre 70.000 firmatari) e promosso due interpellanze al parlamento europeo e al Senato, sollecitando anche l’intervento della Farnesina.
di Riccardo Noury
Sudan, liberi i due pastori cristiani che rischiavano la pena di morte
Rischiavano la pena di morte per spionaggio, blasfemia e tentativo di sovversione dello stato.
Invece i reverendi Yat Michael e Peter Yein Reith, arrestati tra la fine dello scorso dicembre e l’inizio di gennaio, sono stati rilasciati oggi da un tribunale della capitale sudanese Khartoum.
In loro favore si erano mobilitate le organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International e soprattutto Italians for Darfur, che aveva lanciato una petizione (sottoscritta da oltre 70.000 firmatari) e promosso due interpellanze al parlamento europeo e al Senato, sollecitando anche l’intervento della Farnesina.
Pakistan: Shafqat Hussain eseguito nonostante le critiche ONU
Shafqat Hussain era diventato il simbolo dell'opposizione alla ripresa delle esecuzioni in Pakistan. Era un adolescente al momento dei crimine che gli è stato contestato, ha trovato la morte ieri mattina presto tramite impiccagione in una prigione di Karaki dove era rinchiuso da più di otto anni. Shafqat Hussain, si professava innocente.
L'ONU, l'Unione europea e le organizzazioni per la difesa dei diritti umani esprimono contrarietà a questa politica di repressione del terrorismo che, a partire dalla cessazione della moratoria sulla pena di morte, ha permesso l'impiccagione di circa 180 degli 8000 condannati a morte che si trovano nelle galere del Pakistan.
L'ONU, l'Unione europea e le organizzazioni per la difesa dei diritti umani esprimono contrarietà a questa politica di repressione del terrorismo che, a partire dalla cessazione della moratoria sulla pena di morte, ha permesso l'impiccagione di circa 180 degli 8000 condannati a morte che si trovano nelle galere del Pakistan.
domenica 2 agosto 2015
Nessun diritto di togliere la vita
da L'Osservatore romano
La Chiesa in Pakistan chiede al Governo di ripristinare la moratoria sulla pena di morte
La Chiesa cattolica «apprezza la santità dell’uomo e crede che nessuno dovrebbe avere il diritto di togliere la vita. Ci opponiamo con forza alla pena capitale», anche perché «al momento, il sistema giuridico in Pakistan è imperfetto»: attraverso una dichiarazione — ripresa dalla Misna — di Cecil Chaudhry, direttore esecutivo della Commissione nazionale di pace e giustizia, l’episcopato in Pakistan ha chiesto al Governo di ripristinare la moratoria sulla pena di morte dopo che nei giorni scorsi altri otto detenuti sono stati giustiziati nella provincia di Punjab.
Chaudhry in particolare ha deplorato l’esecuzione di Aftab Bahadur Masih, un cristiano condannato a morte, impiccato il mese scorso poco prima dell’inizio del Ramadan nonostante seri dubbi sulla sua età. La famiglia del condannato ha sempre sostenuto che aveva solo 15 anni quando venne accusato di aver commesso un omicidio.
L’appello della Chiesa per fermare le esecuzioni segue un appello simile rivolto dalle Nazioni Unite poco prima che gli otto detenuti fossero uccisi. Allo stesso tempo l’Onu ha chiesto al Governo pachistano di commutare immediatamente in pene detentive le sentenze di morte per coloro che sono in attesa dell’esecuzione. «La pena di morte è una forma estrema di punizione e, se utilizzata, dovrebbe essere solo per i crimini più gravi, dopo un giusto processo che rispetti le severe garanzie richieste dal diritto internazionale dei diritti umani», ha dichiarato Christof Heyns, relatore speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie. Heyns ha anche richiamato l’attenzione sul caso di Shafqat Hussain, il cui processo — afferma — non ha rispettato le norme internazionali. Shafqat è condannato per un crimine commesso quando era minorenne e dovrebbe essere giustiziato il 4 agosto. «Rinnovo», ha concluso il rappresentante dell’Onu, «il mio precedente appello al Pakistan a continuare la moratoria».
La Chiesa in Pakistan chiede al Governo di ripristinare la moratoria sulla pena di morte
La Chiesa cattolica «apprezza la santità dell’uomo e crede che nessuno dovrebbe avere il diritto di togliere la vita. Ci opponiamo con forza alla pena capitale», anche perché «al momento, il sistema giuridico in Pakistan è imperfetto»: attraverso una dichiarazione — ripresa dalla Misna — di Cecil Chaudhry, direttore esecutivo della Commissione nazionale di pace e giustizia, l’episcopato in Pakistan ha chiesto al Governo di ripristinare la moratoria sulla pena di morte dopo che nei giorni scorsi altri otto detenuti sono stati giustiziati nella provincia di Punjab.
Chaudhry in particolare ha deplorato l’esecuzione di Aftab Bahadur Masih, un cristiano condannato a morte, impiccato il mese scorso poco prima dell’inizio del Ramadan nonostante seri dubbi sulla sua età. La famiglia del condannato ha sempre sostenuto che aveva solo 15 anni quando venne accusato di aver commesso un omicidio.
L’appello della Chiesa per fermare le esecuzioni segue un appello simile rivolto dalle Nazioni Unite poco prima che gli otto detenuti fossero uccisi. Allo stesso tempo l’Onu ha chiesto al Governo pachistano di commutare immediatamente in pene detentive le sentenze di morte per coloro che sono in attesa dell’esecuzione. «La pena di morte è una forma estrema di punizione e, se utilizzata, dovrebbe essere solo per i crimini più gravi, dopo un giusto processo che rispetti le severe garanzie richieste dal diritto internazionale dei diritti umani», ha dichiarato Christof Heyns, relatore speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie. Heyns ha anche richiamato l’attenzione sul caso di Shafqat Hussain, il cui processo — afferma — non ha rispettato le norme internazionali. Shafqat è condannato per un crimine commesso quando era minorenne e dovrebbe essere giustiziato il 4 agosto. «Rinnovo», ha concluso il rappresentante dell’Onu, «il mio precedente appello al Pakistan a continuare la moratoria».
sabato 1 agosto 2015
Pena di morte è «offesa all'inviolabilità della vita»
da Avvenire
di Gianni Cardinale
«Ogni premio o riconoscimento ovviamente è ben accetto, anche se come sapete il Papa non accetta premi...». È con queste parole che Flamina Giovanelli, sottosegretario del pontificio Consiglio della giustizia e della pace, ha commentato la decisione dell’Associazione “Nessuno Tocchi Caino” di conferire il premio “abolizionista dell’anno 2015” a papa Francesco. In effetti è stato lo stesso Pontefice, nel colloquio coi giornalisti durante il volo di ritorno dall’America Latina lo scorso 13 luglio, a confessare: «Io non ho mai accettato un’onorificenza, non mi viene…».
Giovanelli, intervenendo ieri alla presentazione del rapporto annuale dell’associazione promossa dai radicali, ha ricordato come, nel giro di pochi mesi, papa Francesco sia intervenuto due volte con parole forti sulla questione della pena di morte. Lo ha fatto il 20 marzo in una lettera consegnata alla delegazione della Commissione internazionale contro la pena di morte ricevuta in udienza. «Oggigiorno – scriveva il Pontefice – la pena di morte è inammissibile, per quanto grave sia stato il delitto del condannato ». Questa «è un’offesa all’inviolabilità della vita e alla dignità della persona umana che contraddice il disegno di Dio sull’uomo e sulla società e la sua giustizia misericordiosa, e impedisce di conformarsi a qualsiasi finalità giusta delle pene». E «non rende giustizia alle vittime, ma fomenta la vendetta». «D’altro canto, – aggiungeva poi il Papa – la pena dell’ergastolo, come pure quelle che per la loro durata comportano l’impossibilità per il condannato di progettare un futuro in libertà, possono essere considerate pene di morte occulte, poiché con esse non si priva il colpevole della sua libertà, ma si cerca di privarlo della speranza». Sulla questione, il Pontefice era poi intervenuto il 23 ottobre 2013 ricevendo in udienza una delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale. Nell’ambito di un lungo e articolato discorso il Pontefice aveva giudicato «impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone».
«Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà – aveva aggiunto – sono dunque chiamati oggi o a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l’ergastolo. In Vaticano, da poco tempo, nel Codice penale del Vaticano, non c’è più, l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte nascosta».
È stato lo stesso Francesco a porre la firma sul “motu proprio” dell’11 luglio 2013, che nel quadro di una riforma della giustizia penale dello Stato della Città del Vaticano (SCV) iniziata durante il pontificato di Benedetto XVI, ha portato all’abolizione formale della pena dell’ergastolo. Pena che era prevista dalla nascita dello SCV, nel 1929, ma non era mai stata comminata.
di Gianni Cardinale
«Ogni premio o riconoscimento ovviamente è ben accetto, anche se come sapete il Papa non accetta premi...». È con queste parole che Flamina Giovanelli, sottosegretario del pontificio Consiglio della giustizia e della pace, ha commentato la decisione dell’Associazione “Nessuno Tocchi Caino” di conferire il premio “abolizionista dell’anno 2015” a papa Francesco. In effetti è stato lo stesso Pontefice, nel colloquio coi giornalisti durante il volo di ritorno dall’America Latina lo scorso 13 luglio, a confessare: «Io non ho mai accettato un’onorificenza, non mi viene…».
Giovanelli, intervenendo ieri alla presentazione del rapporto annuale dell’associazione promossa dai radicali, ha ricordato come, nel giro di pochi mesi, papa Francesco sia intervenuto due volte con parole forti sulla questione della pena di morte. Lo ha fatto il 20 marzo in una lettera consegnata alla delegazione della Commissione internazionale contro la pena di morte ricevuta in udienza. «Oggigiorno – scriveva il Pontefice – la pena di morte è inammissibile, per quanto grave sia stato il delitto del condannato ». Questa «è un’offesa all’inviolabilità della vita e alla dignità della persona umana che contraddice il disegno di Dio sull’uomo e sulla società e la sua giustizia misericordiosa, e impedisce di conformarsi a qualsiasi finalità giusta delle pene». E «non rende giustizia alle vittime, ma fomenta la vendetta». «D’altro canto, – aggiungeva poi il Papa – la pena dell’ergastolo, come pure quelle che per la loro durata comportano l’impossibilità per il condannato di progettare un futuro in libertà, possono essere considerate pene di morte occulte, poiché con esse non si priva il colpevole della sua libertà, ma si cerca di privarlo della speranza». Sulla questione, il Pontefice era poi intervenuto il 23 ottobre 2013 ricevendo in udienza una delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale. Nell’ambito di un lungo e articolato discorso il Pontefice aveva giudicato «impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone».
«Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà – aveva aggiunto – sono dunque chiamati oggi o a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l’ergastolo. In Vaticano, da poco tempo, nel Codice penale del Vaticano, non c’è più, l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte nascosta».
È stato lo stesso Francesco a porre la firma sul “motu proprio” dell’11 luglio 2013, che nel quadro di una riforma della giustizia penale dello Stato della Città del Vaticano (SCV) iniziata durante il pontificato di Benedetto XVI, ha portato all’abolizione formale della pena dell’ergastolo. Pena che era prevista dalla nascita dello SCV, nel 1929, ma non era mai stata comminata.
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