da AVVENIRE
del 3 marzo 2015
di Marina Corradi
Vado per la strada, passo davanti al carcere: "Eh, questi se lo meritano", "Ma tu sai che se non fosse stato per la grazia di Dio tu saresti lì? Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che loro hanno fatto, e anche peggio ancora?"».
Ieri il Papa è tornato su un tema che gli è caro, e che anzi, ha ricordato, è il primo passo per un cammino cristiano: il riconoscersi peccatori, e non solo nelle parole che la domenica, all’inizio della Messa, si possono magari distrattamente ripetere.
La saggezza del sapere riconoscere in sé anche il male che non si vede. Come l’invidia, ha esemplificato Francesco; che è in effetti quel male che ci sfiora, almeno, quasi tutti, ma può restare nascosto in fondo al cuore. Non è un reato, certo, l’invidia – anche se può essere all’origine delle peggiore violenza. È un ospite che ci abita, indisturbata, come un virus con cui l’organismo convive.
Le parole del Papa interpellano quelli che mai, dicono, ucciderebbero o ruberebbero; e lavorano onestamente, e pagano rigorosamente le tasse. Quelli che passando, qui a Milano, davanti alle mura grigie di San Vittore, pensano con un sentimento di disprezzo e rivalsa: «A quei delinquenti, ben gli sta». O evocano con nostalgia la pena di morte, o dicono, di un assassino: «Che lo chiudano dentro, e buttino via la chiave». Affermando nella stessa durezza del giudizio la certezza di essere "altri", del tutto altri uomini, rispetto a "quelli là".
E anche nella quotidianità di questo Paese, da anni, come è cresciuta l’onda di un’"onestà" innalzata come uno stendardo: che divide "noi", gli onesti, da loro, sempre "loro", i ladri. Dove per onestà si intende una fedina penale immacolata. Ma, parlando cristiano, quanto male può avere nel cuore un cittadino modello, che paghi fino all’ultimo le tasse, e non violi una virgola del codice della strada. Quanto male c’è in un uomo che induce una donna a buttare via il bambino che aspetta, in un genitore che non perdona, in un figlio che abbandona i suoi vecchi.
Non sono reati, certo. Niente che ti porti in galera. Ma peccati sì, e quali. E allora passando davanti a San Vittore o a Regina Coeli ognuno, insegna il Papa, dovrebbe farsi cosciente del male che ha in sé. Magari, solo per grazia di Dio nella vita nostra non c’è stato quell’incontro, quell’occasione, quell’attimo che precipitano in una voragine la strada di altri. Per grazia di Dio c’è stata invece una madre, un padre, un amico, a fermarci. A quei segreti scambi che disegnano il nostro destino, per grazia di Dio abbiamo preso il binario giusto. Tutto qui.
Perché il rischio, anche maggiore per i credenti che fin da bambini sono stati rispettosi di ogni precetto morale e continuano a esserlo, è di sentirsi "bravi". Al modo del fariseo del Vangelo, ringraziano di non essere come quel pubblicano. Ma è un grande male, quello che ci ricorda il Papa in questo inizio di Quaresima: «Hai pensato che tu sei capace di fare le cose che quei carcerati hanno fatto, e anche peggio ancora?».
Beh, molti di noi no, non lo pensano. Alcuni ne sono addirittura sicuri. E in certi frangenti di cronaca questo sentimento esplode, violento e oscuro: come quando un arresto avviene tra una folla inferocita e festante, tra cui qualcuno grida minacciosamente: «Datelo a noi!», e si respira odore di linciaggio. Oppure quando l’accusata di un omicidio clamoroso, come la madre del bambino Loris, entra in prigione: e dalle celle i detenuti le urlano, come è avvenuto, insulti e auguri di morte. In un coro d’inferno che per un attimo svela la profondità vertiginosa del male degli uomini, che si credono migliori degli altri.
Ma, in quel riconoscersi peccatori (questa parola desueta, e quasi pubblicamente imbarazzante) sta, dice Francesco, una grande speranza: «Quando uno impara ad accusare se stesso, è misericordioso con gli altri». Misteriosamente, nell’uomo che non va fiero di una fasulla probità ed è conscio della sua capacità di male, accade una metamorfosi. Lo sguardo cambia, e si guarda all’altro come guarderemmo a un figlio; e a nessuno si nega una possibilità di conversione. E se una sera al tg dicono che è morto il camorrista detto " ’o animale", 67 omicidi sulla coscienza, può accadere di pensare con sgomento al suo destino. Ma nemmeno della salvezza di Pasquale Barra possiamo disperare – nella certezza del nostro Dio, che è un Dio di misericordia.
Quanta verità e quanta saggezza in queste parole.
RispondiEliminaE quanta misericordia fanno nascere nel nostro cuore!
Grazie Papa Francesco.