Carceri: in cella tutta la pena aumenta la recidiva!
Con pene alternative società più sicura.
di Roberto Galbiati e Donatella Stasio
Chi va con lo zoppo impara a zoppicare, recita un antico proverbio. E la saggezza popolare trova riscontro in vari studi di economisti - italiani e internazionali - su carcere e recidiva. Gli scienziati sociali lo chiamano «effetto dei pari» ed è la conclusione a cui giungono dopo una serie di studi quantitativi sulla propensione alla recidiva, cioè sulla probabilità di tornare a commettere altri reati e di rientrare in galera.
Insomma, il carcere è una scuola criminale: quando entrano, i condannati rafforzano i legami con altri detenuti e allentano quelli con il resto della società; quando escono dal carcere dopo aver scontato la pena, gli ex detenuti diventano reciprocamente un punto di riferimento, influenzandosi a vicenda.
Ben lungi dall'essere affermazioni apodittiche, queste conclusioni sono il risultato, ottenuto empiricamente, di una serie di ricerche che ormai da qualche decennio studiosi di varie parti del mondo portano avanti utilizzando le migliori tecniche di indagine quantitativa.
Risultati preziosi in questo delicato passaggio politico-parlamentare sul carcere, perché smentiscono luoghi comuni e allarmismi in nome della sicurezza, che partono da un'idea distorta di "certezza della pena", intesa non come "certezza della qualità della pena" ma come pena da scontare interamente chiusi "dentro", a doppia mandata.
E più sono le mandate, più "fuori" ci si sente sicuri.
Al contrario, gli studi economici dimostrano che il carcere "chiuso" produce soltanto altro carcere e che il sovraffollamento (con il suo carico di promiscuità, invivibilità, degrado, insalubrità e morti, che si porta dietro) è un moltiplicatore della recidiva. Dunque, non "conviene" alla sicurezza collettiva.
Piuttosto, è sulle misure alternative alla detenzione (scorrettamente equiparate a "libertà" o a "premi") che bisogna puntare per ridurre la recidiva. In questa direzione si muovono le misure legislative in corso di approvazione (dopo il via libera della Camera, il decreto "svuota carceri, che decade il 21 febbraio, è ora all'esame del Senato).
Ma il passo è ancora claudicante perché ancora è troppo radicata la cultura carcero-centrica nonché l'idea, supportata da uno strepitìo politico di fondo, che le misure alternative siano un regalo ai delinquenti e che solo il carcere garantisca la quiete degli onesti.
Il problema non è limitato all'Italia. L'aumento della popolazione carceraria è ormai una costante in molti paesi occidentali.
Negli ultimi trent'anni i detenuti sono cresciuti di oltre sei volte negli Stati Uniti e sono raddoppiati in molti paesi europei, fra cui Italia e Francia.
Effetto automatico dell'aumento della popolazione carceraria è l'incremento sia delle persone alla prima esperienza di carcere sia dei recidivi.
Di fronte a questo fenomeno è quindi lecito chiedersi se il carcere svolga o meno la sua funzione di "riabilitazione" o funga soltanto da parcheggio, dove soggetti ritenuti pericolosi o indesiderabili vengono isolati per un periodo più o meno lungo dal resto della società. In altre parole, la prima domanda è se il carcere riesca a favorire il reinserimento sociale o sia soltanto uno strumento di controllo attraverso l'incapacitazione dei detenuti.
Il video di Gazebo dal carcere di Regina Coeli
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