mercoledì 30 ottobre 2013

La pena di morte in Giappone: il caso di Iwao Hakamada

Hideki Wakabayashi, segretario di Amnesty International in Giappone, è particolarmente impegnato nella battaglia per la sospensione dell'impiccagione di Iwao Hakamada, 77 anni di cui 45 passati nel braccio della morte, la cui colpevolezza non è accertata.  Egli è il detenuto che ha trascorso il maggior numero di anni nel braccio della morte. Per la sua salvezza una vasta campagna di Amnesty International.
Hakamada, che ha  trascorso in isolamento 45 anni della sua vita, è stato condannato dopo una confessione iniziale, poi ritrattata, estorta dopo 20 giorni di interrogatorio senza avvocato, con percosse e intimidazioni.
Oggi ha 77 anni e la sua salute è precaria. Le sue condizioni mentali hanno iniziato a peggiorare già mesi dopo l'emissione della condanna a morte e ora viene descritto come confuso e disorientato. Pare rifiuti le cure mediche per l'ipertensione e soffre di diabete. La direzione della prigione ha negato l'accesso alla cartella medica ai suoi familiari e agli avvocati.
In Giappone non si commuta una condanna a morte dal 1975. Le impiccagioni hanno luogo in segreto: i detenuti vengono a sapere dell'esecuzione solo poche ore prima, i familiari dopo. Ciò significa che i prigionieri vivono nella costante paura dell'esecuzione, per anni e anche per decenni, sviluppando in questo modo depressione e malattia mentale.
La vicenda di Hakamada Iwao, presentata al Convegno di ieri 29 ottobre a Tokyo nel corso del Convegno dal titolo "No Justice without life" ha permesso un approfondimento sulle modalità di punizione in uso in Giappone.
 

 

 
 

Nessun commento:

Posta un commento

I vostri commenti sono graditi. La redazione si riserva di moderare i commenti che non contribuiscono alla rispettosa discussione dei temi trattati