martedì 30 giugno 2015

Comunicato Stampa: domani 1 luglio accensione speciale del Colosseo


NEBRASKA: La storica scelta di abolire la pena di morte presa il 27 maggio 
viene celebrata a Roma dalla Comunità di Sant'Egidio e dalla Città di Roma, 
 con l'accensione speciale del Colosseo 




Domani, 1 luglio 2015 dopo il tramonto. Alle ore 21.

Con il contributo tecnico di ACEA
  
  
ROMA - Una promessa mantenuta. Quando il Parlamento del  Nebraska si avvicinava a una decisione storica, la prima abolizione votata da uno stato
a guida repubblicana, dopo il Nord Dakota nel 1973, la Comunità di Sant'Egidio aveva annunciato, insieme a Mario Marazziti, presidente del Comitato per i Diritti Umani della Camera dei Deputati, l'accensione speciale del Colosseo. 
Da tempo il Colosseo è il centro del movimento mondiale delle Città per la Vita, le Città contro la pena di morte, nella Giornata mondiale del 30 novembre
di ogni anno, giorno anniversario della prima abolizione della pena capitale, avvenuta nel 1786 per iniziativa del Granduca Pietro Leopoldo di Toscana. 
E' il modo per celebrare una svolta che accorcia la distanza tra America ed Europa sul terreno decisivo del rispetto della vita umana, anche quella dei colpevoli. 
E' stato un percorso difficile quello che ha portato all'abolizione. Iniziata nel 1981, con un tentativo ogni anno, la vittoria degli abolizionisti indica un cambiamento  importante che può avere conseguenze anche in altri stati mantenitori. In un Parlamento mono camerale il voto è arrivato fino  a 32 voti favorevoli, bi-partisan, e i voti contrari hanno oscillato da 15 a 17, per arrivare a 19 in quello decisivo che ha annullato il veto del  governatore Pete Ricketts. 
Il governatore Ricketts, che è  pesantemente intervenuto per bloccare il provvedimento, e che alla vigilia del voto ha comprato nel sub-continente indiano le sostanze letali che potrebbero provocare esecuzioni "difettose" come quelle in Oklahoma e Arizona, sembra intenzionato a promuovere  un referendum e a contrastare la storica decisione del suo Parlamento. 
Per questo è  importante che il mondo mostri la sua solidarietà e che Roma e il Nebraska siano più vicini. 
La festa di domani è solo l'anticipazione della celebrazione cui saranno presenti i Membri del Congresso del Nebraska e il movimento abolizionista, prevista 
in occasione della Giornata Mondiale delle Città contro la Pena di Morte del prossimo 30 novembre 2015. 
  
L’evento è organizzato con patrocinio del Ministero dei Beni Culturali e di Roma Capitale
  
 Roma, 30 giugno 2015

Il 1 luglio al Colosseo per l'abolizione della pena di morte in Nebraska






Il 1 luglio 2015 alle ore 20,30 
si illumina il Colosseo 
per l'abolizione della pena di morte in Nebraska


Ci diamo appuntamento nell'area antistante il Colosseo alle ore 20,30 per una nuova tappa della campagna di sensibilizzazione che la Comunità di Sant'Egidio conduce da anni sui processi di abolizione della pena capitale nei Paesi retenzionisti 


L'illuminazione speciale del Colosseo 
sarà dedicata alla recente abolizione 
della pena capitale in Nebraska

Pakistan: l'esecuzione di Aftab Bahadur Masih, 23 anni nel braccio della morte


da Avvenire del 12/6/2015

Cattolico impiccato in Pakistan

di Giulia Mazza


Appeso per il collo «fino al sopraggiungere della morte»: così Aftab Bahadur Masih, cattolico pachistano, è stato ucciso alle 4.30 (ora locale) di ieri nel carcere Kot Lakhpath di Lahore (provincia del Punjab). Impiccato come stabilito dalla condanna capitale comminatagli quando aveva appena 15 anni, per un pluriomicidio di cui si è sempre dichiarato innocente. Il prossimo 30 giugno avrebbe compiuto 38 anni, di cui 23 passati nel braccio della morte, dedicandosi alle sue due più grandi passioni: la poesia e la pittura.

I DUBBI SUL DELITTO 
AsiaNews ha ricostruito la storia di Aftab. Il 5 settembre 1992 la polizia lo arresta per l’omicidio di una donna, Sabiha Bari, e dei suoi due figli. Due testimoni oculari lo accusano dell’assassinio: una dichiarazione che, più avanti, ritratteranno, ammettendo di averla resa sotto tortura. Le forze dell’ordine, però, non ne tengono conto. Tra i due accusatori c’è Ghulam Mustafa, idraulico per cui il ragazzo lavora come apprendista, anch’egli arrestato e poi condannato a morte (verrà graziato in extremis). Anche Aftab ha detto di aver subito torture volte ad estorcergli una confessione di colpevolezza. Racconterà qualche anno più tardi che al momento dell’arresto gli agenti gli chiesero 50mila rupie (circa 430 euro) per lasciarlo andare: ma era solo un apprendista, e non aveva i soldi per pagare la “mazzetta”. 

IL PROCESSO «LAMPO» 
La vicenda attira una certa attenzione da parte della stampa locale. Le tre vittime appartengono a una famiglia di commercianti, che fa pressione affinché il caso venga risolto al più presto. Il giovane viene indagato e processato in base allo Speedy Trial Act (1991), legge controversa che prevedeva la creazione di tribunali speciali per risolvere in modo veloce i casi di persone accusate di «crimini brutali». I legali, che assistono il ragazzo pro-bono tramite l’Ong britannica “Reprieve”, non hanno il tempo di preparare una difesa, e nell’aprile del 1993 viene condannato a morte per impiccagione. 

UN MINORE SUL PATIBOLO 
All’epoca, il Pakistan era uno degli otto Paesi al mondo – insieme a Cina, Repubblica Democratica del Congo, Iran, Nigeria, Arabia Saudita, Stati Uniti e Yemen – ad ammettere la pena di morte per minori di 18 anni. Pur avendo innalzato l’età minima a 18 anni nel 2000, il caso di Aftab non è mai stato rivisto. 

L’APPELLO DEI VESCOVI 
Leader religiosi cattolici e cristiani e attivisti per i diritti umani – a livello nazionale e internazionale – hanno lanciato numerosi appelli chiedendo clemenza per Aftab, come più volte riportato da AsiaNews. 
Il 6 giugno monsignor Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale del Pakistan, ha scritto una lettera al presidente del Paese, Mamnoon Hussain, chiedendo una nuova inchiesta. In una missiva separata, altri leader religiosi cristiani hanno chiesto clemenza per Aftab. È opinione di tutti, che il processo sia stato viziato da indagini parziali e testimonianze false. 

NESSUNA SOSPENSIONE 
Tuttavia, l’altro ieri, ossia un giorno prima dell’esecuzione di Aftab, l’Alta Corte di Lahore ha respinto la richiesta di sospensione della pena, negando agli avvocati di produrre nuove prove della sua innocenza. Nella stessa giornata, le autorità della prigione di Sahiwal hanno impedito ai legali di vedere Ghulam Mustafa (il capo idraulico), che aveva espresso il desiderio di firmare una dichiarazione scritta, ammettendo di aver testimoniato il falso contro Aftab. L’esecuzione di Mustafa – prevista sempre ieri – è stata fermata all’ultimo minuto. 

IL NUMERO 160 
Ieri Aftab Bahadur Masih, il giovane che amava la pittura e la poesia, è diventato uno dei 160 detenuti messi a morte in Pakistan dal 17 dicembre 2014, quando il governo ha revocato la moratoria sulla pena di morte dopo l’attentato taleban a una scuola di Peshawar, in cui sono morti in 148.

sabato 27 giugno 2015

Pena di morte: giustiziato un 44enne in Giappone

Si tratta della dodicesima esecuzione sotto il governo Abe


 (askanews) - La giustizia giapponese ha eseguito la condanna a morte di Tsukasa Kanda, condannato per aver ucciso una donna nel 2007. Si tratta della prima impiccaggione da quando Yoko Kamikawa è diventata ministro della Giustizia. Lo scrive oggi il Japan Times.

L'ultima esecuzione era stata effettuata ad agosto dello scorso anno. Dopo la morte di Kanda, nel braccio della morte restano 130 condannati.

Kanda era stato condannato per aver ucciso nell'agosto 2007, assieme ad altre due persone, una donna di 31 ani a Nagoya. 

Il Giappone, assieme agli Stati uniti, è l'unico paese del G7 ad avere ancora la pena di morte nel suo ordinamento. 

sabato 20 giugno 2015

Nuova esecuzione nel Texas, la diciassettesima negli Stati Uniti dall’inizio del 2015


da Internazionale

Gregory Russeau, un nero di 45 anni, era stato giudicato colpevole dell’uccisione di un uomo di 75 anni nel 2001. 

La pena capitale è stata eseguita attraverso iniezione letale nel carcere di Huntsville.



L’esecuzione nel penitenziario di Huntsville  è la diciassettesima negli Stati Uniti dall’inizio dell’anno e la nona in Texas, lo stato che già nel 2014 deteneva il primato delle esecuzioni.

Russeau è morto dopo 21 minuti dall’inizio della somministrazione di un’iniezione letale a base di pentobarbital: il dipartimento di giustizia locale afferma di averne abbastanza per le altre quattro esecuzioni previste per il 2015.

domenica 14 giugno 2015

I miei 22 anni nel braccio della morte

La lettera aperta che Aftab Bahadur ha scritto dalla sua cella in Pakistan qualche giorno prima della sua esecuzione. 

Aveva 15 anni quando lo hanno condannato

di Sabika Shah Povia

http://www.thepostinternazionale.it/

“La polizia mi torturò per estorcermi una falsa confessione e, dopo aver coperto di olio le mie mani, le appoggiarono sulle pareti della stanza dove era avvenuto il triplice omicidio. Avevano così ottenuto anche le mie impronte sul luogo del delitto, ma sono innocente”.

Aveva quindici anni quando lo hanno condannato a morte. Era il 13 aprile 1993. Da quel giorno in poi, Aftab Bahadur ha passato 22 anni della sua vita rinchiuso nel carcere di Kot Lakhpat a Lahore, in Pakistan.Aftab è stato impiccato mercoledì 10 giugno. Dal 2000 il governo pakistano ha alzato l'età minima per le condanne a morte a 18 anni. All'epoca della sentenza di Aftab, era ancora legale condannare un minore.Aftab era un cristiano e lavorava come apprendista idraulico. Fu accusato di essere il complice di un omicidio, anche se non c'erano testimoni. Aftab sosteneva che al momento dell'arresto la polizia gli avesse chiesto 50mila rupie pakistane (circa 435 euro) in cambio della libertà, ma lui non aveva abbastanza soldi. Gli era stato assegnato un avvocato di Stato che non aveva prodotto alcuna evidenza o trovato alcun testimone in sua difesa.Secondo un rapporto di Amnesty International, gli avvocati statali in Pakistan sono spesso scarsamente addestrati e poco pagati e non tendono a difendere i propri clienti con vigore, a meno che non ricevano ulteriori pagamenti dagli imputati o dalle loro famiglie.Forse Aftab è morto perché era povero. Forse perché era cristiano. Forse perché era veramente ritenuto colpevole di triplice omicidio. Lo hanno condannato a passare oltre metà della sua vita in una cella, dalla quale, qualche giorno prima dell'esecuzione, Aftab ha scritto questa lettera aperta.Immagine in linea 1Ho appena ricevuto la notizia della mia esecuzione: sarò impiccato a morte mercoledì 10 giugno. Io sono innocente ma non credo che questo farà alcuna differenza. Negli ultimi 22 anni di prigionia, ho ricevuto varie volte questo annuncio. È strano, ma non so nemmeno dirvi quante volte mi è stato detto che stavo per morire. Ovviamente fa male ogni volta. Comincio il conto alla rovescia, che già è doloroso di per sé, per poi realizzare che i miei nervi sono incatenati nello stesso modo in cui lo è il mio corpo. In realtà, io muoio molte volte prima della mia morte. Suppongo che la mia esperienza di vita sia diversa da quella della maggior parte delle persone, ma dubito che ci sia qualcosa di peggio di sapere che stai per morire e aspettare quel momento seduto in una cella. Per molti anni – da quando avevo solo 15 anni – sono stato abbandonato in un limbo tra la vita e la morte, con totale incertezza sul mio futuro.Io sono cristiano e, a volte, è difficile esserlo qui. Purtroppo, c'è un prigioniero in particolare che ha cercato di rendere la nostra vita più difficile. Non so perché lo fa. Sono rimasto molto turbato per i recenti bombardamenti dei cristiani a Peshawar. Mi hanno ferito profondamente. Vorrei che la gente del Pakistan possedesse un senso di cittadinanza che riuscisse a superare il loro settarismo. C'è un piccolo gruppo di cristiani qui, appena quattro o cinque persone, e ora siamo tutti chiusi in un'unica cella, il che ha migliorato la mia vita.Faccio qualsiasi cosa pur di evadere dalla mia miseria. Sono un amante dell'arte. Ero un artista – uno qualunque – già da piccolo, prima ancora di essere consapevole di qualsiasi cosa. Anche allora, ero propenso alla pittura, così come a scrivere versi. Non avevo nessun tipo di formazione artistica, era semplicemente un dono di Dio. Ma dopo esser stato portato in prigione, non avevo nessun altro modo per poter esprimere i miei sentimenti, visto che ero in un completo stato di alienazione e solitudine. Qualche tempo fa, ho iniziato a dipingere tutti i segnali affissi nel carcere di Kot Lakhpat, dove sono rinchiuso. Poi mi è stato chiesto di fare quelli per altri carceri. Niente al mondo mi può dare più gioia di quello che provo quando dipingo un'idea o una sensazione sulla tela. È la mia vita e sono felice di farlo. Ho tanto lavoro, e sono esausto alla fine della giornata, ma ne sono contento – tiene la mia mente lontana da altri pensieri.Non ho famiglia che possa venire a trovarmi, quindi, quando viene qualcuno, è un'esperienza meravigliosa. Mi permette di raccogliere idee dal mondo esterno, che posso poi riversare sulla mia tela. Quando mi è stato chiesto come sono stato torturato dalla polizia, sono tornati in mente alcuni ricordi terribili che ho trasformato in quadri, anche se forse sarebbe stato meglio non dover ricordare cosa mi avevano fatto per estorcermi quella falsa confessione.Quando nel dicembre 2014 abbiamo sentito la notizia che il governo avrebbe rimosso la moratoria sulla pena di morte, le celle di questo carcere si sono riempite di paura. C'era una sensazione generale di terrore. L'atmosfera cupa circondava tutti noi. Poi le esecuzioni sono cominciate per davvero al carcere di Kot Lakhpat, e tutti hanno cominciato a vivere sotto tortura mentale. Quelli che stavano impiccando erano stati nostri compagni per tanti anni, in questa strada verso la morte, ed è naturale che la loro morte ci abbia lasciati in uno stato di disperazione.La moratoria sulla pena di morte era stata annullata con il pretesto di uccidere i terroristi, ma la maggior parte delle persone qui a Kot Lakhpat sono accusati di crimini regolari. Non so dire come uccidere loro possa mettere fine alla violenza settaria in questo Paese. Spero di non morire mercoledì, ma non ho soldi e posso affidarmi solo a Dio e agli avvocati che fanno volontariato. Non ho perso la speranza anche se la notte è molto buia.Aftab BahadurLa lettera è stata originariamente scritta in Urdu e tradotta in inglese da Reprieve.

giovedì 11 giugno 2015

Le donne nel braccio della morte


DI ANNA VOLPICELLI

da La Repubblica D

Secondo una ricerca condotta dal Death Penalty Information Center, lo scorso anno sono state condannate in America alla pena capitale 57 donne e quasi tutte per lo stesso movente: delitto di amore o di passione. Un atto che, secondo psichiatri e criminologi, è dovuto spesso a un passato di abuso minorile o da parte del partner. Di loro, però, si sa poco o nulla: una volta varcata la porta di un istituto di reclusione penale con la sentenza di morte, si perde infatti qualsiasi tipo di contatto, che viene ristabilito solamente il giorno dell'esecuzione


Le donne nel braccio della morte Su prisoninmates.com, il social network statunitense che mette in comunicazione i carcerati con il resto del mondo, Christine Katler, detenuta numero 73491 nel carcere di Las Vegas, arrestata per avere commesso frodi e diversi crimini legati all’appropriazione di identità altrui, scrive in un post: “Hai mai veramente provato a cercare mille modi per aiutare la tua famiglia, gli amici o te stessa e perdere il senso di ciò che è giusto o sbagliato? Io l’ho fatto e ora, come un bambino messo in castigo, ho avuto modo di esaminare i miei errori e le mie azioni. E sono pronta per una seconda opportunità”. Come Christine, sono numerose le donne rinchiuse nelle prigioni americane in cerca di un dialogo esterno. Fra queste, però, nessuna è condannata alla pena di morte.  All’interno del social network, infatti, nella categoria “death row”
(braccio della morte) il vuoto: nessun volto, nessun segno. Solo una pagina bianca. I condannati alla pena capitale hanno pochissime possibilità di ricevere chiamate, lettere o di partecipare a dialoghi virtuali. 

Il sogno che la giustizia non tolga mai più la vita


Il movimento "città per la vita" per costruire un'alternativa alla pena di morte con uno sguardo universale!

Il nostro mondo è immerso in tanta violenza, oggi più che mai, ha bisogno della cultura della vita.

Visita lo Showreel di cities for life 2014

https://vimeo.com/113550469

mercoledì 10 giugno 2015

Quando il carcere si trasforma in un parterre musicale

Carceri: il concerto a Carinola, un segno di speranza per i detenuti.

Un concerto con 400 detenuti organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio nella casa di reclusione di Carinola.

di Antonio Mattone


E il carcere si trasforma in un parterre musicale. Nel campo sportivo dell’istituto a custodia attenuata di Carinola, circa  400 detenuti hanno partecipato al concerto della cantante Francesca Marini organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Un  
evento straordinario che ha coinvolto quasi tutti i detenuti presenti nella struttura. Ma non solo. Anche gli agenti, gli educatori, il personale amministrativo e sanitario si sono lasciati coinvolgere dal clima di festa e dai ritmi scatenati della cantante napoletana. Torero, A città e pulecenella, Gente magnifica gente, Tu si ma cosa grande, Luna Rossa sono alcuni dei grandi successi che hanno infiammato un pubblico davvero speciale. Tanti applausi hanno ricevuto anche
alcuni improvvisati ma bravissimi ballerini che si sono esibiti tra lo stupore e l’ammirazione generale. I volontari della Comunità di Sant’Egidio insieme a quelli della diocesi di Sessa Aurunca, che stanno partecipando ad un corso organizzato da Sant’Egidio e che prossimamente cominceranno il proprio servizio nel carcere casertano, hanno offerto da bere Coca Cola per tutti. Presenti anche don Valentino, il cappellano dell’istituto, il sindaco di Mondragone e 29 tirocinanti della polizia penitenziaria che hanno così potuto fare una esperienza formativa significativa.

Il direttore del carcere, Carmen Campi ha voluto ringraziare tutti quelli che hanno contribuito alla realizzazione del concerto ed ha sottolineato la straordinarietà di questa iniziativa che ha coinvolto contemporaneamente  un numero di detenuti davvero elevato, forse mai registrato in un penitenziario italiano.

foto: http://napoli.repubblica.it/cronaca/un_concerto_con_quasi_400_detenuti_nel_carcere_di_carinola

L’istituto  di Carinola ha modificato la sua mission e si è trasformato da carcere di alta sicurezza a casa di reclusione a custodia attenuata con un grande sforzo del personale della sicurezza e del trattamento. E questo evento dimostra che la funzione della pena passa sì per il rispetto delle regole ma anche nella proposta di percorsi trattamentali  e rieducativi. Vedere 400 persone tutte insieme ordinatamente e con grande entusiasmo è stato bel colpo d’occhio. Un pomeriggio di canzoni, di balli e di solidarietà, sentimenti che hanno fermato anche il mal tempo.
Francesca Marini ha concluso il suo concerto con la bellissima canzone “Vincerò”, che ha voluto dedicare ai detenuti. Un inno alla vita, un augurio ma anche un messaggio di speranza  che ha scaldato i cuori di tutti i presenti.

martedì 9 giugno 2015

Dal carcere un nuovo umanesimo

In carcere, accanto a chi sbaglia, da Avvenire

di Alessia Guerrieri 

8 giugno 2015 


L’incontro di due volti, il colpevole e la vittima. Due anime che, sia pure in maniera diversa, hanno bisogno di misericordia prima che di giustizia. Il nuovo umanesimo che parte dal carcere, infatti, passa anche dalla giustizia riparativa, o meglio dalla giustizia orientata al perdono e dalla creatività del recupero. Tutti percorsi inediti che le associazioni dei volontari in carcere ogni giorno cercano di realizzare, per far sì che il detenuto sia innanzitutto una persona. 

Un uomo che ha bisogno di rimettersi in piedi. Caritas italiana, Sant’Egidio, Seac (Coordinamento enti e associazioni volontariato penitenziario), Vic (Volontari in carcere), Jesuit social network, Rinnovamento nello spirito e Associazione Papa Giovanni XXIII sono infatti chiamati a camminare insieme, non solo al fianco dei carcerati, ma anche ad essere testimoni del cambiamento per costruire una società più accogliente. Una «nuova modalità di essere accanto a chi sbaglia» che ha ispirato la giornata di riflessione "Dal carcere un nuovo umanesimo", organizzata ieri nella casa circondariale di Rebibbia da Caritas italiana, su mandato della Conferenza episcopale italiana, in collaborazione con Caritas Roma. 

Un seminario di preparazione al V Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, per «costruire in carcere un nuovo umanesimo che parta dall’ascolto, dal confronto e dal discernimento», ricorda il presidente del comitato preparatorio di quell’evento, l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia. La detenzione difatti deve essere luogo di «redenzione», visto che anche il tempo trascorso in cella è «tempo di Dio e come tale va vissuto».

Il compito dei volontari, perciò è quello di «combattere l’indifferenza con l’attenzione agli altri» e con l’ascolto delle persone in un luogo in cui «si è chiamati a rendere concreto il messaggio di Gesù nel Vangelo». L’esortazione del direttore di Caritas italiana, don Francesco Soddu, è rivolta all’operato dei volontari sia dentro che fuori le sbarre. Alla società in sostanza occorre «far mutare lo sguardo» verso una giustizia che non sia vendetta, aggiunge, ma anche gli stessi operatori della carità in carcere hanno «la sfida della giustizia riparativa che si fonda sull’incontro dei volti». 
Non si può ignorare quindi, che in carcere «ci sono persone in situazione di sofferenza - dice il direttore Caritas Roma monsignor Enrico Feroci - bisognose di un annuncio di speranza, di misericordia, di comprensione e di solidarietà».

Con il metodo repressivo, al contrario, in questi anni si è cercato di «riparare al male con il male», mentre «il nuovo umanesimo – gli fa eco l’ispettore generale dei cappellani nei penitenziari don Virgilio Balducchi – è utilizzare il carcere meno possibile». Anche nei luoghi di reclusione però «noi vediamo lavorare Dio, perché persone ingabbiate nel male cercano il Bene». Ad esempio chiedendo perdono alle vittime. La misericordia così diventa vera misura alternativa alla pena. Misericordia e giustizia non sono opposti, ricorda padre Giampaolo Lacerenza, perciò la via da seguire è «portare dentro il carcere la misericordiosa giustizia con uno sguardo particolare alla dignità della persona e alla sua coscienza».

lunedì 8 giugno 2015

Due cristiani rischiano la pena di morte in Sudan. Ecco l'appello per salvarli

A poco più di un anno dalla condanna a morte per apostasia di Meriam Ibrahim, la cristiana incarcerata all'ottavo mese di gravidanza e liberata sull'onda di una mobilitazione internazionale, due pastori cristiano - evangelici rischiano la stessa pena. Arrestati con l'accusa di spionaggio la loro unica colpa è quella di aver tentato di difendere le proprie congregazioni da vere e proprie persecuzioni.
Peter Yein Reith, pastore della Chiesa evangelica presbiteriana, è stato arrestato dagli agenti dei Servizi di sicurezza sudanesi il 9 gennaio mentre stava tornando da una riunione di preghiera alla sua abitazione nella Scuola biblica Gerif West Bible School a Khartoum. Quindici giorni prima, il 28 dicembre 2014, dopo il culto domenicale,funzionari del Niss avevano prelevato in strada un altro pastore, Yat Michael, in visita nella capitale per dare supporto alla Sudan presbyterian evangelical Church.
La Khartoum Bahri church era stata presa d'assalto da una squadra della polizia locale che, il 2 dicembre, aveva ordinato la demolizione di parte del complesso e arrestato 38 fedeli che, giudicati e multati, erano stati rilasciati nella notte insieme ad altri 5 leader religiosi in carcere dal 25 novembre. Diverso il trattamento (e i capi di imputazione) per i due reverendi, entrambi ancora in prigione senza garanzia del rispetto dei loro diritti, come denunciato da Kate Allen, direttrice di Amnesty International UK, che avverte "più lungo sarà il loro tempo di reclusione, più alto è il rischio che subiscano torture", Italians for Darfur, che sul caso ha promosso un'interrogazione sia al Parlamento italiano che al Parlamento Europeo (come era già avvenuto per il caso di Meriam), ha lanciato una petizione per ottenere l'annullamento del procedimento giudiziario a loro carico e la loro immediata liberazione sia sulla piattaforma Change.org che sul sito dell'associazione.
Le firme raccolte, destinate al presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir, saranno consegnate all'Ambasciata del Sudan in Italia. Qui il link dell'appello:

http://www.italianblogsfordarfur.it/petizione/index.php