mercoledì 16 marzo 2016

Perché in 38 Stati al mondo la pena di morte è ancora in vigore?

Volentieri pubblichiamo un contributo a cura della Dott.ssa Mariantonietta Sorrentino


Oggi sembriamo tutti o quasi essere avvezzi alla morte e ai suoi corollari. Sembra esserci familiare. Addirittura nelle sale cinematografiche questo traguardo finale che tutti attende è celebrato da film dove sangue, crimini violenti, efferatezze e situazioni macabre si susseguono senza soluzione di continuità.
In passato la morte veniva esorcizzata in vario modo insieme al malocchio. Al Sud come al Nord si mettevano e mettono in scena eventi che la pongono al centro ( o che sono votati,ndr)  ad addomesticarla.
Mariantonietta Sorrentino


La letteratura, poi, non è da meno. Basti pensare all’inossidabile ‘ A Livella di Totò o al dramma arcinoto di  Arthur Miller “Morte di un commesso viaggiatore”.

E se nei secoli bui come il Medioevo la precarietà dell'esistenza era ribadita da carestie, guerre, malattie ed epidemie, oggi la morte si affaccia a casa nostra appena azioniamo il telecomando.

La “tanatofobia” sembra accompagnare fedelmente l’uomo del III millennio, così tecnologico, tanto produttivo di novità, iperinformato. 
Eppure quest’ultimo e, spesso, inatteso appuntamento noi lo temiamo più che nel passato quando l’ultimo viaggio era accettato come qualcosa di inevitabile ed accompagnato da una bella dose di fatalismo, frammisto a paura e rassegnata compostezza. Il motivo è semplice. Nei nostri antenati albergava una sorta di fiducia mistica nel riconoscimento ultraterreno dei propri meriti. 

A questo punto la domanda sorge spontanea: perché temiamo la morte? Perché in 38 Stati al mondo la pena di morte è ancora prevista dal codice penale ??
Nel rapporto di “Nessuno tocchi Caino” si può avere il polso della situazione.
Nel 2014 sono state registrate almeno 3.576 esecuzioni capitali in 22 Paesi. Nei primi sei mesi del 2015 sono state 2.229 in 17 Paesi.
Dalla fondazione di “Nessuno tocchi Caino” ad oggi si possono registrare dati incoraggianti: 64 dei 97 Paesi membri dell'Onu, praticanti la pena di morte, hanno smesso di praticarla. 
Susan Sarandon

La pena è commutata in vario modo, per inciso, ma sempre terribile. Ci ergiamo a Dio tutte le volte che uccidiamo. Un pugno allo stomaco l’ incongruenza degli States, figli di quei Padri Pellegrini della Mayflower che raggiunsero l’America nel 1620. Puritani fino all’ossessione, capaci di crearci un “business” attorno all’ultimo viaggio, ma datori ancora di morte.
Si è perso il conto delle esecuzioni eseguite dall’altra parte dell’Atlantico. Una cifra da capogiro se si pensa che gli Usa han stampigliato nella moneta “In God we trust”. Ma in quale Dio, viene da chiedersi.

Pene che arrivano dopo decenni , spesso, vissuti nel braccio della morte. Forse andrebbe spiegato che la giustizia non è uguale per tutti e che esiste una radicale differenza tra giustizia e vendetta. “Dead Man Walking” del 1995 è stata una delle risposte made in USA. Risposta invero tiepida quella che Hollywood ha saputo dare. Possiamo mai accontentarci? No, assolutamente no.
Sr. Helen Préjean
Si badi bene che il titolo del film, interpretato da una ottima Susan Sarandon, non è nato dalla fantasia dello sceneggiatore: essa è l'espressione utilizzata dai carcerieri americani per annunciare l'ultima passeggiata del condannato diretto dalla cella al patibolo.

Il film ha avuto un soggetto di prim’ordine, l'omonimo romanzo autobiografico di suor Helen Prejean della congregazione delle Suore di San Giuseppe che ha abbracciato la morte ed ha vissuto nell’inferno delle carceri americane.
 Chi siamo noi per decidere la morte di un nostro simile ? Siamo custodi, pessimi in verità, di una vita che spesso usiamo male. Eppure ci ergiamo ad un ruolo che non ci attiene: quello di Dio. Amiamo i Paradisi, anche quelli artificiali, ma costruiamo inferni per i nostri simili.


Ricky Jackson, 39 anni nel braccio della morte in Ohio, a colloquio con Hillary Clinton

USA: UOMO SALVATO DA BRACCIO MORTE SFIDA CLINTON SU PENA CAPITALE

Washington, 14 mar. (AdnKronos) - "Ho trascorso tutti quegli anni nel braccio della morte e sono stato vicinissimo alla mia esecuzione". E' la drammatica testimonianza portata, durante un incontro tra i candidati democratici e gli elettori dell'Ohio dove si vota domani, da Ricky Jackson, che ha trascorso 39 anni in prigione, gran parte dei quali nel braccio della morte, prima di essere scagionato per l'omicidio per il quale era stato arrestato a 18 anni.

"Alla luce di quello che lo ho raccontato e del fatto che ci sono casi che provano che nel nostro Paese vi sono state esecuzioni di innocenti, io vorrei sapere se lei conferma la sua posizione sulla pena di morte", ha detto poi rivolto ad Hillary Clinton che non sostiene, a differenza di Bernie Sanders, la campagna per l'abolizione della pena capitale.

E di fronte alla richiesta di Jackson l'ex segretario di Stato ha ribadito di essere favorevole alla pena di morte per crimini particolarmente efferati, ed ha fatto l'esempio del terrorismo, che ricadono sotto la giurisdizione federale. Ma ha poi ribadito le critiche al modo in cui molti stati applicano la pena capitale, arrivando ad auspicare che venga abolita la possibilità per gli stati di condannare a morte.
Parlando poi del caso di Jackson ha sottolineato che quella dell'Ohio nei suoi confronti è stata "una parodia di giustizia". "Non riesco neanche ad immaginare quello che ha dovuto affrontare" ha aggiunto rivolgendosi direttamente all'ex detenuto.

"Si tratta di una questione veramente difficile - ha detto ancora la candidata democratica - e quello che ho detto e continuo a credere è che gli stati si sono dimostrati incapaci di condurre processi giusti in grado di dare agli imputati tutti i diritti che gli imputati devono avere. Mi sentirei sollevata se la Corte Suprema o gli stati stessi cominciassero ad eliminarla".

Italia a Vienna chiede abolizione pena di morte per reati di droga

L'intervento del sottosegretario Ferri

VIENNA, 16 MARZO – L’Italia e’ impegnata a inserire nel documento finale della Sessione Speciale dell’Assemblea Generale sul problema mondiale della droga l’abolizione della pena di morte per i reati legati al tragico di stupefacenti. Lo ha detto a Vienna il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri, intervenendo nella sessione annuale della Commissione Droga delle Nazioni Unite dedicata alla preparazione dell’evento in programma a New York dal 19 al 21 aprile.

Parlando a titolo nazionale, Ferri, ha ribadito la richiesta dell’Italia affinché la comunità internazionale colga l’occasione offerta dall’UNGASS per riflettere su “cosa funzioni e cosa non funzioni” nelle politiche nazionali ed internazionali in materia di droga.

Ricordando che l’obiettivo ultimo delle tre Convenzioni ONU sulla droga è la tutela della salute ed il benessere dell’umanità, il Sottosegretario Ferri ha ribadito la richiesta dell’Italia, affinché l’UNGASS 2016 promuova politiche autenticamente equilibrate, basate sul pieno rispetto dei diritti umani ed orientate alla tutela della salute.

A tal riguardo, Ferri ha ribadito la richiesta dell’Italia affinché l’UNGASS 2016 promuova l’abolizione della pena di morte per i reati in materia di droga ed ha inoltre ricordato l’importanza di promuovere il principio di proporzionalità nei sistemi di giustizia penale, tramite risposte diversificate e proporzionate ai diversi fenomeni collegati alla droga, puntualizzando l’esigenza di prevedere sanzioni alternative per le condotte di minore gravità, anche al fine di raggiungere livelli accettabili nella popolazione carceraria e di assicurare cure e trattamento sanitario adeguati. Una posizione condivisa dal capo di UNODC Yuri Fedotov che ha parlato di “proporzionalita’ necessaria” nel sistema delle pene, perche’ “risposte sproporzionate non servono la causa della giustizia” e “l’applicazione della pena di morte per i reati di droga non e’ mai stata nella lettera o delle convenzioni Onu sull’argomento”.

Ferri ha ribadito la determinazione dell’Italia a continuare a contrastare il traffico di droga, anche tramite il rafforzamento della cooperazione internazionale, che vede il nostro Paese già fortemente impegnato, e la promozione dell’applicazione della Convenzione di Palermo contro la criminalità organizzata transnazionale.

Nel suo intervento il sottosegretario ha ribadito il ruolo centrale della società civile nella elaborazione, attuazione, monitoraggio e valutazione delle politiche in materia di droga. A tal riguardo, ha ricordato la recente riunione organizzata dal Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri con le organizzazioni della società civile italiana e con le organizzazioni del privato sociale accreditato e le istituzioni competenti in materia, mirata a promuovere il dialogo in vista dell’UNGASS e della successiva attuazione delle sue raccomandazioni operative. (@OnuItalia)

martedì 15 marzo 2016

Iran, la misericordia ferma il boia

Nelle famiglie iraniane aumentano quanti scelgono di perdonare gli assassini, facendo decadere la legge del taglione. In sintonia con lo spirito del Giubileo

13/03/2016
PAOLO AFFATATO
da Vatican Insider




«Vuoi essere felice per un istante? Vendicati. Vuoi essere felice per sempre? Perdona», afferma Tertulliano. E’ quest’ultima la scelta di un numero crescente di famiglie iraniane che decidono di perdonare gli assassini dei propri figli, risparmiando loro l’esecuzione capitale.  

Quella contenuta nel nuovo rapporto dell’organizzazione non governativa Iran Human Rights, «è una buona notizia, che mostra il volto misericordioso delle famiglie iraniane. Perdonare il killer del proprio figlio non è semplice. E’ un gesto che è in piena sintonia con lo spirito della misericordia, centrale nella predicazione di Papa Francesco», osserva a Vatican Insider Mahmood Amiry-Moghaddam, iraniano della diaspora, portavoce internazionale di Iran Human Rights. «C’è un “movimento del perdono” che si fa strada nella società iraniana e che lascia ben sperare», nota. 

«Ricordiamo con gioia e abbiamo notevolmente diffuso e riproposto le parole e i recenti appelli di Papa Francesco a proposito della misericordia, in quest’anno speciale per i cattolici, e sulla necessità di abolire la pena di morte nel mondo. Auspichiamo che questo appello possa essere recepito anche dalle autorità iraniane, almeno per una moratoria sulla pena capitale» osserva. 

I dati diffusi dal nuovo Rapporto Iran Human Rights, presentato anche a Roma, raccontano un record di esecuzioni capitali nel 2015 in Iran: 969 persone messe a morte, con un aumento del 29% rispetto all’anno precedente. Tra i giustiziati, sono 638 le persone messe a morte per reati di droga, 207 per omicidio. I detenuti impiccati in pubblico sono stati 57, e al patibolo sono finiti anche 3 rei minorenni e 19 donne.  

«In media sono state impiccate dalle due alle tre persone al giorno, con un picco di 139 persone messe a morte nel solo mese di giugno» nota Amiry-Moghaddam. In questa fase di rinnovata apertura internazionale del paese, mentre centinaia di aziende in tutto il mondo stanno riallacciando i rapporti commerciali con l’Iran, l’Ong auspica che «le istituzioni internazionali, l’Unione Europea, l’Italia, il Vaticano possano esprimere al presidente Rouhani e ai membri del suo governo possano il disappunto per il grande numero di esecuzioni, facendo pressioni per una moratoria».  

Va notato che il numero di reati punibili con la pena di morte in Iran è uno dei più alti al mondo: si può andare al patibolo per accuse come adulterio, incesto, stupro, ma anche possesso o la vendita di sostanze illecite, omicidio premeditato, truffa traffico di esseri umani e dopo la quarta condanna per furto. Sul versante religioso, la pena capitale può essere comminata per insulti al profeta Maometto e a altri grandi profeti, per il reato di Moharebeh («dichiarare guerra a Dio»), di ifsad-fil-arz («corruzione sulla terra»). 

Il Rapporto diffuso da Iran Human Rights focalizza l’attenzione sulle esecuzioni per reati di droga, che rappresentano il 66% del totale. Ma le esecuzioni non hanno avuto un effetto deterrente sul traffico di droga e i problemi legati alla droga sono aumentati.  

In tale cornice si colloca la rinnovata e coraggiosa sensibilità della popolazione iraniana, di cittadini musulmani sciiti e appartenenti ad altre minoranze religiose, di scegliere non la vendetta ma il perdono. 

Secondo le autorità iraniane, infatti la «qisas» («legge del taglione») è un diritto privato che le autorità non possono negare o controllare. I parenti più stretti di una vittima di un omicidio, che abbiano raggiunto la maggiore età, possono decidere se il colpevole debba essere messo a morte o meno. E nel 2015 i casi in cui si è scelto il perdono sono 262, a fronte dei 207 casi di esecuzioni in cui è stata applicata la legge del taglione. 

Il 6 maggio 2015 a Shiraz il padre di una vittima di omicidio ha perdonato l’assassino di suo figlio togliendogli la corda dal collo pochi minuti prima dell’esecuzione. La vittima era un ufficiale della sicurezza ucciso da un colpo di pistola nel 2010. E ha fatto il giro del mondo il caso simile del 2014, in cui due madri, addolorate e commosse, si sono abbracciate e consolate a vicenda: l’una, madre del killer; l’altra, madre della vittima che aveva dispensato il perdono. 

Negli ultimi tre anni, nota Mahmood Amiry-Moghaddam, «il movimento del perdono è cresciuto in maniera significativa. I gruppi della società civile hanno giocato un ruolo importante in questo progresso». 

Secondo la magistratura iraniana il numero di casi di perdono tra il marzo 2013 e marzo 2014 sono stati 375; nell’anno successivo sono stati 395. Tra marzo 2015 e settembre 2015 sono stati 251, con un incremento significativo nel trend della «misericordia tra privati». Quella che nasce dal basso e può contagiare un intero paese.  

Sanders: no pena capitale, c'è già tanta violenza

''Con già tanta violenza nel
mondo, non ritengo che lo Stato debba uccidere delle persone. Sono contro la pena capitale''. 

Lo afferma Bernie Sanders, candidato democratico alla Casa Bianca, su Twitter. 
Hillary Clinton invece è espressa con un sì a pena morte in limitate circostanze, citando l'11 settembre: 'Deve essere competenza federale, per terroristi'. Rispondendo poi a una domanda di Ricky Jackson, che ha trascorso 39 anni nel braccio della morte per un crimine che non ha commesso e poi scarcerato, la candidata democratica spiega di non appoggiare l'idea della pena di morte lasciando la decisione ai singoli stati, ma la manterrebbe a livello federale per i terroristi. 


venerdì 11 marzo 2016

Bielorussia tra crisi internazionale, pena di morte e diritti umani

10 marzo 2016 20:23 ·
di Giuliano Bifolchi –

Minsk conferenza diritti umani 

Nella giornata di oggi a Minsk si è svolta la conferenza internazionale organizzata dalle Nazioni Unite dal titolo Death Penalty: Transcending the Divide, la quale ha focalizzato l’attenzione sulla pena di morte ed in generale sui diritti umani, tema che spesso ha gettato ombre e sfiducia sulla Bielorussia da parte della comunità internazionale.
La pena di morte ed i diritti umani sono soltanto uno degli ostacoli che la Bielorussia deve affrontare nel rapporto con l’Unione Europea; lo Stato, nato dalle ceneri dell’Unione Sovietica, è infatti al centro del gioco geopolitico che oppone l’occidente alla Federazione Russa e deve la sua importanza alla posizione geografica e al fatto che all’interno dei progetti economici del Cremlino, di Bruxelles, di Washington e recentemente di Pechino (vedi Minsk: tra l’Occidente e la Russia sbuca l’opzione cinese; La Bielorussia e la sua partecipazione alla Via della Seta).
Secondo quanto dichiarato di recente da Andrea Rigoni, relatore per la Bielorussia dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio di Europa (PACE), lo Stato bielorusso ha il potenziale per giocare un ruolo primario nella risoluzione delle crisi internazionali, fattore che ne evidenzia l’importanza per l’Unione Europea e la necessità di favorire maggiormente la sua integrazione.
Rigoni inoltre ha affermato che vorrebbe far tornare la Bielorussia nel Consiglio di Europa; secondo la sua opinione Minsk non deve scegliere tra occidente ed oriente, ossia tra Unione Europea e Federazione Russa, ma dovrebbe seguire il proprio percorso. Per facilitare l’accesso nel Consiglio di Europa, il quale ha una posizione chiara nei confronti della pena di morte, ossia la sua abolizione, Rigoni ritiene che una moratoria temporanea potrebbe favorire il tutto.
“Togliendo le sanzioni contro la Bielorussia – afferma Rigoni – l’Unione Europea ha compiuto un passo importante, il quale riconosce il miglioramento della situazione e mostra lo sforzo dell’Ue al dialogo”. Secondo il relatore italiano è giunta l’ora per la Bielorussia di seguire il proprio percorso di riforme sostenibili, eventualità discussa con le autorità bielorusse nell’ultimo anno sia a Strasburgo che a Minsk.
Durante l’incontro dei giorni scorsi con i membri del Parlamento europeo, i rappresentanti della Commissione, tra cui anche il rappresentante speciale dell’Ue per i Diritti umani, Rigoni ha dichiarato che “L’imminente campagna per le elezioni parlamentari sarà un importante opportunità per le autorità bielorusse di dimostrare la loro genuina volontà politica di avanzare verso il percorso della democrazia e dei diritti umani”.
Valyantsin Rybakou, rappresentante del ministero degli Esteri della Bielorussia, durante la conferenza organizzata dalle Nazioni Unite il 10 marzo a Minsk, ha sottolineato che la pena di morte non è proibita dal diritto internazionale ed è sostenuta dalla maggioranza della popolazione bielorussa.
“La maggioranza dei cittadini bielorussi – ha puntualizzato Rybakou – ha votato in favore del mantenimento della pena di morte nel referendum del 1996. Ripetuti sondaggi, i quali sono stati effettuati nel paese, suggeriscono che la pena di morte continua ad essere percepita differentemente nella società e continua ad avere la maggioranza dei sostenitori. Questo fatto non può essere e non sarà ignorato, includendolo nel contesto del dialogo con i nostri partner europei”.
Stavros Lambrinidis, rappresentante speciale dell’Ue per i Diritti umani, ha affermato che i paesi civilizzati dovrebbero abolire la vendetta e la pena di morte. Nel suo discorso Lambrinidis ha evidenziato come la Bielorussia stia ancora applicando la pena di morte mentre 28 stati europei hanno deciso di sospendere le esecuzioni dei prigionieri; a livello mondiale dal 1965 al 1978 il numero di paesi contro la pena di morte era salito da nove a sedici mentre al giorno d’oggi più di 150 paesi al mondo hanno abolito tale pratica.
Nella giornata di ieri Lambrinidis ha anche incontrato Vladimir Andreichenko, presidente della Camera dei deputati della Assemblea Nazionale bielorussa, con il quale ha discusso tematiche umanitarie. Andreichenko ha affermato che il paese è pronto per un dialogo costruttivo, di rispetto e di mutuo vantaggio per quanto riguarda ogni aspetto dei diritti umani. Perseguendo tale obiettivo il paese è al lavoro per disegnare un piano di azione nazionale in linea con le raccomandaizoni del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (UNHRC).
Karel Schwarzenberg, ex ministro degli Esteri della Repubblica Ceca e sostenitore attivo dell’abolizione della pena di morte, ha preso parte alla conferenza dopo aver incontrato nella giornata di ieri i parenti di Syarhei Khmyaleuski e Henadz Yakavitski i quali sono stati sentenziati a morte questo anno. Oltre a Schwarzenberg, erano presenti l’ambasciatore ceco in Bielorussia, attivisti umani e Lyubou Kavaliova, madre di Uladzislau Kavaliou la cui esecuzione a morte è stata eseguita nel 2012.
Schwarzenberg ha avvertito che il governo bielorusso è pronto a fare marcia indietro sulla questione inerente la moratoria o anche l’abolizione della pena di morte. L’ex ministro della Repubblica ceca ha sottolineato come in una situazione di difficoltà economica e finanziara come quella bielorussa l’Unione Europea avrebbe potuto ottenere molto di più. Infatti, dichiarandosi un irriducibile scettico, Schwarzenberg ha evidenziato come nel caso delle sanzioni Bruxelles avrebbe dovuto toglierle soltanto dopo l’introduzione di una moratoria sulla pena capitale; il rilascio di prigionieri politici da parte di Minsk, seppur evidenzia un cambiamento del paese, non ha motivato completamente la cancellazione delle sanzioni.
La visione negativa di Lambrinidis e Schwarzenberg non trova però pieno appoggio da parte di Sanaka Samarasinha, Coordinatore delle Nazioni Unite e Rappresentante di UNDP per la Bielorussia, il quale ha puntualizzato che ”La Bielorussia comprende che lo stato dovrebbe mostrare leadership nella tematica dei diritti umani, non solo per tutto quello che riguarda la pena di morte, ma per tutti i diritti dell’essere umano. Questo dialogo – ha aggiunto – sarà una vera discussione per la Bielorussia piuttosto che una istruzione, pressione oppure un dettare legge”.
L’incontro di Minsk rappresenta comunque un passo importante per lo Stato bielorusso il quale ha ospitato una conferenza su quello che tempi addietro era considerato un argomento “molto scottante”. La Bielorussia per gli esperti ha davanti a sé una lunga strada per raggiungere gli standard del rispetto dei diritti della persona, però non bisogna negare il fatto che negli ultimi tempi il governo di Minsk si è dimostrato maggiormente aperto verso l’Europa e verso le richieste europee. In una condizione di difficoltà economica e finanziaria, dovuta alla troppa dipendenza dalla Russia e da uno stato di “apparente isolamento”, l’Unione Europea potrebbe veramente sfruttare la situazione e gettare le basi per una partnership e per un miglioramento dei rapporti internazionali con la Bielorussia, fattore che permetterà ad entrambi di beneficiarne dal punto di vista economico, sociale e politico.

bifolchi fuori* Giuliano Bifolchi. Analista geopolitico specializzato nel settore Sicurezza, Conflitti e Relazioni Internazionali. Laureato in Scienze Storiche presso l’Università Tor Vergata di Roma, ha conseguito un Master in Peace Building Management presso l’Università Pontificia San Bonaventura specializzandosi in Open Source Intelligence (OSINT) applicata al fenomeno terroristico della regione mediorientale e caucasica. Ha collaborato e continua a collaborare periodicamente con diverse testate giornalistiche e centri studi.

martedì 1 marzo 2016

Incoerenza degli stati che usano la pena di morte

Sappiamo che il percorso che porterà all'abolizione della pena di morte sarà ancora lungo, tuttavia il convegno internazionale "Per un mondo senza pena di morte" promosso dalla Comunità di Sant’Egidio – che il Papa ha salutato domenica 21 febbraio durante l’Angelus, ha dato un nuovo impulso all’impegno abolizionista.
 I Ministri della Giustizia e i rappresentanti di 30 Paesi presenti a Roma si sono confrontati in modo inedito sul cammino da fare per difendere la vita: Paesi abolizionisti e Paesi mantenitori insieme. Sono stati ricevuti dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha rilanciato l’appello per un mondo senza pena capitale. 

Molti in questi giorni si sono uniti a noi in questa battaglia per l'umanità

Per questo riceviamo e volentieri pubblichiamo un contributo 
della Prof.ssa Giuliana Ammannati, docente in Filosofia e Scienze Umane. Pedagogista Clinico ANPEC


INCOERENZA DEGLI STATI CHE USANO LA PENA DI MORTE



Uno Stato quando condanna un suo membro alla pena di morte, sopprimendo la vita di una persona perché ha ucciso, commette, a sua volta, lo stesso identico crimine, la stessa identica colpa di chi viene mandato a morte.


Dunque per il principio usato verso la persona, questo Stato dovrebbe autocondannarsi ed essere punito, a sua volta, con la pena capitale.

La logica è la stessa, ma nell’applicarla si fanno, invece, due pesi e due misure.
La pena di morte è affermata per le singole, trascurabili persone, la cui vita è insignificante, superflua, irrilevante rispetto a un “tutto” che ha peso ed importanza.

Lo Stato che contempla la pena di morte per fare giustizia è sconfitto, al suo interno, dalla sua stessa incoerenza e si manifesta per quello che è: non evoluto, istintivo, non civile, non vitale e non creativo: infatti risponde alla morte con la morte e alla violenza con la violenza.

Si sconfessa da solo agli occhi non ciechi del mondo intero. 

Questo Stato potrà anche parlare di diritti, di pace, proclamare la giustizia sociale e adoperarsi in azioni umanitarie; resterà, comunque, inficiato e non credibile sotto il profilo umano e civile.

Nella storia si è rassegnato e si è consegnato alla mediocrità. E invece bisognerebbe essere pronti a ricominciare.

Agostino d’Ippona, scriveva: “Ti riesca sempre sgradito ciò che sei, se vuoi giungere a ciò che non sei ancora. Infatti quando ti fermi nella crescita e dici – Basta così -, è lì che sprofondi.”

Resta indietro chi non avanza. Pertanto, è augurabile, per questi Stati dove vige la pena di morte, un cambiamento di mentalità, una filosofia nuova, e un’azione politica che abbia come finalità la crescita verso la giustizia vera; cominciando dal riconoscere il valore supremo e sovrano della vita di ogni singola persona e della sua dignità, non soltanto quella dei popoli e delle nazioni.



Vivere senza pena di morte

dal Sole 24ore
di Gianfranco Ravasi

Pubblichiamo questo articolo del Card. Ravasi, apparso sul Sole 24ore del 28 febbraio, nel quale egli esprime la sua condivisione dell'appello contenuto
nel volume di Mario Marazziti che, inseguendo la scia di sangue che nella storia va da Caino al Califfato, spinge «verso un mondo senza pena di morte».



Alle mie spalle, nella cosiddetta «Sala del Prefetto», quando dirigevo la Biblioteca Ambrosiana di Milano, si levava una libreria interamente occupata dal Fondo Beccaria. In esso, con la segnatura Becc. B. 202, si notava una sorta di reliquia custodita in un astuccio in pelle e con una legatura altrettanto solenne scandita da uno scudo stellato vagamente massonico: era l’autografo, dalla stesura piuttosto tormentata, dell’opera massima di Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene (1764). Il testo, con l’intera sua biblioteca, era passato attraverso gli eredi al presidente della Camera di Commercio e consigliere comunale di Milano Angelo Villa Pernice, un appassionato bibliofilo, la cui vedova aveva donato all’Ambrosiana nel 1910 l’intero patrimonio librario del marito. Ricordo ancora l’emozione con cui i due presidenti Ciampi e Napolitano – in visita a quell’istituzione fondata dal cardinale Federico Borromeo – sfogliarono il manoscritto. L’opera è un po’ alla base della moderna civiltà giuridica: anzi, Napolitano mi aiutò a ricostruire persino l'influsso che questo saggio ebbe su Caterina di Russia e sul suo fallito tentativo di riforma del codice penale zarista.

Questa premessa autobiografica vuole idealmente attestare la personale condivisione dell’appello implicito che regge tutte le pagine del volume di Mario Marazziti della Comunità di S. Egidio che, inseguendo la scia di sangue che nella storia va da Caino al Califfato, spinge «verso un mondo senza pena di morte», come recita il sottotitolo. Il genere letterario di queste pagine è molto fluido ed è simile a un arcobaleno, se vogliamo adottare un simbolo pacifista abusato ma pertinente. Si oscilla, infatti, da un lato tra dati brutali, basati su eventi sconcertanti e cifre impressionanti, e d’altro canto riflessioni articolate e puntuali. Si introducono le voci che escono da quell’oltretomba anticipato che sono le carceri ove i detenuti sono nel limbo dell’inferno e ove si consumerà l’esecuzione capitale, vere e proprie «voci dal silenzio». Si producono i documenti elaborati dall’Onu e da altre istituzioni perché cessi questa barbarie, ma si offre una parallela documentazione della mattanza che continua serena in molti stati, anche in quelli spesso elevati a vessillo di civiltà (leggi gli Usa).

Non ci si appella a vaghi alibi quando si analizza il fenomeno scandaloso dei condannati innocenti, così come non si hanno esitazioni nel coinvolgere in questo dibattito rovente le grandi religioni e le loro ambiguità. E qui entra in scena il grande rischio del fondamentalismo e l’assenza di una corretta ermeneutica dei testi sacri, a partire dalle pagine bibliche. O anche si denunciano certe esitazioni, come nel caso del n. 2267 del Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, poi superato dai reiterati interventi contro la pena di morte di s. Giovanni Paolo II, nella linea di una coerente tutela integrale della sacralità della vita, posta – nella concezione religiosa – sotto il sigillo esclusivo della suprema cassazione divina, come suggerisce il celebre asserto biblico su Caino (Genesi 4,15: «Il Signore pose a Caino un segno perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse»).

Le rievocazioni storiche nel libro di Marazziti si associano alle testimonianze che grondano umanità, miseria, incubo, ma anche illuminazione, redenzione, speranza: emblematico è il dialogo con Ray Krone, liberato dopo dieci anni di inferno nel braccio della morte di Tucson in Arizona, «uscito innocente, pieno di ferite della vita, ma ancora vivo». Alla genealogia cronologica di questa atroce storia delle esecuzioni di stato, a partire dall’antico Egitto e dal codice di Hammurabi (in esso 25 reati contemplano la pena capitale), giù giù fino all’ultima votazione per l’abolizione di questa prassi, il 27 maggio 2015 nel Nebraska, si unisce un altro curioso elenco, quello dei «tredici modi per vivere senza la pena di morte», pagine da far meditare non solo ai politici ma anche ai molti cittadini che si lasciano abbandonare ai fremiti delle reazioni “di pancia”, spegnendo ogni collegamento con la ragione.

Marazziti non teme anche di affrontare l’altro versante speculare ove sono insediati i familiari delle vittime, senza incorrere nella banalità dell’intervistatore televisivo che col microfono impugnato domanda: «Lei perdona?». È, questo, un altro capitolo del complesso rapporto tra giustizia e amore, tant’è vero che, se è necessario che «nessuno tocchi Caino», è altrettanto decisivo che si stia dalla parte di Abele. Al contrasto senza “se” e senza “ma” alla logica della vendetta proclamata dal truce personaggio biblico Lamek (Genesi 4,23-24: «Uccido un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamek settantasette»), si deve però associare la voce dei profeti che, senza esitazioni, esige che «come acqua scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne» (Amos 5,24).

In questo anno giubilare posto all’insegna della misericordia sarebbe significativa una moratoria per la pena di morte. È, perciò, significativo ascoltare le ragioni che Marazziti, attraverso pagine striate di esperienze personali e di passione, cerca di comporre in un caleidoscopio, scuotendo le coscienze. È questa la vera opposizione contro chi, invece, imbraccia la spada della violenza criminale: è noto, infatti – e la statistica lo conferma – che la pena capitale non è un deterrente al terrorismo o ai delitti di sangue e ai crimini in genere. Un appello, certo, alla giustizia vera, efficace, celere ma anche un impegno a elaborare un sistema educativo che ritrovi il senso trascendente (laicamente e religiosamente) di ogni vita e del suo rispetto. Incisivo è il monito divino proposto nel libro del profeta Ezechiele: «Forse che io, il Signore, ho piacere della morte del malvagio o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?... Io non godo della morte di chi muore» (18,23.32).