mercoledì 13 aprile 2016

Bielorussia l'UE condanna l'uso della pena di morte.


Bruxelles, 12 apr 17:54 - (Agenzia Nova) 
L'Unione europea condanna l'uso della pena capitale, che rappresenta un'inaccettabile negazione della dignità e dell'integrità umana. 
È la posizione espressa in una nota del Servizio europeo per l'azione esterna (European external action service-Eeas), sulla condanna a morte di Henadz Yakavitski da parte della Corte suprema della Bielorussia. 

"L'Unione europea invita la Bielorussia, l'unico paese in Europa che applica ancora la pena di morte, a rispettare il diritto alla vita per ciascuno dei suoi cittadini e a partecipare a una moratoria globale sulla pena di morte, come primo passo verso la sua completa abolizione" si legge nella nota. L'Ue invita inoltre la Bielorussia a continuare il suo impegno costruttivo con la società bielorussa a riguardo, anche attraverso dibattiti pubblici, come la recente conferenza internazionale sulla pena di morte che si è tenuta a Minsk il 10 marzo. (Beb)

Un'altra vita è stata tolta. Eseguita la condanna di Kenneth Fults in Georgia (Usa)

La morte di Kenneth mette ancora in evidenza quanto sia necessario ascoltare l'appello che Papa Francesco ha rivolto ai responsabili degli Stati di abolire la pena di morte. 

Kenneth Fults, 47, è stato messo a morte alle 19:00 di ieri, martedì 12 aprile, mediante iniezione di pentobarbital barbiturici nella prigione di stato a Jackson. 

Fults è la quarta persona messa a morte in Georgia quest'anno. Un altro detenuto, Daniel Lucas, è in programma per l'esecuzione il 27 aprile.

Fults è stato dichiarato colpevole nel 1997 per aver ucciso una giovane.

Il Comitato di Stato di grazia e libertà ieri ha rifiutato di concedere la grazia a Fults nel corso di un'audizione per la clemenza a Fults. Il Comitato per la grazia è l'unica entità in grado di commutare la pena di morte in Georgia.

In una petizione di clemenza presentata al Comitato per la grazia, gli avvocati di Fults hanno parlato di un'infanzia caratterizzata da incuria e abusi da parte dei membri della famiglia. Probabilmente per queste ragioni Fults ha una disabilità intellettiva. I suoi avvocati hanno scritto che: "Per tutta la vita, Kenneth Fults è stato abbandonato e respinto da coloro che avrebbero dovuto prendersi cura di lui, deriso e respinto da coloro che potevano aiutarlo, picchiato da membri della famiglia e anche da estranei".

Ha espresso rimorso alla madre della vittima e si è assunto la responsabilità delle sue azioni, dichiarandosi colpevole e chiedendo perdono.

NO ALLA PENA DI MORTE ANCHE NELL’ESORTAZIONE APOSTOLICA “AMORIS LAETITIA”

Papa Francesco ribadisce il suo No alla pena di morte anche nella recente Esortazione Apostolica Post Sinodale “Amoris Laetitia”.  

Con tenacia ed insistenza rinnova l’appello rivolto a tutti i governi mondiali per l’abolizione della pena capitale. 

Si legge infatti nel Terzo Capitolo, paragrafo “La Trasmissione della Vita e l’Educazione dei Figli”, al n° 83: “…La Chiesa non solo sente l’urgenza di affermare il diritto alla morte naturale, evitando l’accanimento terapeutico e l’eutanasia”, ma “rigetta fermamente la pena di morte”.

Il passaggio in questione è stato ripreso dal Pontefice dal testo della Relazione Finale del recente Sinodo dei Vescovi sulla “Vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa  e nel mondo contemporaneo”, pubblicata il 24 ottobre 2015, nella III Parte, capitolo II, n°64.

Si tratta di una delle affermazioni più nette espresse dal Papa e dalla Chiesa (nella solennità della riunione sinodale) contro l’utilizzo della pena di morte quale estrema sanzione penale. 

martedì 12 aprile 2016

Papa Francesco torna a chiedere amnistia e abolizione della pena di morte!


Papa Francesco ha ribadito ieri nel corso di una conferenza le richieste rivolte ai responsabili degli Stati, in questo Anno Giubilare: "l'abolizione della pena di morte, la' dove essa è ancora in vigore, insieme alla possibilità di un'amnistia, e la cancellazione o la gestione sostenibile del debito internazionale degli Stati più poveri". Francesco ha poi aggiunto che "Il grande ostacolo da rimuovere" per realizzare una "fraternità all'interno delle nazioni" è quello "eretto dal muro dell'indifferenza".

I tre temi sono affrontati in un messaggio letto dal cardinale Peter Turkson alla Conferenza che si tiene a Roma sul tema "Nonviolence and Just Peace: Contributing to the Catholic Understanding of and Commitment to Nonviolence" organizzata congiuntamente dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e dal Movimento Pax Christi", incontro, che "assume un carattere ed un valore del tutto particolari nell'Anno Giubilare della Misericordia".

Nel testo, Francesco invita a "cercare vie di soluzione alla singolare e terribile 'guerra mondiale a pezzi' che, ai nostri giorni, gran parte dell'umanità sta vivendo in modo diretto o indiretto". 

Per il Papa, a tal fine "e' necessario riscoprire le ragioni che spinsero nel secolo scorso i figli di una civiltà in grande parte ancora cristiana a dare vita al Movimento Pax Christi e al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace". "E' necessario cioè - spiega Francesco - operare per una pace vera tramite l'incontro fra persone concrete e la riconciliazione fra popoli e gruppi che si affrontano da posizioni ideologiche contrapposte e impegnarsi per realizzare quella giustizia cui le persone, le famiglie, i popoli e le nazioni sentono di aver diritto, sul piano sociale, politico ed
economico per compiere la loro parte nel mondo". 

Infatti, "accanto al sapiente sforzo di quella superiore fantasia creativa, che chiamiamo diplomazia che va continuamente alimentato, e alla promozione, nel mondo globalizzato, della giustizia, che e' ordine nella libertà e nel dovere cosciente". Ed ugualmente, per Bergoglio "e' necessario rinnovare tutti gli strumenti più adatti a concretizzare l'aspirazione alla giustizia e alla pace degli uomini e delle donne di oggi". Tra questi il Papa indica "anche la riflessione per rilanciare il percorso della non violenza, e in specie della non violenza attiva", che costituisce "un necessario e positivo contributo".

lunedì 11 aprile 2016

Sudafrica un esempio per superare i conflitti

di Agnese Moro

da La Stampa, 
10 aprile 2016

Nell'aprile del 1996 la Commissione per la verità e la riconciliazione della Repubblica Sudafricana teneva la sua prima seduta pubblica. 

Voluta da Mandela per fare luce sulle violazioni dei diritti umani durante l'apartheid, la Commissione - presieduta da Desmond Tutu - aveva adottato un modello di giustizia fondato sull'ascolto, in udienze pubbliche, di migliaia di vittime e di "perpetratori", con il potere di concedere a questi ultimi l'amnistia, a condizione, tra l'altro, di una piena ammissione dei crimini.

Per avere un'idea di come si svolgessero le sedute guardate una puntata della trasmissione "Un giorno in Pretura" (www.youtube.com/watch?v=JRgpjC_VvIs) che ce ne propone una, tradotta. È un'esperienza, quella sudafricana, non unica, né anticipatrice, ma alla quale in tanti fanno riferimento per la capacità che ha avuto di accompagnare una così ampia ridistribuzione del potere e per le tante indicazioni che dà a coloro che cercano modelli di erogazione della giustizia più attenti alle ferite delle vittime e dei colpevoli e alla ricostruzione di legami sociali compromessi dai conflitti.

Molto opportunamente il Dipartimento di Scienze religiose dell'Università Cattolica di Milano, in collaborazione con il progetto "Giustizia e letteratura" del Centro Studi "Federico Stella" sulla Giustizia penale e la Politica criminale ha voluto ricordare questo importantissimo avvenimento con il convegno internazionale "Conflitto, ragione e riconciliazione.

Il Sudafrica vent'anni dopo" al quale hanno preso parte figure di primo piano che quella esperienza l'hanno vissuta - come Pumla Gobodo-Madikizela e Albie Sachs, narrata - come Robi Damelin e Etienne van Heerden, o studiata - come Eddy van der Borght e John De Gruchy. Molto opportunamente, dicevo, perché il tema non è commemorativo: non riguarda tanto il passato quanto il presente e il futuro di un mondo che se vuole andare avanti deve imparare a curare le terribili ferite che ogni conflitto lascia dietro di sé, e che non guariscono da sole. Rischiando sempre di diventare il terreno favorevole per nuovi conflitti. In una spirale che bisogna avere la capacità di spezzare.

domenica 10 aprile 2016

Birmania: liberi 100 detenuti politici


Oltre 100 prigionieri politici sono stati rimessi in libertà tra ieri e oggi in Birmania, parte di un indulto ordinato dalla leader di fatto del governo Aung San Suu Kyi. 

Il gesto, altamente simbolico per il "nuovo corso" della democrazia birmana, è stato però oscurato da un altro caso che ha portato ieri alla condanna di due altri attivisti per la pace, per i loro contatti con un gruppo ribelle di una minoranza in guerra con il governo centrale.

Secondo il quotidiano statale "Global New Light of Myanmar", sono 113 i detenuti tornati in libertà, tra cui una sessantina di studenti in attesa di processo da un anno dopo l'arresto per la loro partecipazione a manifestazioni contro una controversa riforma dell'istruzione. 

La gioia delle famiglie per il rilascio è stata però oscurata dal caso di Zaw Zaw Latt e Pwint Phyu Latt, due attivisti musulmani condannati ieri da una corte di Mandalay a 2 anni ai lavori forzati per i loro contatti con l'Esercito per l'indipendenza Kachin, un gruppo di ribelli cristiani.

Texas, dopo 37 anni nel "braccio della morte" condannato muore per cause naturali


AUSTIN (Texas) - E' morto per cause naturali all'età di 78 anni, dopo averne trascorsi 37 e mezzo nel braccio della morte in Texas. 

Jack Harry Smith era stato condannato alla pena capitale nel 1978 per l'omicidio del cassiere di un supermercato. Arrestato per la prima volta nel 1955 per diverse rapine, condannato all'ergastolo per una rapina nel 1957, era stato posto in libertà condizionale nel 1977. Alle sue spalle anche un tentativo di evasione nel 1963.

Durante i 37 anni e mezzo trascorsi da Smith nel braccio della morte, in Texas sono stati giustiziati 537 detenuti. Da anni era debilitato e la settimana scorsa il Dipartimento di Giustizia ne aveva disposto il trasferimento dal carcere in una clinica, dove è morto.

sabato 9 aprile 2016

Torino è città per la vita e aderisce al Congresso di Oslo

Torino contro la pena di morte, Fassino annuncia l’adesione al congresso di Oslo


Negli ultimi mesi il Congo Brazzaville, le isole Fiji, il Madagascar, la Mongolia e il Suriname hanno detto basta alle esecuzioni capitali

Dal 21 al 23 giugno a Oslo, in Norvegia, si terrà il 6° Congresso  mondiale contro la pena di morte. 


TORINO, 8 Aprile 2016 – “Non possiamo che batterci perché la pena di morte sia superata in ogni paese e sia considerata una pratica terribile del passato”. Così Piero Fassino, sindaco di Torino, annunciando l’adesione della città al sesto congresso mondiale contro la pena di morte, in calendario dal 21 al 23 giugno a Oslo.

Al convegno, “un’occasione importante per dare il massimo risalto a questa battaglia”, sono attesi 1.500 partecipanti da 80 Paesi, fra cui esponenti di governi, attivisti dei diritti umani, rappresentanti della società civile, oltre all’Alto commissario della Nazioni Unite per i diritti umani Zaid Ra’ad Hussein, e il segretario generale del Consiglio d’Europa Thobjorn Jagland.

“Nessuna ragione, religiosa, culturale o sociale, giustifica che si possa uccidere un uomo. La lotta alla criminalità richiede il massimo di rigore, di sanzione, ma i sistemi giudiziari e penali hanno tutta la possibilità di sanzionare i reati più gravi senza ricorrere a una pena che sana un dolore producendone dell’altro”, ha aggiunto Fassino.

Negli ultimi cinque mesi il Congo Brazzaville, le Isole Fiji, il Madagascar, la Mongolia e il Suriname hanno detto basta alle esecuzioni capitali. Nel mondo ci sono 98 Paesi abolizionisti per tutti i crimini, sette che la mantengono per reati “eccezionali”, quali quelli commessi in tempo di guerra, 35 abolizionisti de facto (non vi si registrano esecuzioni da più di dieci anni oppure hanno assunto un impegno internazionale a non proseguire), ma si contano anche 35 Paesi “retenzionisti” che la mantengono ancora in vigore.

Alla “World Coalition Against the Death Penalty” partecipano 140 organizzazioni tra cui le italiane Nessuno tocchi Caino e la Comunità di Sant’Egidio.

Giunto al sesto appuntamento, dopo quelli di Strasburgo, Montreal, Parigi, Ginevra e Madrid (ogni tre anni dal 2001), il congresso mira ad “eliminare l’obbligatorietà della pena di morte, lasciando sempre al giudice la discrezionalità nell’applicazione”, a  trasformare i Paesi abolizionisti di fatto in abolizionisti di diritto, a coinvolgere la società civile nella lotta alla pena di morte, anche in vista della prossima assemblea generale delle Nazioni Unite. Lo ha spiegato Antonio Stango, dell’associazione Nessuno tocchi Caino, intervenuto alla presentazione del convegno di Oslo svoltasi oggi al Palazzo civico, durante cui l’Associazione radicale Adelaide Aglietta ha chiesto l’adesione anche della Regione Piemonte.
da Onuitalia.com

giovedì 7 aprile 2016

CONDANNE A MORTE ED ESECUZIONI NEL 2015


la pena di morte nel mondo

Pubblicato il rapporto di Amnesty International. 

Si registra un aumento delle esecuzioni in un'area geografica del mondo, ma il boia si è fermato in 4 Paesi e ora più della metà nel mondo è completamente abolizionista







I dati del 2015 necessitano una lettura attenta perché presentano  tendenze e sviluppi fortemente contrastanti. Da un lato, quattro paesi hanno abolito la pena di morte (Repubblica del Congo, Figi, Madagascar e Suriname), rafforzando l’andamento verso l’abolizione globale a lungo termine. Tuttavia, il numero di esecuzioni durante l’anno è aumentato più del 50% rispetto al 2014 e rappresenta il più alto numero di esecuzioni dal 1989. 

E’ un dato che non considera la Cina, dove i dati sull’uso della pena capitale continuano a essere classificati come segreto di stato. L’applicazione della morte continua ad essere una questione principalmente asiatica. Infatti, di tutte le esecuzioni rilevate, l’89% è avvenuto in soli tre paesi: Arabia Saudita, Iran e Pakistan. In Arabia Saudita e Iran, il numero di esecuzioni registrate da Amnesty International è aumentato, rispetto all’anno precedente, rispettivamente del 76% e del 31%. Più di 320 persone sono state messe a morte in Pakistan nel 2015. Questo rappresenta il più elevato numero di esecuzioni che Amnesty International ha mai rilevato in questo paese in un solo anno, e fa seguito alla revoca della moratoria di sei anni sulle esecuzioni del 17 dicembre 2014.

Si è avuto un significativo aumento delle esecuzioni in Egitto e Somalia. Ciad e Oman hanno ripreso ad eseguire. Lo stesso è avvenuto in Bangladesh, India, Indonesia e Sudan del Sud, dove nessuna esecuzione era stata riportata nel 2014, benché tutti avessero messo a morte persone nel 2013. Tre paesi che avevano usato la pena capitale nel 2014, Bielorussia, Guinea Equatoriale, Palestina (Stato di), non hanno eseguito sentenze capitali nel 2015.

Nel 2015 sono state condannate a morte almeno 1.998 persone in 61 paesi . Si tratta di un dato significativamente più basso di quello degli anni precedenti, in particolare se confrontato con quello del 2014, quando si registrò la cifra record di 2.466 condanne a morte. In alcuni paesi come Camerun, Ghana, Indonesia, Iraq, Libano, Kuwait, Sierra Leone, Palestina (Stato di) e Tunisia, Amnesty International ha registrato un preoccupante aumento nel numero di condanne a morte, spesso per reati di terrorismo o connessi al consumo e allo spaccio di sostanze stupefacenti. Alla fine del 2015, almeno 20.292 persone erano detenute nei bracci della morte in tutto il mondo.

Si segnalano commutazioni o provvedimenti di grazia in 34 paesi: Afghanistan, Arabia Saudita, Bahrein, Bangladesh, Belize, Cina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Ghana, Giamaica, India, Indonesia, Iran, Kuwait, Liberia, Malawi, Mali, Malesia, Maldive, Mongolia, Nigeria, Pakistan, Qatar, Repubblica Democratica del Congo, Singapore, Sri Lanka, Stati Uniti d’America, Swaziland, Taiwan, Thailandia, Trinidad e Tobago, Vietnam, Zambia e Zimbabwe. Amnesty International ha registrato 71 proscioglimenti di detenuti condannati a morte in sei paesi: Cina (1), Egitto (1), Nigeria (41), Pakistan (almeno 21), Stati Uniti d’America (6) e Taiwan (1).

Nel 2015, il numero totale di paesi abolizionisti per tutti i reati ha raggiunto quota 102. Anche altri paesi hanno fatto registrare progressi: a dicembre la Mongolia ha approvato un nuovo codice penale che entrerà in vigore a settembre 2016 abolendo la pena di morte per tutti i reati; il governatore della Pennsylvania ha istituito una moratoria sulle esecuzioni a febbraio; Cina e Vietnam hanno ridotto il numero di crimini punibili con la pena capitale; e la Malesia ha annunciato riforme per rivedere le leggi riguardanti la pena di morte con mandato obbligatorio. Burkina Faso, Corea del Sud, Guinea e Kenya hanno preso in esame leggi mirate all’abolizione.

E’ opportuno ricordare che nel 1977  erano solo 16 gli stati che avevano abrogato completamente la pena capitale. Oggi la maggioranza dei paesi al mondo è abolizionista totale, e molti altri paesi (oltre 30) non eseguono condanne a morte da più di dieci anni, oppure hanno dato chiara indicazione che si stanno muovendo verso l’abolizione totale.

domenica 3 aprile 2016

Appello urgente per salvare la vita di Kenneth Fults

Aderiamo all’appello lanciato dalla National Coalition to abolish the Death Penalty per salvare la vita di KENNETH FULTS condannato a morte in Georgia (USA)

Kenneth Fults oggi ha 48 anni e si trova nel braccio della morte dal 1997. 
La data della sua esecuzione è fissata per il prossimo 12 aprile, abbiamo poco tempo, aiutaci a far girare l'appello. 

Chiediamo clemenza per Kenneth firmando l'appello 

Per firmare è sufficiente cliccare questo link:

Per leggere la sua storia consulta questo sito: