sabato 28 febbraio 2015

In un libro l’itinerario spirituale di Jeanne Bishop, familiare di vittima

CHANGE OF HEART 

Il libro descrive l’itinerario spirituale di Jeanne Bishop, che nel 1990 a Chicago vede uccidere la sorella. La sua vita viene stravolta da questo fatto di sangue e dalla perdita di una persona così cara. Giorno dopo giorno il suo cuore cambia.
Nell’animo di Jeanne, sorretta dalla fede che ha ricevuto, col tempo crescono sentimenti forti che la aiutano a superare un periodo molto difficile per la sua famiglia. La ricerca della misericordia e della giustizia la portano ad incontrare l’assassino della sorella, a riconciliarsi con lui  e poi a battersi affinchè non sia messo a morte.
Una volta divenuta avvocato Jeanne inizia ad occuparsi di giovani e giovanissimi che commettono gravi delitti e continua a farlo anche oggi che negli Stati Uniti è stata abolita la pena di morte per i minorenni, dopo la decisione della Corte Suprema nel 2005).
Dall’esperienza di Jeanne emerge con chiarezza una profonda verità che sta alla base del moderno concetto di giustizia: non vi può essere una giustizia penale “giusta” senza pietà e misericordia.
Jeanne Bishop da diversi anni fa parte dell’associazione “Murder Victims’ Families for Human Rights”.
Il libro è reperibile su Amazon.

CHANGE OF HEART - One Woman's Journey After Her Sister's Murder
Jeanne Bishop has written a new book about her life and spiritual journey after her sister was murdered in Illinois in 1990.Change of Heart: Justice, Mercy, and Making Peace with My Sister's Killer tells Bishop's personal story of grief, loss, and of her eventual efforts to confront and reconcile with her sister's killer. She also addresses larger issues of capital punishment, life sentences for juvenile offenders, and restorative justice. Former Illinois Governor George Ryan said of the book, "When I commuted the death sentences of everyone on Illinois's death row, I expressed the hope that we could open our hearts and provide something for victims' families other than the hope of revenge. I quoted Abraham Lincoln: 'I have always found that mercy bears richer fruits than strict justice.' Jeanne Bishop's compelling book tells the story of how devotion to her faith took her face-to-face with her sister's killer .... She reminds us of a core truth: that our criminal justice system cannot be just without mercy."
Book available on Amazon.

mercoledì 25 febbraio 2015

Indonesia: nessuna clemenza per undici stranieri condannati a morte per droga

L’Indonesia giustizierà undici persone condannate a morte per traffico di droga. Nessuna clemenza ha detto il presidente indonesiano Joko Widodo per gli undici provenienti da Brasile, Francia, Paesi Bassi e Australia. Le autorità indonesiane hanno inviato i diversi Paesi a non interferire più nel diritto sovrano di Giacarta di infliggere la pena capitale. La legislazione del Paese in questa materia è una delle più severe al mondo, la pena di morte è stata reintrodotta nel 2013 dopo cinque anni di sospensione delle esecuzioni.

Il caso ha scatenato nuove tensioni diplomatiche. Brasile e Paesi Bassi, per un precedente episodio di condanna a morte per droga di loro cittadini, hanno già ritirato i loro due ambasciatori.

Centinaia di persone si sono riunite in una veglia a Melbourne per un appello alla grazia dell’ultimo minuto. Le autorità australiane cercano ancora di salvare dal braccio della morte i due connazionali, Andrew Chan e Myuran Sukumaran, arrestati nel 2005 a Bali per traffico di droga.

lunedì 23 febbraio 2015

Napoli: Poggioreale, operazione umanità... così sta cambiando il carcere

Il 21 marzo prossimo Papa Francesco pranzerà con i detenuti, l'attesa di questo evento già da ora contribuisce a creare un clima di entusiasmo nel carcere di Poggioreale

di Antonio Mattone

Il Mattino, 23 febbraio 2015

Roberto Saviano nell'intervista rilasciata a Fabio Fazio durante la trasmissione "Che tempo che fa", ha parlato del carcere di Poggioreale come di un luogo "di totale assenza dei diritti, uno spazio che non è pensabile in uno stato democratico".
Ci sembra, quella dello scrittore, una visione che non tiene conto dei grandi processi di cambiamento che sono in corso. A partire dalla scorsa estate, infatti, è in atto una profonda trasformazione di questo istituto. Poggioreale, infatti, sta diventando a poco a poco un carcere più umano e normale.

Innanzitutto il numero dei detenuti è sceso di oltre mille unità, passando da quasi tremila alle milleottocento persone recluse. Una riduzione significativa che rende più efficaci le attività trattamentali per il recupero e la rieducazione dei carcerati.
Certo, i problemi relativi al sovraffollamento restano e sono gravissimi ma l'aria che si respira e le innovazioni che la direzione sta mettendo in campo che danno la cifra del cambiamento che sta avvenendo dentro quelle mura. Appena si varca il portone di ingresso non si sente più quell'aria di sospetto e di paura che si avvertiva negli anni passati. Indubbiamente anche la prossima visita di papa Francesco, che il 21 marzo pranzerà con i detenuti, contribuisce a creare un clima di entusiasmo e a migliorare la condizione degli spazi grazie ai lavori di ristrutturazione messi in campo. Ma non si tratta solo di un restyling esteriore. Infatti tra gli interventi innovativi bisogna segnalare quello realizzato al padiglione Firenze, dove sono collocate le persone alla prima esperienza detentiva, che è diventato un reparto dove si applica il cosiddetto "regime aperto".
Qui i detenuti durante le ore del giorno sono liberi di circolare all'interno della sezione e di entrare nelle altre celle, per poi tornare nella propria nelle ore notturne. Nei prossimi mesi questo regime verrà applicato anche ad altri padiglioni. Una svolta c'è stata anche per lo svolgimento dei colloqui.
L'apertura di nuove sale d'aspetto e l'introduzione dell'ingresso in ordine alfabetico hanno fatto si che scomparissero quelle file vergognose di mamme e bambini fuori al carcere. Gli incontri con i propri familiari oggi avvengono in un clima più sereno, senza banconi divisori e, a turno, nell'area verde dove poter abbracciare liberamente i propri figli. È stata inoltre offerta la possibilità di fare i colloqui il sabato, in modo da permettere ai bambini di non saltare la scuola.
Non da ultimo va considerato l'ampliamento delle ore d'aria, che da due sono ora diventate quattro.
Ripetiamo: i problemi di Poggioreale sono ben noti, e ancora molto resta da fare. Un cambiamento di mentalità chiesto al personale ma anche ai detenuti non è facile e ha bisogno di tempo e perseveranza. E sicuramente i commenti beceri su Facebook di quegli agenti che commentavano con soddisfazione il suicidio di un detenuto ergastolano restano una brutta pagina di disumanità. Bisogna piuttosto ricordare quei tanti episodi che hanno visto i poliziotti penitenziari protagonisti di salvataggi all'ultimo secondo, tagliando corde già al collo e tamponando le ferite di chi si tagliava le vene. Gesti che sono rimasti anonimi e non sono finiti sulle pagine dei quotidiani.
La storia cambia, talvolta in modo improvviso e repentino come avvenne per la caduta del muro di Berlino. Altre mura si sgretolano più lentamente, come quelle di omertà e violenza che nel passato sono state consumate nel carcere di Poggioreale.

Lo stato della Georgia fissa la data d’esecuzione di una donna, la prima dal 1945


di Riccardo Noury


Il giudice della contea di Gwinnett, nello stato della Georgia, ha firmato l’ordine di esecuzione di Kelly Renee Gissendaner (nella foto WXIA-tv). La morte per iniezione letale avrà luogo alle 7 di sera di mercoledì 25 febbraio, a meno che in extremis il comitato per la grazia (convocato per dopodomani) non intervenga in suo favore.

Gissendaner è stata condannata a morte nel 1998 per aver spinto l’anno prima il suo fidanzato, Gregory Owen, a uccidere il marito per incassarne la polizza assicurativa sulla vita. Owen ha collaborato alle indagini, assumendosi la responsabilità dell’omicidio e chiamando in causa la mandante. Per questo, gli è stata risparmiata la pena capitale ed è stato condannato all’ergastolo.

Per chi si batte contro la pena di morte, il genere dei condannati alla sanzione estrema fa poca differenza. Per altri versi, il caso fa notizia.

Gissendaner rischia di essere la prima donna messa a morte in Georgia dal 1945. Le poche  altre esecuzioni di donne nello stato risalgono addirittura al XIX secolo.

Il 5 marzo 1945 Lena Baker, un’afroamericana di 44 anni, finì sulla sedia elettrica per aver ucciso il suo datore di lavoro, un bianco di nome Ernest Knight. Il verdetto venne emesso da una giuria di uomini bianchi, al termine di un processo durato un solo giorno.

Sessant’anni dopo, lo stato della Georgia ha riconosciuto che Lena Baker non avrebbe dovuto essere messa a morte, avendo agito per autodifesa contro Knight, che l’aveva imprigionata e minacciata di morte se lo avesse lasciato.

Gissendaner è una delle 59 donne in attesa dell’esecuzione nei bracci della morte di 18 degli stati degli Usa.

La prima esecuzione documentata di una donna negli Usa risale al XVII secolo: dal 1632 al 2014 ve ne sono state 574 di cui 15 dal 1977 (su un totale di 1402), l’anno del ripristino della pena di morte dopo un quinquennio di moratoria.

Le ultime tre esecuzioni di donne (una nel 2013 e due nel 2014) hanno avuto luogo tutte in Texas.

Turchia, quando è la polizia a dire no alla pena di morte

da Le persone e la dignità

di Riccardo Noury






L’efferato omicidio della 20enne Özgecan Aslan ha acceso il dibattito sulla pena di morte in Turchia, il primo paese a maggioranza musulmana ad aver definitivamente abolito la pena capitale, ormai 21 anni fa, e nel quale l’ultima esecuzione ha avuto luogo nel 1986.

Convinta che invocare la pena di morte in casi come quello dell’uccisione di Özgecan Aslan porti nell’immediato un discreto consenso popolare – magari utile alle successive elezioni – la ministra della Famiglia e delle Politiche sociali Aysenur Islam è stata sollecita nel chiederne il ripristino.

Ma, come sottolinea Ceylan Ozbudak, analista politica, presentatrice televisiva e direttrice esecutiva dell’Ong istanbulita “Costruire ponti”, anche se il corpo straziato di Özgecan Aslan provoca una tentazione di vendetta difficilmente frenabile, occorre pensarci non due ma tre volte prima di trasformare le emozioni in legge dello stato.

Contro il ripristino della pena di morte, Ozbudak cita le risposte date dai capi di polizia della Turchia quando è stato chiesto loro di indicare “il principale fattore per ridurre il crimine violento”.

Ecco le risposte: più agenti di polizia, riduzione del consumo di droga, maggiori posti di lavoro, un’economia in crescita, pene detentive più lunghe. La pena di morte è stata citata nell’1 per cento delle risposte.  Il 57 per cento degli intervistati haconvenuto che la pena di morte serve a poco per prevenire il crimine, poiché è raro che gli autori riflettano sulle conseguenze delle loro azioni prima di portarle a termine.

Come se non bastasse la contrarietà sul piano utilitaristico, ecco le parole del padre di Özgecan Aslan:

“Può anche essere che se tornasse la pena di morte qualcuno verrebbe dissuaso, ma non è la soluzione. Invece, le persone dovrebbero imparare a controllarsi”.
Nessuno nasce criminale, ma può crescere in un ambiente che, anziché insegnargli a controllarsi, lo induca a diventare un assassino.

Come un ambiente nel quale la vita delle donne vale poco più di zero e in cui le decisioni sui loro desideri e sui loro corpi, sulla loro libertà e sui loro diritti, appartengono ad altri. Allo stato e alle sue leggi, ai parenti e al loro “onore”, alla società e alle sue tradizioni. Agli uomini.

È in quell’ambiente che, nel 2014, sono aumentati del 40 per cento gli omicidi di donne. È in quell’ambiente che sono nati e cresciuti Özgecan Aslan e il suo assassino Suphi Altindoken.

domenica 22 febbraio 2015

Bielorussia: tra le prime richieste di Strasburgo la moratoria sulla pena di morte

Ieri a Minsk è arrivato il ministro degli Esteri della Lettonia, presidente di turno dell'Unione europea. La prossima settimana è atteso l'inviato del Consiglio d'Europa, Andrea Rigoni, in Bielorussia mercoledì e giovedì per riavviare i contatti fra l'organizzazione internazionale e l'unico paese europeo che non ne fa parte. Rigoni incontrerà, fra gli altri, il ministro degli esteri, della giustizia e il capo della task force parlamentare sulla pena di morte, perché una moratoria sulle esecuzioni è la prima richiesta effettuata dall'organizzazione di Strasburgo, seguita subito dopo dalla liberazione dei prigionieri politici, con alcuni esponenti dell'opposizione - sul loro numero le cifre sono discordanti, ma non sono più di sette- ancora in carcere. Quanto alle richieste del Consiglio d'Europa, si sottolinea a Strasburgo, è stata approvata una legge per cui se l'imputato si dimostra collaborativo nel processo a suo carico nel caso di reati per cui è prevista la pena di morte la condanna decade a ergastolo, un passo nella direzione della moratoria auspicata. 

http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2015/02/21/dall-alla-nato-lukashenko-apre-all-occidente_Wd74vRRlSKYIpnSwSGVcqL.html?refresh_ce


sabato 21 febbraio 2015

Il neo Governatore dell'Oregon rifiuta l'iniquità della pena capitale

Il nuovo Governatore dell'Oregon Kate Brown  ha detto che continuerà la moratoria sulla pena di morte, iniziata dal predecessore Kitzhaber, che nel novembre 2011 sospese tutte le esecuzioni per il resto del suo mandato.

La Brown ha dichiarato di rifiutare un sistema iniquo e che c'è bisogno di una più ampia riflessione sul tema della pena di morte, per questo è sua intenzione sostenere la moratoria imposta dal governatore Kitzhaber. 

venerdì 20 febbraio 2015

Segui con noi la trasmissione Uomini e Profeti, sabato 21 febbraio ore 9,30, si parla di pena di morte

Sabato 21 febbraio alle 9,30
su Radio tre, segui con noi la trasmissione  "Uomini e profeti" 

Storie
Stati Uniti, la Chiesa Cattolica scende in campo contro il razzismo
con Chiara Basso, Carlo Santoro

Nella puntata di oggi andiamo negli Stati Uniti, dove i recenti omicidi di due giovani neri hanno rianimato le proteste e il dibattito sul razzismo e dove un profondo esame di coscienza muove oggi molti esponenti della Chiesa cattolica americana a domandarsi come e perché i cristiani bianchi abbiano di fatto rimosso il problema della persistente emarginazione dei neri nel paese: ne parliamo con Chiara Basso, giornalista free lance che per il mensile Jesus ha realizzato un reportage sull'argomento. Con Carlo Santoro, della Comunità di Sant'Egidio di Roma, approfondiremo poi il tema della pena capitale negli Stati Uniti, che interseca in modo complesso e a volte di difficile lettura quello del pregiudizio razziale e sociale nella società americana, anche oggi negli anni della presidenza Obama. Emergerà il racconto delle storie di alcuni detenuti nel braccio della morte in diversi carceri degli Stati non abolizionisti e della battaglia che la comunità di Sant'Egidio porta avanti ormai da molti anni contro la pena capitale nel mondo.

http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-10dd3603-4140-49a3-ad32-d3048d6ff92e.html



Iran: giustiziato giovane curdo condannato per reati da minorenne


(AGI) - Londra, 20 feb. - In Iran e' stato giustiziato Saman Naseem, un prigioniero politico curdo arrestato quando era ancora adolescente e condannato a morte nell'aprile scorso. 

Ne da' notizia Iran Human Rights (Ihr), secondo cui il ragazzo e' stato impiccato nella prigione di Urmia, nell'Iran nord-occidentale. 

La famiglia e' gia' stata contattata perche' si rechi nel carcere per raccogliere la salma. Per fermare l'esecuzione di Saman Naseem erano scese in campo numerose organizzazioni internazionali, a cominciare da Amnesty International. Il portavoce di Ihr, Mahmood Amiry-Moghaddam, ha ha definito l'esecuzione "disumana" e ha aggiunto che l'ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema iraniana, se ne deve ritenere responsabile. "Le continue violazione iraniane dei diritti umani fondamentali devono avere conseguenze", ha invocato. Il giovane, arrestato quando aveva 17 anni, era stato condannato a morte nell'aprile 2013 da un tribunale penale di Mahabad, nella provincia dell'Azerbaijan occidentale al termine di un processo sommario. Nonostante abbia ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite per i Diritti del Fanciullo, l'Iran è il primo paese al mondo per quanto riguarda le esecuzioni di minorenni. 

In prigione, fa sapere l'ong, nella fase iniziale dell'inchiesta non aveva alcun avvocato e, secondo una sua lettera scritta dal carcere, era stato torturato (strappate le unghie dei piedi e delle mani, appeso a testa in giu' per ore). Saman aveva scritto una lettera dalla prigione per denunciare le torture: "Nei giorni iniziali, la tortura fu cosi' pesante da lasciarmi incapace di camminare.
Avevo tutto il corpo nero e blu. Mi hanno lasciato appeso per le mani e per i piedi per ore. E durante gli interrogatori e la tortura avevo gli occhi bendati cosi' da non poter vedere gli agenti".


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Indonesia: l’Australia cerca di salvare i due cittadini condannati a morte

Le autorità dell’Australia tentano il possibile per salvare di Andrew Chan e Myuran Sukumarana, i due cittadini condannati a morte in Indonesia.  Sono in stato di arresto dal 2005 a Bali per traffico di droga. Per permettere ai due di trascorrere più tempo con le rispettive famiglie, è stato ritardato il loro trasferimento in un carcere di massima sicurezza dove sarà eseguita la pena capitale.

‘‘Ci sono una serie di questioni difficili che devono essere contestate nel corso dell’udienza, in particolare di carattere giurisdizionale. Ci sono naturalmente problemi sostanziali connessi con il processo che hanno fatto respingere la domanda di grazia”, dice Michael O’Connell,console australiano a Bali.

Le condanne a morte saranno eseguite il prima possibile, ha detto il capo della Procura di Bali. Centinaia di persone si sono riunite in una veglia a Melbourne per tornare a chiedere la grazia per i due connazionali, come già fatto dal governo australiano, senza successo.
http://it.euronews.com/

mercoledì 18 febbraio 2015

USA: MINISTRO DELLA GIUSTIZIA CHIEDE MORATORIA DELLE ESECUZIONI

Washington,(AdnKronos) 

Eric Holder, il ministro della Giustizia americano uscente, ha chiesto agli stati che applicano la pena di morte di varare una moratoria delle esecuzioni in attesa che la Corte Suprema si esprima sui farmaci sotto accusa usati in Oklahoma e in altri stati per il cocktail letali. 

L'esponente democratico afroamericano, che ha detto di parlare a titolo personale e non come membro dell'amministrazione, ha ribadito di essere contrario alla pena di morte perché è "inevitabile" la possibilità dell'esecuzione di un innocente.

"Il nostro sistema di giustizia è il migliore del mondo, composto da uomini e donne che fanno il loro meglio per fare la cosa giusta - ha detto parlando al National Press Club di Washington - ma c'e' sempre la possibilità che vengano commessi errori, per questa ragione io mi oppongo alla pena capitale". 

"Credo che vi siano alcune questioni fondamentali riguardo alla pena di morte che devono essere affrontate - ha poi aggiunto - e tra queste, la decisione della Corte Suprema riguardo alla costituzionalità dell'iniezione letale. Dal mio punto di vista, credo che una moratoria delle esecuzioni in attesa di questa decisione
sarebbe appropriata". La Corte Suprema ha accettato il ricorso presentato dai legali di alcuni condannati a morte dell'Oklahoma dopo lo shock provocato in America e in tutto il mondo dalla morte di Clayton Lockett, spirato dopo 43 minuti di terribile agonia provocata dal cocktail di farmaci sotto accusa.

martedì 17 febbraio 2015

Papua Nuova Guinea: la Chiesa si mobilita contro pena di morte

Da RADIO VATICANA

La Chiesa cattolica in Papua Nuova Guinea condanna la recente reintroduzione della pena di morte nel Paese: entro la fine dell’anno, infatti, verrà eseguita la sentenza capitale per 13 condannati, la prima da circa cinquant’anni. 

Tre, al momento, le modalità di esecuzione approvate dal Consiglio nazionale: iniezione letale, impiccagione e fucilazione.

Nessuna vita può essere eliminata
Dal suo canto, mons. John Ribat, arcivescovo di Port Moresby, porta avanti numerosi tentativi di mediazione con il governo, affinché la sentenza non venga eseguita; la Chiesa cattolica auspica anche che l’intervento della comunità internazionale affinché faccia pressione sulle autorità papuasiche. Non è la prima volta che i vescovi locali fanno sentire la loro voce contro la pena capitale: già a maggio di due anni fa, mons. Ribat aveva ribadito che “nessuna vita può essere eliminata. Non abbiamo alcun diritto di fare questo, ma abbiamo quello di rendere migliore la vita delle persone”.

La Chiesa per lo sviluppo integrale e positivo delle persone
Quindi, pur evidenziando la necessità che il sistema giudiziario sia fermo nell’affrontare il crimine, il presule aveva lanciato un appello per incoraggiare la pace, sottolineando la volontà della Chiesa di “lavorare insieme al governo per attuare programmi che aiutino lo sviluppo integrale e positivo delle persone”

Indonesia: appelli e veglie a Sidney per chiedere clemenza per i due condannati a morte australiani

Tutti gli ex primi ministri australiani ancora in vita hanno lanciato un appello congiunto all'Indonesia perché risparmi la vita ai due cittadini australiani nel braccio della morte.

Centinaia di persone si sono riunite in una veglia a Sydney per chiedere clemenza per Myuran Sukumaran e Andrew Chan, arrestati nel 2005 a Bali e condannati alla pena di morte per traffico di droga internazionale. Gli avvocati dei due cittadini australiani hanno chiesto al governo indonesiano la revisione del processo, senza successo.

Andrew Chan e Myuran Sukumaran sono stati condannati a morte nel 2007 per aver guidato un'organizzazione dedita al traffico della droga, nota come Bali Nine. L'ex primo ministro John Howard ha invocato un gesto di clemenza, sottolineando che i due uomini hanno "dimostrato un autentico pentimento".
L'esecuzione era prevista per questa settimana, dopo il trasferimento di Chan e Sukumaran in un'isola indonesiana, nel carcere di massima sicurezza di Nusa Kambangan, ma l'operazione - inzialmente prevista per mercoledì - è stata posticipata per le pressioni delle autorità australiane contrarie alla esecuzione dei loro due cittadini, lo ha dichiarato il portavoce del procuratore generale di Giacarta Tony Spontana a l'AFP. Il governo australiano aveva inoltre chiesto del tempo ulteriore, necessario per consentire ai due di trascorrere un po' più di tempo con i familiari. La data dunque non è stata fissata.

A fronte dei ripetuti rifiuti di Giacarta a rivedere la decisione, il premier australiano Tony Abbott ha avvertito che la sentenza, se realizzata, avrà pesanti conseguenze nelle relazioni fra i due paesi: “Questi giovani hanno sbagliato e dovranno certamente pagare, ma non con la pena di morte. Lo abbiamo ripetuto all’Indonesia”, ha detto Abbott.

Il nuovo presidente indonesiano, Joko Widodo, soprannominato Jokowi, ha fatto sapere  poco dopo il suo arrivo al potere in ottobre che non sarà accordata nessuna grazia nei casi di traffico di droga. 

Sul traffico di stupefacenti, l'Indonesia ha tra le leggi più dure del mondo e nel 2013 ha interrotto una moratoria sulle esecuzioni durata di quattro anni. 
La legislazione indonesiana prevede che un condannato a morte possa essere eseguito in qualunque momento, una volta che la sua domanda di grazia sia stata rigettata dal presidente, anche se c'è ancora una residua procedura in corso. 

Restano tuttavia residue speranze per i due australiani detenuti per droga e condannati alla pena capitale dalla giustizia indonesiana.

Ci sono otto persone nel braccio della morte in attesa di sentenza. Sette sono straniere provenienti da Brasile, Nigeria, Francia, Ghana e Filippine.

Il 18 gennaio erano già state giustiziate sei persone accusate di reati connessi alla droga. Anche loro straniere.

Decine di indonesiani e di stranieri di una quindicina di paesi sono stati condannati a morte per traffico di stupefacenti, in Indonesia la legislazione in materia di droga è una delle più severe nel mondo. Tra di loro Serge Atlaoui, condannato nel 2007. Proprio la settimana scorsa ha deposto la richiesta di revisione del processo e a un tribunale periferico di Giacarta, dopo aver ricevuto il rigetto  alla sua domanda di grazia. 


lunedì 16 febbraio 2015

Iran: minorenne rischia l'esecuzione il 19 febbraio

La stessa Corte suprema iraniana ha emesso, il 2 dicembre scorso, una “sentenza pilota” secondo la quale tutti i condannati a morte in attesa di esecuzione per reati commessi quando erano minorenni possono chiedere una revisione del caso.

Mancano pochi giorni all’appuntamento di Saman Naseem con la morte. Ma non tutto è perduto.

Saman Naseem, torturato per quasi 100 giorni quando era ancora minorenne, verrà impiccato il 19 febbraio in Iran. A meno che questo appello non contribuisca a salvarlo!

Saman Naseem è stato arrestato il 17 luglio 2011, quando aveva 17 anni, dopo uno scontro a fuoco nella zona di Sardasht (provincia dell’Azerbaigian occidentale) tra le Guardie rivoluzionarie e il gruppo armato di opposizione denominato Partito per una vita libera del Kurdistan. Secondo gli atti del processo, in quell’occasione fu ucciso un membro delle Guardie rivoluzionarie e altri tre rimasero feriti.

Dopo l’arresto, Saman Naseem è stato trasferito in un centro di detenzione diretto dal ministero dell’Intelligence, dove è rimasto per oltre tre mesi senza poter contattare familiari e avvocati.

I parenti hanno appreso dell’arresto dalla tv di stato, che una sera ha mandato in onda la “confessione”: “Dichiaro di aver intrapreso azioni armate contro lo stato”.

Parla un giudice della Corte Suprema della Repubblica popolare cinese: la pena di morte è tortura nell'anima

di Guido Santevecchi
http://pechino.corriere.it/

«Ho visto condannati a morte uccisi con un colpo alla testa davanti a me. Il fango, il sangue e il cervello schizzati sui miei pantaloni». «Qualcuno non muore subito, si dibatte a terra, con le mani che si contraggono per aggrapparsi alla vita». Sono parole del giudice della Corte Suprema della Repubblica popolare cinese Lu Jianping, un uomo che sente «una tortura nell’anima». Il magistrato, 52 anni, è anche docente di diritto alla Normale di Pechino ed è sempre stato contrario alla pena di morte, fin da quando, studente di legge nel 1983, gli fu ordinato di assistere a un’esecuzione capitale per imparare le procedure. Quell’immagine degli ultimi attimi di un condannato a morte davanti al plotone d’esecuzione non lo hanno più lasciato. Ora l’ha raccontata alla “Xinhua”.
Tre anni fa il professore e altri cinque giuristi universitari sono stati distaccati per ordine del Congresso del Popolo alla Corte Suprema di Pechino, che si occupa della revisione e convalida delle sentenze di morte. Lu Jianping racconta di aver dovuto scrivere «approvato» su diversi fascicoli che mandano a morte i condannati, perché ci sono casi chiari, 55 tipi di reati, per i quali la legge cinese non ammette interpretazioni e clemenza «e io oggi sono un giudice». «Nelle carte vidi la foto del primo condannato: giovane, di bell’aspetto. Lo avevano preso con un chilo e mezzo di droga. Esecuzione approvata. Di notte quel condannato esce ancora dai faldoni ed entra nei miei sogni».
È l’agenzia “Xinhua” che rilancia le parole del magistrato con il titolo «La battaglia per la vita e la morte di un giudice cinese». È significativo che la voce del governo di Pechino pubblichi una storia così forte che esprime dubbi sulla pena di morte. La “Xinhua” scrive che «le autorità da molto tempo considerano la possibilità di abolire la pena di morte. La questione fu posta al Congresso del Popolo per la prima volta nel 1956». Si parla anche della riduzione da 55 a 46 dei reati punibili con la morte.
Pechino rifiuta di divulgare i dati, ma secondo statistiche non ufficiali nel 2013 in Cina sono state eseguite 2.400 sentenze di morte, un quinto in meno rispetto al 2012. Sempre più che in tutti gli altri Paesi del mondo messi insieme.

domenica 15 febbraio 2015

L'Arcivescovo di Philadelphia: la pena capitale non funziona, occorre uno sguardo più profondo su questi temi

Gary Heidnik, l'ultimo condannato eseguito in Pennsylvania
Charles Chaput, Arcivescovo di Philadelphia esprime gratitudine al Governatore della Pennsylvania per la decisione di imporre la moratoria sulla pena di morte

L'Arcivescovo Charles Chaput
L'Arcivescovo Charles Chaput di Philadelphia ha accolto con favore la decisione presa dal governatore della Pennsylvania Tom Wolf di imporre una moratoria sulla pena di morte nello stato a causa della natura difettosa del sistema.  Dal ripristino della pena di morte negli Usa 150 persone sono state esonerate dal braccio della morte perché riconosciute innocenti, tra cui sei uomini in Pennsylvania. L'Arcivescovo Chaput ha elogiato Wolf per la sua decisione, dicendo: "Sono molto grato al Governatore Wolf per aver scelto uno sguardo più profondo su questi temi e prego che possiamo trovare un modo migliore per punire i colpevoli di questi crimini." Ha poi aggiunto: "Questo non diminuisce il nostro sostegno alle famiglie delle vittime di omicidio. Essi portano un fardello terribile di dolore e giustamente chiedono giustizia, ma uccidere il colpevole non onora i morti, né nobilita i vivi”, perché “quando strappiamo via la vita di una persona colpevole, aggiungiamo soltanto violenza ad una cultura violenta e, così facendo, sminuiamo la nostra dignità”.

L'Arcivescovo Chaput ha infine aggiunto: "Tutti gli uomini mantengono la loro dignità data da Dio come esseri umani" e "non abbiamo bisogno di uccidere le persone a proteggere la società o punire i colpevoli. Occorre porre fine alla pena di morte ora perché essa non guarisce le ferite e solo il perdono può farlo. " Diversi stati americani si sono allontanati dalla pena capitale negli ultimi anni. In totale, 18 Stati hanno abolito la pena capitale. 

Wolf, un democratico, si è insediato il 20 gennaio. Il provvedimento ha permesso di concedere una tregua temporanea per Terrance Williams, che avrebbe dovuto essere eseguito 4 marzo. Wolf concederà una sospensione, ma non una commutazione, così come dichiarato dal suo ufficio.

Sono più di 180 le persone nel braccio della morte dello Stato della Pennsylvania. 

sabato 14 febbraio 2015

Pennsylvania il neogovernatore impone la moratoria sulla pena di morte

Il neo eletto governatore della Pennsylvania, il democratico Tom Wolf, ha imposto oggi una moratoria sulla pena di morte nello Stato americano, affermando che il sistema attuale è ''soggetto all'errore, costoso e tutt'altro che infallibile''.

Wolf ha quindi spiegato che la moratoria rimarrà in vigore almeno fino a quando non verranno rese note le conclusioni di un rapporto a riguardo commissionato all'apposita commissione legislativa che da quattro anni si occupa di studiare l'argomento.


Nello Stato della Pennsylvania sono state effettuate tre esecuzioni da quando, nel 1976, la corte suprema degli Stati Uniti ha ripristinato la pena di morte, l'ultima nel 1999. L'introduzione di una moratoria era stato uno dei cavalli di battaglia di Wolf nella sua campagna elettorale contro il suo predecessore repubblicano, Tom Corbett.

venerdì 13 febbraio 2015

Indonesia: due cittadini australiani trasferiti nella prigione dell'esecuzione

Le autorità indonesiane hanno dato il loro via libera per il trasferimento di due cittadini australiani, condannati a morte per traffico di droga, dalla prigione dove di Bali, dove sono detenuti, a un altra struttura carceraria presso la quale verrà comminata loro la pena capitale. L'ha indicato il capo della procura di Bali Momock Bambang Samiarsi.

Il procuratore non ha tuttavia fornito dettagli su quando e dove i due saranno uccisi, sostenendo che i tempi non sono stati decisi, ma che sarà il prima possibile perché "prima è, meglio è". Gli avvocati dei due condannati - Andrew Chan e Myuran Sukumaran - avevano presentato istanza per ottenere la grazia, che viene concessa in casi rarissimi, ma il presidente Joko Eidodo l'ha negata.

I due trafficanti sono stati condannati come capi della banda conosciuta come "i nove di Bali" che traffica in eroina. Sono stati arrestati nel 2005 e condannati a morte l'anno seguente.

L'Australia ha protestato contro la condanna e il primo ministro Tony Abbott con il ministro degli Esteri Julie Bishop, da Canberra, hanno protestato e parlato di "errori scioccanti". Bishop ha lanciato un appello nei confronti di Giacarta: "Questa mozione va al cuore di quella che noi crediamo essere una grave ingiustizia contro due cittadini australiani che si trovano ad affrontare il plotone d'esecuzione in Indonesia". E ha aggiunto: "Senza dubbio Andrew e Myuran devono pagare per i loro crimini con pene detentive lunghe, ma non dovrebbero pagare con la loro vita".

mercoledì 11 febbraio 2015

Pena di morte, gli Usa sono pronti a sperimentare le camere a gas

La pena di morte torna a tenere banco negli Stati Uniti. di Barack Obama. Alcuni stati stanno pensando, nelle more della decisione della Corte Suprema americana sull’uso dei medicinali impiegati per le iniezioni letali, di trovare sistemi alternativi per non bloccare le esecuzioni.
La Corte Suprema è chiamata ad esprimersi in merito al ricorso inoltrato da tre condannati a morte in Oklahoma, e ha deciso di riesaminare la costituzionalità delle nuove combinazioni di farmaci per l’iniezione letale che alcuni stati utilizzano per le esecuzioni. Ed ora proprio l’Oklahoma sta valutando la possibilità di ricorrere alle “camere a gas” come metodo alternativo per l’esecuzione delle condanne a morte.