mercoledì 30 aprile 2014

Usa, pena di morte: orrore in Oklahoma durante un'esecuzione. Ora si spera in una moratoria

Dovevano essere eseguiti insieme nello stesso giorno, Clayton D. Lockett e Charles Warner, ora la seconda esecuzione è sospesa. 

Il problema del reperimento dei farmaci usati per l'iniezione letale negli USA sta creando disagio e imbarazzo. Troppi gli episodi di disumanità legati alla ricerca e alla sperimentazioni dei nuovi farmaci. Anche in Ohio è recente la decisione di potenziare le dosi di farmaci usati per l'iniezione letale. Il passo è stato deciso dopo che un detenuto, Dennis McGuire di 53 anni, è morto dopo un'agonia durata ben 25 minuti. Un tempo interminabile, durante il quale l'uomo ha avuto convulsioni e, alla fine, è come soffocato. Gli era stata iniettata una combinazione di farmaci letali mai usata prima negli Stati Uniti.

Auspichiamo che la morte drammatica di quest'uomo porti presto alla decisione della sospensione di tutte le esecuzioni.


(reuters)
NEW YORK - Nel penitenziario di McAlester in Oklahoma era prevista una doppia esecuzione, la prima dopo tantissimi anni, decisa tra mille polemiche. Il primo che doveva essere giustiziato alle 6,30 del pomeriggio con un'iniezione letale era un uomo di colore, di nome Clayton D. Lockett. Ha fatto una fine terribile a causa della rottura della vena in cui gli stavano iniettando il mix letale di veleni.

I testimoni raccontano di aver assistito a una scena raccapricciante ed atroce. Tutto sembrava procedere: iniettato l'anestetico, il prigioniero era stato dichiarato dai medici presenti oramai privo di sensi. Ma quando è iniziata la somministrazione del primo dei due farmaci letali il corpo dell'uomo ha cominciato improvvisamente a muoversi, i suoi piedi e le sue braccia ad agitarsi. Ha cominciato a lamentarsi sempre più forte. Con uno scatto Clayton ha tentato anche di sollevarsi, inutilmente.

In una situazione di caos i medici e gli addetti del carcere hanno abbassato la tenda davanti al vetro dietro al quale c'erano i testimoni. Questi ultimi hanno solo potuto ascoltare l'urlo violento con cui l'uomo ha esalato l'ultimo respiro, ucciso da un attacco cardiaco. Lockett era stato condannato per aver sparato a una donna di 19 anni nel 1999 e per averla poi seppellita viva.

A questo punto la seconda esecuzione è stata rinviata. Per almeno 14 giorni, hanno informato i dirigenti del penitenziario, che ora avvieranno un'indagine per capire cosa è successo e perché. Ma di sicuro la morte di Clayton è destinata a sollevare polemiche, in una fase in cui ricorrere alla pena di morte nei vari stati Usa che lo permettono è diventato sempre più difficile. Questo anche per la decisione di molti Paesi europei di vietare l'esportazione dei farmaci letali, le cui scorte stanno per esaurirsi, costringendo anche a realizzare mix letali 'meno efficaci'. Tanto che qualcuno - forse una provocazione, ma non troppo - ha già proposto un ritorno alla sedia elettrica.


Preoccupazione per la ripresa delle esecuzioni a Taiwan e per lo stop alla moratoria nelle Maldive

Preoccupazione per la ripresa di esecuzioni a Taiwan dove fino al 2010 per 5 anni non ve ne erano state. Le prime esecuzioni da quasi un anno tutte e cinque nello stesso giorno.  Nel braccio della morte a Taipei ci sono al momento 47 prigionieri. L'isola, indipendente di fatto dalla Cina ma considerata una provincia ribelle da Pechino, applica la pena di morte per i casi di rapimenti e di omicidi efferati. Nel paese il dibattito tra sostenitori e oppositori della pena capitale era ripreso dopo l'esecuzione nel '97 di un soldato di 21 anni condannato per errore.

Preoccupazione anche per lo stop alla moratoria della pena di morte alle  
Maldive. Lo scorso fine settimana il Paese nell'Oceano indiano ha introdotto nuove regole che prevedono l'applicazione della pena di morte attraverso iniezione letale. Ravina Shamdasani, portavoce Onu, ha chiesto invece alle Maldive di lavorare per abolire del tutto le esecuzioni capitali, si legge in un documento pubblicato sul sito web Onu. Nel Paese l'ultima esecuzione risale al 1953. 

 http://www.lapresse.it/mondo/oceania



Iran, il "prezzo del sangue" ha salvato 358 condannati a morte

Secondo la legge islamica è consentito ai condannati a morte di salvarsi, pagando una somma di denaro alla famiglia della vittima dopo aver ricevuto il perdono. 

http://www.asianews.it/notizie-it/Iran

Il procuratore generale iraniano  ha affermato lunedì scorso che il pagamento del "prezzo del sangue" ha salvato 358 iraniani dalla pena di morte lo scorso anno. Questa pratica, resa possibile da una legge islamica chiamata Diya ("prezzo del sangue"), consente ai detenuti di salvarsi pagando una somma di denaro dopo essere stati perdonati dalle famiglie delle vittime. 

Il caso più famoso è quello di un giovane iraniano, Balal, che due settimane fa è stato salvato dallo schiaffo della madre della vittima, quando già si trovava sul luogo della sua esecuzione. Nel suo caso la Diya ammontava a 3 miliardi di riyal (pari a 65.000 euro). Dopo questo avvenimento, i media iraniani hanno riportato la notizia di altri condannati a morte che sono stati perdonati dalle famiglie delle vittime: uno di essi ha ricevuto il perdono pochi minuti dopo che era già stato impiccato.

Tuttavia, secondo i dati pubblicati dall'Onu, più di 170  persone sono state giustiziate in Iran dall'inizio del 2014.  Proprio in questi giorni il relatore delle Nazioni Unite sui diritti umani in Iran Ahmet Shaheed ha esortato le autorità iraniane a svolgere un nuovo processo per una donna condannata alla pena di morte. Ha poi dichiarato: "E' necessario che vengano rispettati i diritti dell'imputata, e che venga condotto un giusto processo, in rispetto della legge iraniana e della legge internazionale".



martedì 29 aprile 2014

Stati Uniti: secondo una ricerca scientifica 300 innocenti condannati a morte

Lo dice uno studio che ha analizzato tutte le condanne capitali degli ultimi trent'anni. Solo 144 persone si sono salvate dagli errori giudiziari. 


http://news.panorama.it/

di Michele Zurleni
E'un'autorevole ricerca scientifica, ma, visto i tristi risultati, potrebbe essere considerata un Manifesto contro la Pena Capitale. Condotto da Samuel Gross, docente della prestigiosa University of Michigan School Law, lo studio ha analizzato le 7482 condanne a morte inflitte dai tribunali negli Stati Uniti dal 1973 al 2004.
E, alla fine, tra dati statistici e indagini, indicando un numero preciso, ha dato un volto alla pena capitale, ha scoperto una verità che molti sospettavano ma che nessuno aveva mai interamente svelato: al patibolo sono saliti decine e decine di innocenti, persone che non avevano commesso il crimine per cui
sono stati uccise, uomini (nella stragrande maggioranza dei casi) che proclamavano la loro innocenza, ma che non venivano creduti a causa di un burocratico sistema giudiziario che rimaneva indifferente al possibile errore e fedele, invece, alla  decisione presa, anche se questa faceva perdere la vita allo sfortunato di turno.
Decine di vittime innocenti
I giornali americani parlano di un'inchiesta scioccante. Lo è. Per quelli che si sono sempre opposti alla pena di morte, ma anche per chi l'ha sempre sostenuta. Circa il 4% delle persone che sono entrate nel braccio della morte dei penitenziari americani era innocente: 340 persone. Di queste, l'1.7% è uscito vivo dalla prigione (144 persone), mentre molti altri sono finite sulla sedia
Joaquin Josè Martinez, testimone, innocente 
elettrica o legati al lettino della stanza del boia per l'iniezione letale. In numeri assoluti sarebbero 183 casi. Non tutti i condannati però sarebbero stati uccisi perché, dice la ricerca pubblicata sulla rivista della National Academy of Sciences, alcune sentenze sono stata commutate in ergastolo, senza possibilità di ulteriore appello.

Il numero degli innocenti uccisi, quindi, diminuisce, ma rimane comunque alto: si tratta di decine e decine di persone.
Chi si è salvato, lo ha fatto per lo più grazie al test del Dna. Questa prova, utilizzata con frequenza solo da metà degli anni'90, ha fatto uscire dal carcere la maggior parte degli innocenti che erano stati condannati alla pena capitale. Ma non tutti. Il test, infatti, viene utilizzato soprattutto nel caso di stupro e omicidio, ma non in quelli di solo omicidio. Così, non tutti ne hanno potuto usufruire.
Sommersi e salvati
Se i giudici hanno dato retta a testimoni oculari confusi sull'identità dell'assassino, o, peggio, forzati dagli inquirenti a indicare la colpevolezza dell'accusato; se hanno creduto a prove scientifiche sbagliate o volutamente manipolate; se hanno basato il loro giudizio su false confessione fatte da terzi per ottenere sconti della pena, o estorte con la tortura, per l'imputato innocente non c'è stato scampo.
Non sono stati fortunati come Kirk Bloodsworth, che ha speso otto anni della sua vita in una prigione di Baltimora in attesa della sua esecuzione. Era stato condannato per lo stupro e l'uccisione di una bambina di nove anni nel 1993. Fu grazie alla prova del Dna che venne liberato. E'stato il primo caso in assoluto negli Usa. Damon Thibodeaux, invece, ha passato sette anni nel braccio della morte, in una cella di isolamento per 23 ore al giorno. Le pressioni dei poliziotti lo avevano convinto a confessare un delitto che non aveva mai commesso. Un'inchiesta parallela e il test del Dna lo hanno salvato.
John Edward Smith, entrò in carcere e attese per 19 anni il giorno in cui avrebbe incontrato il boia. Era stato accusato di aver ucciso un uomo a Los Angeles. Due decenni dopo, il testimone che lo aveva inchiodato, ritrattò tutto, dicendo che era stato spinto dalla polizia a dire il falso.
Carlos De Luna, invece, urlò la sua innocenza fino alla fine. Ma nessuno volle credergli. Era il 1989, in Texas. Venne mandato a morte per l'omicidio di un benzinaio durante una rapina sei anni prima. Era il condannato ideale: ispanico, giovane e pieno di precedenti penali. La polizia chiuse le indagini in poco tempo. Vent'anni dopo, dopo molte ricerche, un docente della Columbia University riuscì a stabilire che in realtà, l'assassino era un altro giovane che gli somigliava molto. Ma la giustizia si era già preso la sua vita, non quella del suo sosia.

lunedì 28 aprile 2014

Iran, dopo la vicenda di Balal graziato sul patibolo, si inizia a sperare in un cambiamento di mentalità

Dopo la Cina, l'Iran è il paese dove la pena di morte è maggiormente applicata. Tanto più fa notizia l'annullamento della condanna a morte di un uomo, Balal, graziato a pochi istanti dall'esecuzione dalla madre del ragazzo che egli uccise circa sette anni fa. La rinuncia alla vendetta è stata incoraggiata anche da un movimento di persone che hanno insistentemente chiesto ai genitori della vittima di concedere la grazia. Come racconta, Riccardo Noury, questo è l'inizio di cambiamento di mentalità nella società iraniana: si può sperare che esso porti a breve nuove sospensioni della pena capitale.

Dopo la grazia a Balal, in Iran si dibatte sulla pena di morte

Dopo l’incredibile vicenda di Balal, graziato sul patibolo 10 giorni fa dalla madre del ragazzo che egli aveva assassinato, le esecuzioni in Iran sono riprese a pieno regime, arrivando a circa 200 dall’inizio dell’anno.

Tra le persone messe a morte negli ultimi giorni, c’erano anche dei  minorenni al momento del reato tra cui Ahmad Rahimi, Ali Fouladi,  Ali Sharifi, condannati all’impiccagione per omicidi commessi quando avevano rispettivamente 17, 16 e 14 anni.

L’annullamento della condanna a morte di Balal è stato reso possibile in primo luogo dalla straordinaria umanità della madre di Abdollah Hossainzadeh, che Balal aveva assassinato durante una rissa sette anni prima; ma anche dal fatto che, attorno ai coniugi Hossainzadeh si è coagulato un movimento contrario alla pena di morte che certamente ha avuto un peso nell’influenzare la loro decisione dell’ultimo minuto ma ha anche fatto sapere loro che – nonostante ciò che si pensi in Occidente – tantissime persone in Iran non sono d’accordo con la logica del qisas, dell’occhio per occhio dente per dente.

Ha contribuito anche la popolarità del padre di Abdollah, Ghani Hosseinzadeh, ex calciatore. Suoi vecchi colleghi lo hanno chiamato al telefono per chiedergli di risparmiare la vita dell’assassino di suo figlio. Un milione di telespettatori ha aderito all’appello lanciato alla televisione da un celebre presentatore sportivo, Adel Ferdosipour.

Col risarcimento ottenuto dai parenti di Balal, i coniugi Hosseinzadeh apriranno una scuola calcio intitolata alla memoria del figlio.


Ora il movimento d’opinione contrario alla pena di morte ci riprova. Il caso è quello di Reyhaneh Jabbari, 26 anni, condannata a morte nel 2007 per aver ucciso un uomo. Lei sostiene di aver agito per autodifesa dopo che l’uomo, un ex impiegato del ministero della Sicurezza e dell’Intelligence, l’aveva aggredita con l’intenzione di violentarla. L’esecuzione era prevista il 14 aprile ma è stata sospesa.

Per salvare la vita di Reyhaneh “in nome dell’umanità” si sono mobilitati il celebre regista Ashgar Fahradi (autore di “Una separazione” e de “Il passato”, di un film nel quale l’allora bambina Reyhaneh aveva recitato una piccola parte nonché di “Beautiful city”, proprio sulla pena capitale).

È pronta anche Tahmineh Milani, altra acclamata regista iraniana, che nel 2001 ha rischiato di essere condannata a morte a causa di un film. Da anni mette a disposizione il ricavato dei suoi film per i risarcimenti da offrire alle famiglie delle vittime del crimine in cambio della salvezza dell’assassinio.

Potrebbe andare meglio rispetto a quando, nel 2009, una mobilitazione senza precedenti in Iran non riuscì a evitare l’esecuzione di Behnoud Shojaee. Colpevole di aver ucciso un coetaneo quando aveva 17 anni, non ottenne il perdono dei genitori della vittima e venne impiccato.

Secondo molti, la vicenda di Balal può costituire una svolta. Il giornalista Siamak Bahari ha elogiato il gesto della famiglia Hossainzadeh e ha parlato di una “decisione storica da parte della società, ora pronta a  sfidare la pena di morte”. La stessa Milani ritiene che “la gente dovrebbe considerare sul serio quanto può essere importante, ogni firma può cambiare il destino di una persona”.

L'America può e vuole abolire la pena di morte?

La pena capitale in America

L'America può e vuole abolire la pena di morte?

26 aprile 2014 |












http://www.economist.com/news/

(traduzione a cura della redazione di questo blog)

Il NEW HAMPSHIRE non è riuscito per poco ad abolire la pena di morte, per un voto. Dato che il Granitico Stato non ha effettivamente eseguito nessuna condanna a morte dal 1939, si potrebbe pensare che questo non ha molta importanza. Ma, ovviamente, è importante per un uomo che sta nel braccio della morte nel New Hampshire, un poliziotto-killer di nome Michael Addison. E ' importante, inoltre, in riferimento alla più ampia campagna per abolire la pena di morte in America. E nonostante la battuta d'arresto nel New Hampshire, gli abolizionisti stanno lentamente vincendo.

L'America è in una posizione insolita tra i paesi ricchi che ancora eseguono la condanna a morte delle persone. E’ così in quanto i suoi politici sono fortemente sensibili ai loro elettori, che sono per lo più favorevoli alla pena di morte. Tuttavia, tale maggioranza si sta riducendo, dal 80 % nel 1994 al 60% dello scorso anno. I giovani americani sono meno propensi dei loro predecessori a sostenere la pena di morte. I non bianchi, che un giorno saranno la maggioranza, sono fortemente contrari. Sei Stati hanno abolito la pena di morte a partire dal 2007, portando il totale a 18 su 50. Il numero di esecuzioni ogni anno è sceso da un picco di 98 nel 1999 a 39 l'anno scorso (leggi l’articolo). http://www.economist.com/news

Molte persone si rammaricano per questo. Alcuni ritengono che la morte è l'unica punizione adatta per gli assassini: che soddisfa il bisogno di vendetta della società. Alcuni trovano una giustificazione religiosa, in linea con il libro dell’Esodo che prevede : “vita per vita , occhio per occhio , dente per dente”. E’ difficile dare risposte ad appelli emotivi o alla fede, anche se la Bibbia ha anche passaggi che dicono di non gettare la prima pietra, e molti evangelici conservatori sono nella strana posizione di dare valore alla vita quando si tratta di aborto, ma non quando si tratta di detenuti ( la chiesa cattolica è pro-vita su entrambi i fronti ). Tuttavia, in una democrazia laica una legge di tale gravità deve avere qualche convincente giustificazione razionale, che la pena di morte non ha.

I suoi sostenitori insistono che scoraggia gli assassini, risparmiando così vite umane. Se questo fosse vero, sarebbe un argomento forte, ma ci sono insufficienti evidenze che sia così. Il tasso di omicidi è molto più alto in America che nell’ Unione Europea, che non ha la pena di morte. E ' anche più alto negli Stati Americani che effettuano esecuzioni rispetto a quegli Stati che non le fanno. Certo, alcuni studi hanno dimostrato che, se si prendono in considerazione altri fattori che influenzano i tassi di criminalità, si può affermare che ogni esecuzione impedisce tre omicidi, o cinque, o anche 18. Ma tali studi sono basati su pochi dati e assunzioni discutibili. In America nel 2012 ci sono stati quasi 15.000 omicidi. La probabilità che un assassino venga giustiziato è quindi ridottissima e lontana nel tempo, dal momento che il processo d'appello può andare avanti noiosamente per decenni .

Contro gli incerti benefici della pena di morte devono essere accertati i suoi difetti certi. Le giurie, gli esseri umani, sono fallibili. Se loro mettono in prigione un uomo innocente, questo può essere liberato e risarcito, ma non può essere riportato in vita. Dal momento che la Corte Suprema ha revocato la sospensione della pena di morte nel 1976, non ci sono casi comprovati nei quali l'America ha giustiziato un innocente. Ma ci sono almeno dieci casi nei quali sembra che si sia proprio verificato questo terribile fatto. Cameron Todd Willingham, per esempio, è stato mandato a morte per aver provocato un incendio letale, anche se gli esperti hanno attribuito la colpa ad un cablaggio difettoso ( leggi l'articolo).

La vendetta è mia, dice il Signore

Per evitare errori giudiziari, l'America ha costruito elaborate garanzie. I casi di pena capitale sono soggette a molteplici appelli; squadre di avvocati ci lavorano per anni. Una conseguenza non intenzionale di ciò è che ora l'esecuzione di un assassino è forse tre volte più costosa del rinchiuderlo a chiave per tutta la vita. Il denaro speso per la macchina della morte sarebbe probabilmente più utile per migliorare la sicurezza pubblica, se venisse speso per migliorare il mantenimento dell’ordine, per catturare quelli che attualmente evadono. In parole povere, la pena di morte appare come un colossale spreco di denaro dei contribuenti, che i politici conservatori normalmente denunciano.

Di recente, gli abolizionisti si sono molto impegnati in cause legali per rendere più difficoltoso per gli Stati entrare in possesso dei farmaci usati per le iniezioni letali. Questo serve più a ritardare le esecuzioni che a porre fine alle stesse. Un approccio più democratico sarebbe quello di convincere gli elettori che la pena capitale non è solo barbarie, ma anche costosa, inefficace e preda di errori umani, e che dovrebbero quindi sostenere i politici che si oppongono. Ecco come New Mexic , Oregon, Illinois, Connecticut, Maryland, Colorado e Washington hanno fermato o sospeso la pena di morte. Il New Hampshire ci riprova. Stato per Stato, gli abolizionisti prevarranno. L'America è una nazione fondata sul principio che i governi dovrebbero essere di fiducia ma non con troppo potere, incluso quello di legare le persone ad una barella e avvelenarle.

sabato 26 aprile 2014

Andrea Riccardi visita Pannella in ospedale: umanizzare le carceri


(TMNews) - Il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi, è andato a trovare Marco Pannella in ospedale. "Una visita personale e di solidarietà, anche a nome della Comunità di Sant'Egidio, di cui l'ex-ministro è fondatore, che ha il significato di un impegno rafforzato nella battaglia per umanizzare le carceri italiane, sovraffollate, spesso disumane e a rischio di grave sanzione dal 24 maggio prossimo", si legge in un comunicato. Pannella ha ricevuto ieri la telefonata di Papa Francesco.
"Le carceri italiane hanno perso, per motivi strutturali e ragioni che nulla hanno a che vedere come la sicurezza, la funzione originaria di espiazione della pena e riabilitazione. Così come sono producono recidive nel 67 per cento dei casi, due volte su tre. E è terribile il bilancio di circa 60 suicidi ogni anno, 100 volte di più che in Italia, cui corrispondono anche troppi suicidi degli agenti di custodia, dieci volte di più quello che accade nel resto della popolazione. E' una situazione malata: assieme a un diverso sistema delle pene, non carcero-centrico per reati di
lieve entità e che non rappresentano un allarme sociale, alla riduzione della abnorme custodia cautelare - misure cui governo e parlamento hanno messo mano - e al normale uso delle misure alternative al carcere, oggi il coraggio di un provvedimento di indulto e amnistia sarebbe un punto di svolta definitivo: rimetterebbe il sistema carcerario e delle pene in grado di funzionale, dalla patologia alla fisiologia", ha dichiarato lasciando la stanza di Marco Pannella Andrea Riccardi".
La Comunità di Sant'Egidio continuerà nella stessa direzione per umanizzare le carceri e restituire legalità a un sistema in difficoltà".




La vera follia: il ritardo nella chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari

Giustizia: se la vera follia 
è il ritardo nella chiusura degli Opg

di Antonio Mattone

Il Mattino, 26 aprile 2014

Con la conversione del decreto-legge del 31 marzo 2014, approvata due giorni fa dal Senato, finalmente si è aperto uno spiraglio concreto per la chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari. Dopo le sostanziali modifiche apportate dalle commissioni Giustizia e Sanità, si sono infatti creati i presupposti per mettere la parola fine agli Opg.
Le novità più rilevanti del nuovo testo sono due. La prima è l'abrogazione dell'articolo del codice penale che prevede la misura di sicurezza provvisoria per chi ha commesso un reato ed ha bisogno di cure psichiatriche. Con la nuova norma il giudice dispone il ricovero in misura alternativa non detentiva per gli infermi e seminfermi di mente, e solo in casi estremi può fare ricorso alla custodia in Opg. Resta in vigore nel nostro ordinamento la misura di sicurezza definitiva che riguarda solo una piccola parte degli internati che comunque sono quasi sempre transitati attraverso l'articolo 206.
Inoltre, vengono stabiliti dei limiti per l'applicazione della misura di sicurezza che in ogni caso non potrà superare la durata della pena detentiva prevista per il reato commesso, bloccando così quel meccanismo perverso che, di proroga in proroga, permetteva che un essere umano fosse rinchiuso per decenni anche solo per aver oltraggiato un vigile urbano. In questo modo viene di fatto arrestato il flusso degli ingressi negli ospedali psichiatrici giudiziari che, nonostante l'abolizione prevista dal Dpcm dell'aprile 2008, non chiudevano mai. Il grande limite di questa pur importantissima legge era che si sopprimevano gli Opg senza eliminare le cause che alimentavano le entrate, per l'appunto le misure di sicurezza previste dal codice Rocco. È come dire di voler svuotare una vasca senza chiudere il rubinetto.
Anche il carcere ha incrementato in modo sostanzioso il numero degli ingressi, basti pensare che il 45% delle persone presenti nei 2 Opg campani proviene dai penitenziari. Una parte di questi attraverso un provvedimento del magistrato che emette una misura di sicurezza provvisoria, un'altra inviata dagli operatori penitenziari quando viene riscontrato un disagio mentale durante la permanenza in galera. I detenuti vengono così mandati in osservazione psichiatrica per un periodo, al termine del quale o si ritorna in carcere o si passa definitivamente in Opg. Sembra evidente il grande limite del carcere che invece di rieducare produce malattia mentale.
I reparti di osservazione psichiatrica previsti all'interno degli istituti e un nuovo senso di responsabilità imposto da queste novità legislative, dovrebbero sensibilizzare il sistema sanitario nazionale a prendere in carico con più incisività le persone che manifestano disturbi psichiatrici. I nuovi provvedimenti ridimensionano anche le cosiddette Rems, le Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, dei mini-Opg dai costi elevati e dai numeri sovrastimati, destinati ad ospitare in detenzione gli internati.
Le risorse previste per queste strutture, almeno in parte, potranno essere impiegate per potenziare i dipartimenti di salute mentale e finanziare i percorsi di cura e riabilitazione alternativi. In Campania, ad esempio ne sono contemplate 8 per 160 posti, mentre attualmente gli internati di questa regione sono 121 e questo numero tenderà a scendere considerevolmente per gli effetti della nuova legge.
L'approvazione di questa norma sposta il baricentro degli interventi per superare gli Opg sulle misure alternative e sui progetti di cura e riabilitazione e rappresenta un segnale di vicinanza della politica ai problemi concreti del nostro Paese. Ora si tratta di guadagnare il tempo perduto e di far funzionare al meglio i dipartimenti di salute mentale.
Non è più pensabile che poche centinaia di persone con fragilità mentale mettano in crisi il sistema Italia e che nello stesso tempo siano considerati uno scarto umano. Nell'Opg di Aversa qualche anno fa erano presenti 310 persone, oggi 143. Se fosse stata abrogata la misura di sicurezza provvisoria oggi ce ne sarebbero una ventina. Se ci pensiamo, una vera follia.

venerdì 25 aprile 2014

La Comunità di Sant'Egidio insieme a oltre 100 associazioni un carcere più umano e più giusto

La Comunità di Sant'Egidio aderisce a un appello che oltre 50 associazioni che operano in carcere rivolgono alle più alte Istituzioni della nostra Repubblica, affinché le condizioni delle carceri possano cambiare.
La condizione di vita nelle carceri italiane mette a dura prova il rispetto profondo della dignità umana. Il sovraffollamento, la carenza di fondi sufficienti, rendono difficile l'impegno del personale carcerario, diventano occasione di violenza e di disperazione, rappresentano una pena aggiuntiva - fatta di invivibilità - alla pena da scontare per chi è detenuto.
Una parte consistente della popolazione carceraria non è mai stata condannata per il crimine di cui è accusata, ma è in attesa di giudizio. Molti sono in cattive condizioni di salute e moltissimi sono persone tossicodipendenti e alcol dipendenti. Moltissimi sono immigrati. Molti meno di quelli che ne avrebbero diritto possono accedere alle misure alternative alla detenzione.

Un appello e un documento per contribuire al cambiamento della situazione carceraria del nostro Paese, più volte segnalata anche dalle istituzioni europee. 
Le associazioni precisano che: "Lo sguardo europeo sulle condizioni di detenzione in Italia ha indotto un processo di piccole riforme legislative che hanno certamente prodotto una riduzione del sovraffollamento". Ma questo processo deve continuare. 

E' possibile ancora fare ulteriori e più coraggiosi passi in avanti sul terreno delle riforme legislative per procedere sulla doppia via della depenalizzazione e della residualizzazione della pena carceraria.  Nel nostro sistema penitenziario, per prassi consolidata, si è finiti per ritenere che la pena dovesse consistere nella chiusura in cella con pochissimo tempo (a volte solo due ore giornaliere) a disposizione per la vita sociale. Il Ministero della Giustizia non deve tardare ad aprirsi in maniera determinata a questo pezzo importante della società civile non avendo paura delle forti resistenze che provengono dall'interno.
Altri temi affrontati dal documento: 
- Il lavoro dentro e fuori dal carcere, considerando che il tasso di disoccupazione nelle carceri Italiane è del 96%.
-La presenza di madri con bambini in carcere ancora nel numero di 40 -50. Le case famiglia di varie associazioni presenti sul territorio nazionale sono da anni (con un costo di gran lunga inferiore a quello del carcere) disponibili ad accogliere queste mamme con i loro bambini in ambienti sicuramente, oltreché più economici, più adeguati.
- La necessità di favorire l'invio in Comunità di detenuti (ad esempio tossicodipendenti o malati mentali, ma non solo) in affidamento, sia provenienti dalla detenzione che dalla libertà. È necessario un riconoscimento istituzionale ed amministrativo attraverso una retta giornaliera. Le esperienze in atto, oltre ad abbattere in maniera drastica la recidiva (cosa che lo stato italiano oggi non è in grado di assicurare), hanno un costo decisamente inferiore a quello dello stato. Similmente vanno sostenuti i progetti di housing sociale.
- L'istituzione del Garante Nazionale, nonostante molti Paesi europei abbiano già istituito figure analoghe, solo da poco questa figura è stata inserita con legge nel nostro Ordinamento. Le associazioni di augurano che siano scelte persone di comprovata esperienza sul tema dei diritti delle persone private della libertà e del monitoraggio delle condizioni di detenzione. È un incarico molto delicato che richiede indipendenza, autorevolezza morale, grande conoscenza, nonché lunga esperienza sul campo.

Il testo dell'appello http://www.ristretti.org/

Esecuzione di un giovane in Bielorussia, Catherine Ashton condanna la pena di morte in Bielorussia

L'esecuzione di Pavel Selyun è avvenuta il 18 aprile, venerdì santo, in Bielorussia, ultimo paese europeo dove la pena capitale viene ancora applicata. 

Pavel Selyun, che aveva 23 anni, era stato condannato per omicidio nell'agosto 2012. L'esecuzione è la prima nel 2014.


La madre e i familiari del condannato hanno scoperto solo dopo giorni, attraverso il loro legale, che la sentenza è stata eseguita, così ha riferito l'Ong per la difesa dei diritti umani Viasna. "L'avvocato si è recato in visita al suo assistito, ma
Catherine Ashton
le guardie carcerarie lo hanno informato che Selyun se n'era andato nel rispetto della sentenza'". A settembre la Corte suprema aveva confermato al condanna di Selyun, ma la difesa aveva presentato un ricorso che non è mai stato esaminato.

L'alto rappresentante dell'Unione Europea per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza Catherine Ashton ha condannato l'avvenuta esecuzione capitale in Bielorussia. 
Secondo la Ashton la pena di morte è crudele e disumana. Questo tipo di punizione e non è in grado di agire come deterrente ed è un'inaccettabile negazione della dignità umana. 

L’Oklahoma manderà a morte due persone nello stesso giorno


Il 29 aprile prossimo l’Oklahoma manderà a morte due persone contemporaneamente.

 L’Oklahoma manderà a morte due persone contemporaneamente. E’ la prima volta dal 1937 che il ‘Sooner State’ compira’ una doppia esecuzione. I due detenuti hanno commesso crimini senza alcuna relazione tra loro.
Tuttavia le loro condanne erano state sospese a causa della mancanza di farmaci usati per l’iniezione letale. 

Le forniture, infatti, provengono dall’Europa, la quale ha posto una sorta di blocco perché non vuole essere complice nelle condanne a morte.
I nomi dei due condannati a morte sono Clayton Lockett, 38 anni e Charles Warner, 46 anni. I due saranno giustiziati per iniezione letale ma non verrà rivelato loro il tipo di farmaco usato.
I legali dei due uomini hanno gridato all’incostituzionalità. “Non si sa neanche – hanno commentato – se i farmaci per l’iniezione letale sono stati ottenuti legalmente. Non si sa niente della loro efficacia. Questa estrema segretezza e’ una violazione della democrazia”.

giovedì 24 aprile 2014

Padre George, cappellano Gesuita, intervistato sulla sua esperienza accanto ai condannati a morte

Cappellano Gesuita del braccio della morte : “ Noi autorizziamo la vendetta distruggendo molte vite ”

L'intervista di Suor Camille D' Arienzo a Padre George Williams pubblicata su National Catholic Reporter.
(Traduzione a cura della redazione di questo Blog)

Padre George Williams, gesuita, 56 anni, da 4 anni cappellano nel braccio della morte di San Quentin, in California, uno dei bracci della morte più numerosi degli Stati Uniti, con 750 detenuti.
Sr. Camille d'Arienzo

Seguendo le indicazioni di Sant’Ignazio, fondatore dei Gesuiti, che invitava i suoi discepoli a visitare e ad assistere i detenuti, ha seguito la chiamata ed ha scoperto una realtà davvero sorprendente, che gli ha fatto provare più gioia di quanto mai avrebbe potuto immaginare, in un Paese che ha la più alta percentuale di carcerati al mondo ed in cui i periodi di massimo isolamento possono durare anche centinaia di settimane.

Poi il passaggio al braccio della morte, a visitare coloro che tutti consideravano dei mostri immeritevoli di qualsiasi assistenza e attenzione. Lì ha scoperto che aveva a che fare con esseri ancora molto umani, con una dignità ed un valore, che Dio ama nonostante il male che
possono aver commesso. Oggi Padre George visita i condannati, arrivando fino all'esterno della cella (grandi poco meno di 1,5 mt per 3,0 mt e senza finestre), mentre quando celebra la messa viene chiuso in una gabbia ed è costretto ad indossare sotto i paramenti un giubbotto antiproiettile.

Sia nei carceri ordinari, che nel braccio della morte Padre George prova ad ispirarsi alle parole dell'Apostolo Paolo che invita a ricordarsi dei carcerati, "come foste carcerati con loro".

http://nodeathpenalty.santegidio.org/it/news

mercoledì 23 aprile 2014

Malati in carcere: nuova condanna della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo

La Corte europea dei Diritti dell'Uomo condanna nuovamente l'Italia per i ritardi nelle cure, inadeguatezza dei locali e de
È di ieri l'ultima condanna da parte della Corte di Strasburgo per la violazione, all'interno delle carceri italiane dell'articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo per trattamento inumano e degradante.
Il riferimento è alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo – la numero 73869/10 – che ha condannato il nostro Paese a risarcire un detenuto, Giovanni Castaldo, ristretto nella Casa circondariale di Bellizzi Irpino, per il ritardo con il quale gli sono state prestate le cure mediche. Per i giudici di Strasburgo, negare la salute dei detenuti, equivale a un trattamento inumano.

venerdì 18 aprile 2014

Iran: la madre della vittima sospende l'esecuzione in piazza. Balal è salvo


Quella di Balal sembrava un’esecuzione come tante altre in Iran… quando improvvisamente da una delle strade di Royan è comparsa una donna che piangeva, 
ha schiaffeggiato Balal, ma ha fermato il boia. Era la madre della vittima. E così si è fermata un'esecuzione in piazza: la madre della vittima ha salvato l'assassino di suo figlio. E' successo dopo una campagna di mobilitazione. 

"Piangeva e ha chiesto perdono" ha detto la madre della vittima "Gli ho dato uno schiaffo, questo mi ha calmata. Gli ho detto - ti punisco per il male che mi hai fatto - ma sono credente." Poi ha detto alla folla che è difficile avere la casa vuota e senza figli, e ha raccontato che quattro anni prima ha perso un altro figlio a causa di un incidente. 
La gente è ammutolita, ha applaudito e alcuni piangevano. 
Anche un agente si è commosso.
Balal perdonato ha dichiarato: "Ho detto ai miei amici di non prendere mai un coltello in mano. Peccato che nessuno mi abbia schiaffeggiato prima". 
L'esecuzione è stata sospesa all'ultimo minuto. L'uomo aveva già il cappio intorno al collo quando la mamma giovane che aveva ucciso gli è avvicinata e lo ha schiaffeggiato in viso risparmiandogli però la vita. 
La storia: sette anni fa Balal, 20 anni, aveva ucciso Abdollah Hosseinzadeh durante una lite.

Quello che è accaduto in piazza ha sorpreso tutti e ha segnato un precedente importante in uno dei paesi con il più alto numero di condanne a morte nel mondo dopo la Cina. La madre di Abdollah ha schiaffeggiato Balal e il marito gli ha levato il cappio dal collo. Gli attimi seguenti raccontano uno straordinario abbraccio tra due madri in lacrime: una che piange il figlio morto e l'altra quello risparmiato. La famiglia di Abdollah aveva già perso un altro figlio di 11 anni in un incidente di moto. "Ho deciso di salvarlo - spiega il padre - perché un sogno mi ha cambiato. Abdollah che mi diceva che si trovava in un bel posto e c'era più bisogno di vendicarsi". Oggi Balal è salvo, ma in prigione. 
Secondo la legge islamica un condannato  morte può scontare la pena in prigione e scampare alla morte se se viene perdonato dalla famiglia della vittima, che riceve un risarcimento in denaro.  

La grazia di Balal è stata preceduta da una campagna di mobilitazione sostenuta da noti artisti e sportivi, come il calciatore Ali Daie e il presentatore televisivo Adel Ferdossipour, che avevano chiesto alla famiglia della vittima di accordare il perdono. 
Questo genere di campagna mediatica è ancora rara in Iran dove, secondo fonti ONU, più di 170 persone comprese almeno due donne sono state messe a morte da'inizio del 2014.
http://abcnews.go.com

giovedì 17 aprile 2014

La Via Crucis e il cammino dei detenuti verso il riscatto


Da Il Mattino del 17 aprile 2014


La Pasqua


La Via Crucis e il cammino dei detenuti verso il riscatto
La Via Crucis nelle carceri avvicina in modo straordinario la sofferenza di chi è detenuto alla Passione di Cristo. I racconti dei Vangeli che narrano gli episodi della via dolorosa tanto spesso sembrano essere uno spaccato di quello che avviene a chi finisce in galera, anche nel nostro paese, su cui incombe la condanna dell'Europa per il trattamento inumano e degradante del sistema carcerario.  Fin dal momento dell'arresto in cui si è spogliati, privati dei propri oggetti personali e talvolta della propria dignità, ci sono dei tratti che fanno riconoscere l'amara esperienza dei detenuti di ogni carcere in Gesù. Quest’anno, nella Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo, Papa Francesco farà un significativo riferimento alle disumane condizioni delle prigioni: dai temi del sovraffollamento, ai suicidi, fino alla lentezza della giustizia. Gesù condannato, scartato, vittima di razzismo e di calunnia è una delle immagini proposte nelle meditazioni dei testi preparati dall’arcivescovo di Campobasso Giancarlo Bregantini.
Nel carcere di Poggioreale la tradizionale Via Crucis parte davanti al padiglione Roma. Una grande croce viene portata a turno dai reclusi per i viali del penitenziario dove si snodano le quattordici stazioni, così quelli che non partecipano possono ascoltare il rito quando il corteo è nei pressi della loro cella. 
Ci sono le pie donne, le suore sempre attente affinché tutto riesca per il meglio, mentre le guardie sono pronte a vigilare e a riprendere quelli che parlano tra di loro. I volontari guidano la processione.
 Il grido crescente della folla inferocita che condanna sbrigativamente Gesù rievoca quella cultura del disprezzo e quella diffidenza superficiale con cui tanto facilmente la società odierna giudica i detenuti, seppur colpevoli dei reati commessi. Una moltitudine interattiva che punta il dito con un click per condannare o assolvere tra una connessione e l’altra. Cosa può venire di buono da Poggioreale, potremmo dire oggi? Le tante storie che approdano nelle carceri sembrano essere simili, recite degli stessi copioni, ma in realtà sono esistenze uniche e irripetibili, ciascuna con il suo carico di mistero (perché il male è un mistero) e di sofferenza. La scena in cui Gesù viene picchiato, insultato e preso a sputi, può forse evocare celle zero e maltrattamenti di cui tanto si è parlato nei mesi scorsi. Tuttavia, la professione di fede del centurione  che riconosce la grandezza di Dio e avverte un senso di pietà per quell’uomo vinto e sofferente, è la prima forma di riscatto che scaturisce dalla Passione di Cristo. Quello del soldato romano doveva essere davvero un lavoro ingrato, catapultato in una terra straniera a trascorrere interi pomeriggi infuocati su quella collina rocciosa per fare la guardia a ladri, assassini e folli. Un lavoro che induriva il cuore e anestetizzava i sentimenti.
Nell’ultima stazione le donne vanno di buon mattino al sepolcro dove è stato deposto Gesù, come quelle mamme e quelle mogli che all’alba fanno quelle file disumane per andare a trovare i propri cari. Gli olii e i profumi aromatici a Poggioreale sono anche quel sapone e quei bagnoschiuma che le suore dispensano con tanta generosità. Alcuni anni fa, un detenuto nel commentare questa scena raccontava che di notte gli sembrava di stare in quel sepolcro. E dal buio della sua cella, mentre i compagni dormivano, chiese al Signore se anche per lui ci sarebbe stata resurrezione. Al termine del rito il gruppo si scioglie e si torna nelle celle. Nel carcere di Poggioreale la via crucis continua nella vita di tutti i giorni. Ma il Venerdì Santo spesso lascia tracce nel cuore. Il desiderio di cambiare vita, una domanda di perdono. Quella che rivolse, appeso alla croce, il Buon Ladrone a Gesù.

Antonio Mattone

martedì 15 aprile 2014

Manda anche tu una cartolina a Anthony Farina

Rinnoviamo la richiesta di mandare una cartolina a Anthony Farina che si trova nel braccio della morte in Florida.

Ecco il suo indirizzo:


Anthony Farina # 684135
Union Correctional Institution P6227
7819 NW 228th St.
Raiford  FLORIDA  
32026 - 4410
USA



Grazie a una campagna lanciata proprio prima di Natale dalla Comunità di Sant'Egidio su queste pagine, Anthony ha ricevuto tanti messaggi di amicizia e solidarietà. Ne è stato felice. 

Ci ha chiesto di poter ricevere ancora questo bel segno di amicizia e solidarietà. 

Ricevere una lettera fa piacere a tutti. Ancor più se questo può significare la possibilità di allacciare un'amicizia duratura e sincera, altrimenti impossibile. Infinitamente di più se rompe un isolamento quasi assoluto.

La lettera ha un valore enorme sempre, per chi sta in carcere vuol dire collegarsi con il mondo che sta fuori. Le lettere infatti, malgrado la censura che spesso subiscono, sono il solo spazio libero nella vita di uomini e donne nei bracci della morte. Ricevere posta è un po' come allargare le sbarre. Avere qualcuno a cui scrivere scandisce il tempo, che è tutto uguale, apre uno spazio di affetto, aiuta a non perdere la fiducia.
Ci sono tante buone ragioni per scrivere a un condannato a morte!
http://www.santegidio.org/






Giovane donna a rischio di imminente esecuzione in Iran

IRAN: 26enne a rischio imminente di esecuzione. Aveva agito per difendersi dal suo aggressore. 
Dall'Onu la richiesta a non procedere con l'esecuzione della giovane Reyhaneh Jabbari, decoratrice di interni. 
La sua esecuzione potrebbe avvenire entro un mese se la famiglia della vittima non le concede la grazia.  

Secondo fonti affidabili, citate dall'esperto ONU, la vittima, il sig. Morteza Abdolali Sarbandi, avrebbe proposto alla signora Jabbari un lavoro di ristrutturazione del suo ufficio nel luglio 2007, ma la donna avrebbe subito una aggressione fisica e sessuale dalla quale si sarebbe difesa, in questa circostanza sarebbe avvenuta la morte dell'uomo. 
Il caso della Jabbari solleva preoccupazioni riguardo alla procedura adottata nel processo, sembra infatti che già dal primo interrogatorio e poi anche successivamente, ci sia stata resistenza da parte della corte a considerare tutte le prove esistenti. La condanna inoltre sembra essere basata su confessioni estorte.  Più di 170 persone, tra cui almeno due donne, sono state eseguite dall'inizio del 2014 in Iran. 


Teheran, 14 apr. - (Aki) - Rischia di essere impiccata entro le prossime 24
ore Reyhaneh Jabbari, 26enne iraniana condannata a morte per l'omicidio sette
anni fa di un funzionario del ministero dell'Intelligence che aveva tentato
di violentarla. 
A lanciare l'allarme e' Iran Human Rights (Ihr), un'ong che si batte contro la pena di morte nella Repubblica islamica, che invita tutti i paesi con rapporti diplomatici con Teheran a fare pressioni per fermare l'esecuzione.
La Jabbari era stata arrestata nel 2007 per l'assassinio di Morteza Abdolali Sarbandi. Dopo l'arresto, la donna era stata rinchiusa due mesi in isolamento nel famigerato carcere di Evin, a Teheran. Secondo l'Ihr durante questo periodo non ebbe la possibilita' di vedere ne' l'avvocato ne' i familiari. La Jabbari aveva confessato immediatamente l'omicidio, sostenendo di aver agito per autodifesa. La donna era stata condannata a morte nel 2009 da un tribunale penale di Teheran.

venerdì 11 aprile 2014

Nonostante i numerosi appelli è avvenuta l'esecuzione di Ramiro Hernandez

L'esecuzione di Ramiro Hernandez è avvenuta. Ne danno notizia i familiari, i media e il Messico, paese di provenienza di Ramiro, esprime la sua “più energica protesta” agli Stati Uniti per tale esecuzione in Texas. 
La Comunità di Sant'Egidio esprime il suo dolore per l'ennesima morte che ha portato altro dolore e che poteva essere evitata se i paesi del mondo si adeguassero ai trattati internazionali,  alla moratoria universale della pena di morte e si incamminassero verso la scelta di abolire definitivamente questa pena crudele e inumana da tutti gli ordinamenti giudiziari. 



(ANSA-AFP) - WASHINGTON, 10 APR - Un detenuto messicano e' stato giustiziato nel Texas con l'accusa di avere ucciso il suo datore di lavoro e di averne violentato la moglie, nonostante numerosi appelli avessero sollevato l'irregolarita' delle procedure, oltre che l'irresponsabilita' penale del condannato. 
La mamma di Ramiro Hernandez
Ramiro Hernandez, 44 anni, e' morto alle 18.28 ora locale nel penitenziario di Huntsville, nel Texas, secondo quanto comunicato dal ministero della Giustizia dello Stato. E' la sesta persona sottoposta ad esecuzione capitale quest'anno nel Texas.
Il ministero degli Esteri messicano ha immediatamente reagito, condannando l'esecuzione in una nota. Hernandez era stato condannato a morte nel 2000 per avere ucciso il suo datore di lavoro e per aver violentato, a piu' riprese, la moglie della vittima, a San Antonio. La scorsa settimana, la Corte suprema
degli Stati Uniti aveva rifiutato di farsi carico dell' appello di Ramiro   Hernandez che sosteneva di non essere stato informato dei suoi diritti consolari al momento del suo arresto. La Convenzione di Vienna, ratificata da 175 Paesi tra cui gli Stati Uniti, sancisce che tutti i residenti all'estero devono essere informati e ricevere assistenza dai rappresentanti del proprio consolato, dopo esserne stato precedentemente avvisati. E la Corte internazionale dell' Aja aveva ordinato nel 2004 la revisione dei dossier di 51 prigionieri messicani, tra cui Ramiro Hernandez, proprio per la mancata applicazione della Convenzione di Vienna. (ANSA-AFP).

giovedì 10 aprile 2014

L'Indonesia sostiene la cancellazione della pena di morte per Wilfrida, un'altra sua migrante

Wilfrida Soik è una donna indonesiana di East Nusa Tenggara (NTT), emigrata in Malaysia per lavorare come domestica. 

Condannata a morte dal tribunale malese perché accusata di aver ucciso il suo anziano datore di lavoro, e per questo condannata a morte, è stata assolta dalle accuse e dalla condanna a morte dopo più di tre anni di battaglia legale durante i quali il suo caso è stato al centro di un dibattito e dell'interesse di politici e della società civile. 

Migrant Care, ONG di tutela e difesa dei diritti dei lavoratori indonesiani all'estero, che ha monitorato da vicino il caso e il processo di Wilfrida, ha detto che Wilfrida non meritava la pena di morte in quanto minorenne e vittima di un traffico di esseri umani. L'ONG ha espresso la propria gratitudine per la decisione dell’Alta Corte di Kota Bharu, capitale dello stato di Kelantan in Malaysia, di liberare Wilfrida Soik.  

In un comunicato reso disponibile a The Jakarta Post Migrant Care ha dichiarato che: “Il verdetto della corte è corretto e giusto, l'omicidio era in propria difesa per proteggere se stessa da torture per mano del suo datore di lavoro” ha poi proseguito riferendosi ai numerosi casi di condanne a morte: “Questo verdetto sarà un buon precedente per i casi incentrati sulle centinaia di lavoratori migranti indonesiani che si trovano nel braccio della morte”.

La battaglia è durata quattro anni ed è stata sostenuta da organizzazioni e gruppi della società civile, da membri del Consiglio legislativo regionale (DPRD); rappresentanti del Consiglio regionale (DPD) e della Camera dei Rappresentanti (DPR ), dalla Chiesa cattolica di Belu, dalle comunità interconfessionali, nonché da una cantante e attivista Melanie Subono e da tanti navigatori di Internet che hanno mostrato il loro sostegno attraverso petizioni.