domenica 28 settembre 2014

Dalla Svizzera: Martigny è città per la vita!

Il 17 settembre 2014 il comune vallese situato sul gomito del Rodano ha aderito alla campagna mondiale della Comunità di Sant'Egidio "Città per la vita, città contro la pena di morte".





Si legge sul documento di adesione:





" l'amministrazione comunale della città di Martigny

... Preoccupata per la persistenza, in molti Stati, della pratica inumana della pena capitale;


Su proposta della Comunità di Sant'Egidio, fondatrice della rete di municipalità "Città per la vita - città contro la pena di morte", unite nel mondo e in Europa dalla comune volontà di accelerare la scomparsa definitiva della pena di morte dal panorama giuridico e penale degli Stati;


Nel quadro delle iniziative prese dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana durante il semestre di presidenza del Consiglio dell'Unione europea (1 luglio - 31 dicembre 2014);


Al fine di sostenere ogni sforzo in favore dell'abolizione della pena capitale nei poaesi ancora retenzionisti e, come tappa di questo processo, attraverso la moratoria sulle esecuzioni capitali;


In vista della votazione sulla Risoluzione delle Nazioni Unite per una moratoria universale sulle esecuzioni capilali, che si terrà a Ginevra durante il mese di dicembre 2014 in seno alla Commissione per i Diritti dell'Uomo dell'ONU;


Decide:

L'adesione del comune all'iniziativa della Comunità di Sant'Egidio "Città per la vita - città contro la pena di morte/ Cities for life - cities against the death penalty" e dichiara il 30 novembre giornata cittadina "Città per la vita - città contro la pena di morte/ Cities for life - cities against the death penalty" .

L'amministrazione comunale si impegna a fare di questa adesione un motivo maggiore responsabilità nei confronti di coloro che, a causa della persistenza questa pratica inumana e degradante, sono detenuti nel braccio della morte. Sosterrà nella maniera più opportuna ogni sforzo intrapreso per l'abolizione di questa pena dalle legislazioni degli Stati.

Lavorerà in tutte le aree di sua competenza per assicurare luoghi adeguati di informazione e sensibilizzazione sulle motivazioni del rifiuto di una tale pratica e sui progetti della campagna abolizionista nel mondo.

L'amministrazione comunale  farà in modo che questa adesione sia conosciuta il più largamente possibile." 


http://www.santegidio.ch/2014/09/martigny-rejoint-villes-pour-la-vie-villes-contre-la-peine-de-mort/

Adesioni a cities for life 2014: Torre del Greco

Il sindaco di Torre del Greco Ciro Borriello ha aderito alla proposta della Comunità di Sant’Egidio, fondatrice della rete di municipalità unite in Europa e nel mondo dalla comune volontà di accelerare la definitiva scomparsa della pena capitale dal panorama giuridico e penale degli Stati.


“Nel quadro delle iniziative prese dalla Presidenza del Consiglio dei ministri della Repubblica – si legge nel documento sottoscritto dal primo cittadino di Torre del Greco – nel semestre di presidenza 
del Consiglio dell’Unione Europea (primo luglio/31 dicembre 2014); in vista della votazione sulla risoluzione delle Nazioni Unite per una moratoria universale delle esecuzioni capitali che si

terrà nel mese di dicembre in seno alla commissione Onu per i diritti umani”, Ciro Borriello, in qualità di sindaco della quarta città della Campania per numero di abitanti “aderisce all’iniziativa della comunità di Sant’Egidio ‘Città per la vita/Città contro la pena di morte” e si impegna a fare di questa adesione motivo di accresciuta responsabilità, operando in tutti gli ambiti di propria competenza perché siano assicurati spazi di adeguata informazione e sensibilizzazione sulle motivazioni del rifiuto di tale pratica e sul progresso della campagna abolizionista nel mondo”.

http://www.ilgazzettinovesuviano.com/2014/09/27/torre-greco-aderisce-citta-per-vitacitta-contro-pena-morte/

sabato 27 settembre 2014

Mogherini sui lavori all’Onu e sull'impegno dell'Italia nella tutela dei diritti

Il ministro degli esteri Federica Mogherini si è pronunciata sui lavori dell'Assemblea Generale dell’Onu e sull'impegno dell'Italia nella tutela dei diritti.

Sulla moratoria della pena di morte ha affermato: “Stiamo lavorando per arrivare a novembre su un testo che possa aumentare il numero di consensi”.


http://www.onuitalia.com/2014

venerdì 26 settembre 2014

Il Presidente elvetico per la visione di un mondo migliore e la moratoria mondiale della pena di morte

Burkhalter: abolire pena di morte entro il 2025. 

"Politici, giudici, artisti, capi religiosi e filosofi ora tocca a ciascuno di noi prendere in mano questa fiaccola per far avanzare il grande progetto dell'umanità che è l'abolizione universale della pena di morte.




Impegnato negli USA per l'assemblea generale dell'ONU, il presidente elvetico ha chiesto l'abolizione della pena di morte.

Abolire la pena di morte nel mondo entro il 2015: è l'appello lanciato dal presidente della Confederazione Didier Burkhalter questa sera a New York, a margine della 69ma assemblea generale delle Nazioni Unite. 

In molti paesi, un centinaio, questo risultato è stato raggiunto - ha detto - grazie al lavoro infaticabile di personalità fuori dal comune che si sono adoperate per la visione di un mondo migliore. Si tratta di politici, giudici, artisti capi religiosi e filosofi. Ora tocca a ciascuno di noi - ha proseguito - prendere in mano questa fiaccola per far avanzare il grande progetto dell'umanità che è l'abolizione universale della pena di morte. 

Obiettivo da raggiungere tra una decina di anni, o almeno ottenere una moratoria di fatto su scala mondiale. E' con questo spirito - ha detto ancora Burkhalter - che la Svizzera e altri paesi intendono promuovere il prossimo 10 ottobre, in occasione della 12ma giornata mondiale contro la pena di morte, una Dichiarazione comune, un appello portato avanti da un gruppo di paesi in rappresentanza di tutte le regioni e popoli del pianeta.

Renzi all'Onu priorità lotta alla pena di morte per uscire dalla barbarie

da Il Messaggero.it 

Pena di morte, l'appello di Ban Ki-Moon: «Non ha posto nel 21esimo secolo».
Renzi rilancia: contro la crisi una moratoria di mille giorni. «Non aggiungiamo barbarie alla barbarie. Chiediamo a tutti i Paesi di unirsi a noi in questa battaglia di civiltà». Forte del fatto di venire da una regione, la Toscana, in cui la tradizione abolizionista è vecchia di secoli, il primo ministro Matteo Renzi ha lanciato dal podio dell'Assemblea generale un forte appello per la moratoria delle esecuzioni. «Da Cesare Beccaria a Matteo Renzi», ha sintetizzato il vicesegretario per i diritti umani Ivan Simonovic dopo l'intervento appassionato del premier. 

«La sessione dell'Assemblea che ci troviamo ad aprire coinciderà con la presentazione di una nuova risoluzione per una moratoria delle esecuzioni. Mi auguro che il fronte dei Paesi che hanno scelto di sostenerla continui a crescere», ha detto Renzi riandando alla sua esperienza di Sindaco della città di Firenze, che per prima abolì la pena di morte nel 1786: «Motivo di orgoglio ogni mattina, salendo le scale di Palazzo Vecchio».

La pena di morte, come ha detto il segretario generale Ban Ki moon, «non ha posto nel 21esimo secolo», e tuttavia non bisogna abbassare la guardia. Renzi ne ha parlato in un incontro ad alto livello promosso dall'Italia con il numero due dell'Onu Jan Eliasson e il nuovo alto commissario per i Diritti Umani, il principe giordano Zeid al Hussein, con i i presidenti di Mongolia, Tunisia e il ministro degli esteri del Benin: paesi che di recente hanno rinunciato alle esecuzioni e in cui «la leadership ha fatto la differenza», ha detto il presidente mongolo Tsakhiagiin Elbegdorj. Mai prima d'ora all'Onu un evento sulla pena di morte aveva visto una partecipazione di così alto livello, ha osservato Simonovic rendendo omaggio al ruolo dell'Italia quando nel 2007 per la prima volta l'Onu approvò una risoluzione sulla moratoria.

«Ci sono segnali preoccupanti: paesi che avevano adottato una moratoria di fatto hanno ripreso le esecuzioni», ha detto Renzi: «Allo stesso tempo, paesi che continuano ad avere le esecuzioni nei codici hanno mostrato moderazione. Bisogna continuare a lavorare per evitare involuzioni nel voto del prossimo autunno». Con il sostegno di tutte le sue componenti - governo, parlamento, società civile (e qui Renzi ha reso omaggio alle campagne di Sant'Egidio), l'Italia «è stata in prima linea fin dal primo giorno - era il 1994 quando la prima bozza di risoluzione fu presentata in Assemblea e perse per una manciata di voti - nelle campagne per fermare le esecuzioni con l'obiettivo della loro totale abolizione, ha ricordato il premier italiano: «Una priorità della nostra politica estera». L'obiettivo all'Onu è consolidare quella maggioranza di 111 Paesi che due anni fa si pronunciarono a favore della moratoria, sette in più rispetto al 2007 quando il primo documento passò con 104 sì: «Una risoluzione storica», ha ricordato Simonovic.

giovedì 25 settembre 2014

Campagne di sensibilizzazione contro la pena di morte a Tokyo

Dieci milioni di yen, poco più di 70 mila euro. È questa la somma stanziata quasi 10 anni fa per istituire un fondo che aiutasse i detenuti del braccio della morte nelle carceri giapponesi a pagarsi le spese necessarie per sostenere un nuovo processo. A nove anni dalla nascita, gli amministratori del Daidoji (questo il nome del fondo) hanno dichiarato che continueranno la loro attività oltre la scadenza prevista, anche se serviranno nuovi finanziamenti.
I GIAPPONESI PER LA PENA DI MORTE. Anche perché nell'impero del Sol levante le esecuzioni continuano. Anzi, si sono fatte sempre più frequenti dall'insediamento del governo di Shinzo Abe. Vero è che la pena capitale è fortemente appoggiata da una larga fetta di opinione pubblica.
Istituito nel 2005, il fondo nacque grazie alla donazione di Sachiko Daidoji, madre di un condannato e attivista per i diritti dei detenuti nel braccio della morte e scomparsa a 83 anni nel 2004.
Oltre a pagare le spese legali dei condannati che chiedono un nuovo processo, il Daidoji organizza mostre con i lavori dei detenuti per sensibilizzare contro la pena di morte.
SENSIBILIZZARE CON L'ARTE. L'ultima è stata allestita nella galleria Owada, nel centro culturale di Shibuya, a Tokyo. Qui sono esposte le opere collezionate in nove anni di attività. «Quando abbiamo istituito il fondo», ha spiegato Masakuni Ota, uno degli amministratori, «speravamo che la pena di morte sarebbe stata abolita nell'arco di 10 anni. Ma al momento, non vediamo segnali in questo senso e, anzi, è diventato ancora più importante per i condannati mostrarci i loro lavori».
Per i detenuti con condanna confermata, ai quali non viene comunicata la data dell'esecuzione, l'arte e la letteratura costituiscono uno dei pochi modi per esprimere la propria creatività o i propri desideri in uno stato di totale reclusione. Lo dimostra il numero di opere raccolte dal fondo Daidoji. Un segno, secondo Ota, «di quanto i detenuti, attraverso i loro lavori, cerchino disperatamente un contatto con la società al di fuori del carcere, un dialogo con gli altri».
DODICI ESECUZIONI NELL'ERA ABE. Mentre in patria la pena di morte è accettata, dall'esterno arrivano pressioni sempre più pesanti per la sua abolizione. Solo il 29 agosto, l'ex ministro della giustizia Sadakazu Tanigaki ha autorizzato l'impiccagione di Mitsuhiro Kobayashi e Tsutomu Takamizawa, entrambi condannati per omicidio plurimo. Sono state rispettivamente l'11esima e la 12esima esecuzione da dicembre 2012, data dall'insediamento del governo Abe. Tanigaki ha definito la scelta «difficile», ma «doverosa», vista l'efferatezza dei crimini dei condannati. Inoltre, in risposta alle critiche delle ong internazionali, il ministro ha affermato che in Giappone c'è un diffuso consenso sull'utilità della pena di morte.
IN CARCERE 126 CONDANNATI. Al momento sono 126 i detenuti in attesa di esecuzione, 85 dei quali hanno fatto ricorso contro la condanna e 25 hanno presentato richiesta di amnistia. Alcune organizzazioni non governative come il Japan Innnocence and Death Penalty Information Center criticano l'intero sistema giuridico che fa troppo affidamento sulle confessioni - spesso estorte con la violenza - dei sospetti. Come nel caso di Iwao Hakamada, un ex pugile detenuto per 45 anni nel braccio della morte, condannato a causa di prove forse fabbricate ad hoc.
La richiesta di un nuovo processo è stata accolta ed ora è fuori, in attesa di una nuova sentenza.

sabato 20 settembre 2014

Ciad: il nuovo codice penale prevede l'abolizione della pena di morte

Il 5 settembre scorso il Ciad ha adottato un codice penale inteso ad abolire la pena di morte, lo ha annunciato il Ministro della Comunicazione e portavoce del Governo del Ciad Hassan Sylla Bakari. Il Ministro ha detto che “la pena di morte sarà sostituita con l’ergastolo senza possibilità di libertà condizionale” ha aggiunto poi che l’abolizione era necessaria per il Paese per modernizzare le sue leggi in ambito politico, sociale, culturale, economico e diplomatico.
Il Ciad aveva adottato la moratoria sulle esecuzioni nel 1991, interrotta solo nel 2003 con ben nove esecuzioni, tutte nel giro di 4 giorni. 
Il progetto, deve ancora essere votato dal parlamento, era in preparazione da una decina di anni. Questa buona notizia è purtroppo accompagnata dalla decisione di perseguire legalmente l'omosessualità, con pene fino a 20 anni di reclusione.

giovedì 18 settembre 2014

Esecuzione di Lisa Coleman in Texas

Texas, l'esecuzione di Lisa Coleman ha avuto luogo il 17 settembre. 

Quella di Lisa, che aveva 38 anni, è stata la nona esecuzione in Texas. A nulla e' valso l'ultimo appello presentato alla Corte suprema perché l'esecuzione fosse sospesa. I giudici lo hanno respinto. Il decesso è avvenuto 12 minuti dopo l'inizio della
somministrazione del cocktail letale. 

Lisa Coleman, 38 anni, è stata giustiziata ieri negli Stati Uniti 12 minuti dopo che la corte del Texas ha pronunciato la sentenza. Ricorso respinto, non restava che preparare l'iniezione letale. Dio, l'affetto per le altre donne nel braccio della morte, la sua forza interiore: le sue ultime parole sono state tutte sul presente, nessun riferimento al passato, al perché sia diventata la nona persona del 2014 ad essere condannata a morte in Texas.

Sono 15 donne giustiziate negli USA dal 1976, quando la pena capitale è stata reintrodotta negli Stati Uniti. Gli uomini sono stati invece quasi 1400. 

mercoledì 17 settembre 2014

Una buona notizia: un mese di sospensione per Shoaib Sarwar

Sospesa per un mese l'esecuzione del condannato a morte prigioniero nel carcere di Adiala in Pakistan. 

L'esecuzione Shoaib Sarwar doveva avere luogo dopodomani, 18 settembre 2014, ma una Corte di Islamabad ha concesso 30 giorni di tempo.



Auspichiamo che questo tempo sia favorevole per un ripensamento sul caso specifico e per il mantenimento della moratoria già in atto da oltre sei anni.

da Dawn.com
(traduzione a cura della redazione di questo blog)
ISLAMABAD: Martedì un tribunale ha rinviato di quasi un mese l'impiccagione di un assassino in quella che sarebbe stata la prima esecuzione di un civile nel paese in sei anni, hanno dichiarato gli avvocati.
Shoaib Sarwar, che è stato condannato nel 1998, doveva essere impiccato nel carcere Adiyala di Rawalpindi giovedì a seguito degli ordini emessi da un altro tribunale la scorsa settimana, nonostante l’ indignazione tra i gruppi che combattono per la tutela  dei diritti.
Il Pakistan aveva avuto una moratoria de facto sulle impiccagioni di civili dal 2008.
Solo una persona è stata giustiziata da allora, un soldato condannato da una corte marziale e impiccato nel novembre 2012.
"Ci sentiamo sollevati per essere riusciti ad evitare questa imminente ingiustizia mediante un ordine di sospensione", ha detto Maryam Haq, un avvocato del gruppo non-profit Pakistan Progetto Giustizia.
I funzionari della Procura hanno confermato la sospensione dell'esecuzione fino al 13 ottobre.
Haq ha detto che la sua organizzazione aveva sostenuto che l'esecuzione doveva essere sospesa in base al fatto che Sarwar è stato in carcere per oltre 18 anni, più di una condanna a vita, quindi l'esecuzione significherebbe punirlo due volte per lo stesso reato.
Essi hanno inoltre sostenuto che, poiché Sarwar era uno dei querelanti in una petizione per l'abolizione della pena di morte, in corso di esame da parte della Corte Suprema, si dovrebbe prima attendere una decisione sulla petizione.  
"L'esecuzione di Shoaib sarebbe una violazione inimmaginabile dei suoi diritti costituzionali e continueremo a lottare fino a quando questo oscuro ordine verrà revocato”, ha dichiarato l’avvocato.
Lunedì Amnesty International aveva anche invitato il Pakistan a sospendere l'esecuzione, a imporre una moratoria sulla pena di morte e alla fine ad abolirla.
"Il Pakistan deve rinunciare immediatamente ai suoi evidenti piani di effettuare la prima esecuzione di un civile in quasi sei anni e deve invece imporre una moratoria sull'uso della pena di morte come primo passo verso l'abolizione", ha detto il gruppo in un comunicato.
Sarwar è attualmente detenuto in una prigione nella città nord-occidentale di Haripur, circa 25 chilometri (16 miglia) da Islamabad.
Nel Giugno dello scorso anno il nuovo governo del primo ministro Nawaz Sharif ha scartato la moratoria nel tentativo di reprimere criminali e attivisti.
Ma due settimane dopo ha annunciato un’ ulteriore sospensione delle esecuzioni dopo una protesta da parte dei gruppi per la tutela dei diritti e dell’ allora presidente Asif Ali Zardari.
Tutti gli ordini di esecuzione in Pakistan devono essere firmati dal presidente.
Lo scorso anno i funzionari dell'Unione Europea hanno indicato che se il Pakistan  riprendesse le esecuzioni, potrebbe compromettere accordi molto importanti con la coalizione.
Il gruppo della campagna dei diritti di Amnesty International stima che il Pakistan ha più di 8.000 detenuti nel braccio della morte, per la maggior parte dei quali i processi d'appello si sono già completati.


martedì 16 settembre 2014

Viaggio dentro ad Angola, Louisiana State Penitentiary


Viaggio dentro ad Angola, L’Alcatraz del Sud


di Marzio G. Mian – foto e video di Alessandro Cosmelli

Gli uomini, tutti neri, sono chini e muti. Indossano pantaloni blu, casacche bianche o celesti, usano guanti gialli. Calzano stivaloni di gomma, in capo quasi tutti hanno calati logori cappellacci di paglia o berretti da baseball, qualcuno non smette il poco raccomandabile cappuccio della felpa. Se non fossero tenuti sotto tiro dalle guardie a cavallo sembrerebbero immigrati arruolati nella raccolta dei pomodori in Puglia. Dalla strada sterrata, senti solo qualche colpo di tosse provenire dal profondo del campo o qualche prolungato mugolio o sbuffo prodotto dallo sforzo dei più corpulenti nel momento d’alzarsi e deporre le grosse rape nei secchi; a fare attenzione il vento caldo porta a folate le note d’un soffocato canto lontano, laggiù nel campo – ma forse sono solo i fantasmi di questa ex piantagione, una delle più infami
del Sud e della Louisiana, coltivata da schiavi provenienti soprattutto dall’Angola, un nome che divenne una garanzia di maledizione sia per i neri condotti in catene a raccogliere il cotone sia per i detenuti tradotti in catene quando Angola, ai primi del Novecento, divenne il più grande carcere di massima sicurezza degli Stati Uniti, 7.300 ettari, 73 chilometri quadrati, più esteso di Manhattan.


http://www.corriere.it/reportage/lalcatraz-del-sud/

sabato 13 settembre 2014

Pakistan: dopo sei anni di moratoria rischio di esecuzione capitale

Un triste annuncio pubblicato da Misna: in Pakistan dopo sei anni di moratoria è a rischio la vita di un uomo condannato alla pena capitale.  Ne diamo notizia augurandoci che ci sia ancora il tempo per un ripensamento. Il Pakistan, nella persona del Ministro degli Interni Chaudry Nisar Ali, aveva confermato la moratoria sulle esecuzioni proprio nell'aprile scorso. Attualmente, ci sono 7.164 persone, tra cui 51 donne, la cui condanna a morte torna a essere a rischio. 
Potrebbero essere 7.164 vite risparmiate!


Misna, 12 settembre 2014

PAKISTAN

DOPO SEI ANNI DI MORATORIA,TORNA L’ESECUZIONE CAPITALE

Dopo aver osservato una moratoria informale di sei anni sulle pene capitali, il tribunale del distretto di Rawalpindi ha ordinato alle autorità interessate di eseguire, il 18 settembre, l’impiccagione di Shoaib Sarwar, prigioniero nel carcere di Adiala. Sarwar era stato condannato a morte il 2 luglio 1998 con l’accusa di aver ucciso un uomo a Wah Cantt, Rawalpindi, nel 1996. Ieri, il giudice distrettuale, Abdul Sattar, ha ordinato alle autorità della prigione di Adiala di attuare la condanna a morte di Shaoib. L’ultima esecuzione di un prigioniero, nel braccio della morte in Pakistan, aveva avuto luogo verso la fine del 2008. Da allora le esecuzioni erano state sospese.

La Commissione per i diritti umani del Pakistan (Hrcp) ha espresso grave preoccupazione per l’impiccagione prevista del condannato nel carcere Adiala nonostante la moratoria informale sulle esecuzioni e ha invitato il governo ad annullare l’impiccagione e ad annunciare una moratoria formale sulle esecuzioni. “Vogliamo ricordare al governo che le ragioni che hanno causato la moratoria delle esecuzioni dal 2008 non sono cambiate. Queste includono le ben documentate carenze delle leggi, le lacune nell’amministrazione della giustizia e nei metodi di indagine e la corruzione cronica. In considerazione di questi fattori, la pena capitale permette una elevata probabilità di errori giudiziari che è totalmente inaccettabile in una società civile, in particolare perché la punizione è irreversibile” ha detto la commissione Hrcp in un comunicato.

Nonostante la moratoria informale delle esecuzioni, la pena capitale rimane negli statuti del Pakistan per 28 reati e i tribunali continuano ad aggiudicare condanne a morte. La Hrcp ha inoltre esortato il governo a firmare il protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici, finalizzato all’abolizione della pena di morte.

Anche la Commissione Internazionale dei Giuristi (Icj) ha chiesto oggi con urgenza al governo pakistano di fermare l’imminente esecuzione di Shoaib Sarwar. “Rompere la moratoria sulla pena di morte sarà un grande passo indietro per il Pakistan, mettendo in discussione l’impegno del governo del primo ministro Nawaz Sharif nei confronti dei propri obblighi riguardanti i diritti umani” ha dichiarato Sam Zarifi, direttore regionale della Corte internazionale di giustizia per l’Asia e il Pacifico.

La ripresa della pena di morte in Pakistan è in opposizione al movimento globale e regionale verso l’abolizione della pena di morte. Attualmente, 150 paesi in tutto il mondo, tra cui 30 Stati della regione Asia-Pacifico, compreso il Nepal e lo Sri Lanka, hanno abolito la pena di morte per legge o nella pratica. “Riprendere le esecuzioni è tanto più allarmante dato che oltre 8.000 persone sono attualmente nel braccio della morte in Pakistan”, ha aggiunto Zarifi. La Corte internazionale di giustizia si oppone alla pena capitale in tutti i casi, senza eccezione. La pena di morte costituisce una violazione del diritto alla vita e il diritto a non essere sottoposti a punizioni crudeli, inumani o degradanti.

 [PL]

venerdì 12 settembre 2014

Il 10 settembre del 1977 venne ghigliottinato l’ultimo uomo in Francia

Robert Badinter
L’ultimo condannato a morte a essere giustiziato con la ghigliottina fu Hamida Djandoubi, tunisino, accusato dell’omicidio dell’ex fidanzata Elisabeth Bousquet, avvenuto nel 1973. L’esecuzione avvenne il 10 settembre del 1977 in Francia, solo 37 anni fa, e l’ “onore” di compiere l’ultima esecuzione con la ghigliottina spettò a Marcel Chevalier, autore di ben 40 esecuzioni capitali.


François Mitterand
Djandoubi apparve davanti al tribunale di Aix-en-Provence e il 25 febbraio del 1977 venne condannato a morte. Dopo di lui non ci furono altre esecuzioni capitali. 

La pena di morte in Francia venne abolita, come noto, nel 1981 dopo l’elezione di François Mitterrand, il merito del processo di abolizione va però all'allora ministro della giustizia Robert Badinter.

venerdì 5 settembre 2014

Il New York Times si schiera ancora contro la pena di morte

da Il Secolo XIX

New York - La pena di morte è «fallace, immorale» e per questo «va abolita subito»: dopo che un giudice della North Carolina ha scagionato due uomini da 30 anni in carcere - uno dei due nel braccio della morte - il New York Times è tornato all’attacco. Il caso di Henry McCollum e Leon Brown, questi i nomi dei due innocenti, «è un esempio da manuale di quel che non funziona nel nostro sistema giudiziario», scrive il giornale in un editoriale intitolato “The Innocent on Death Row”, «l’ennesima prova, se ce ne fosse ancora bisogno», che l’iniezione letale non ha ragione di esistere in un Paese leader nella difesa dei diritti umani nel mondo. Un articolo che esce inoltre a pochi giorni dai risultati dell’autopsia sul condannato Clayton Lockett, che lo scorso aprile soffrì un’agonia lunga 43 minuti prima che il veleno dell’iniezione letale avesse ragione di lui, l’ultimo di una serie di esecuzioni «andate male».

È una condanna senza riserve, quella del più influente quotidiano americano, che già l’anno scorso si era scagliato contro il sistema «crudele e disumano» della «morte di Stato» anche in casi di delitti efferati come quello del settembre 1983 quando, in un campo di soia della Robeson County, trovò la morte l’undicenne Sabrina Buie: una vicenda che aveva fatto inorridire un’intera nazione. La bambina era stata stuprata, bastonata e soffocata con la sua biancheria intima. Undici anni dopo il delitto, per difendere la pena capitale, uno dei giudici conservatori della Corte Suprema, Antonin Scalia, aveva citato proprio il caso di Sabrina: «Una morte tranquilla con l’iniezione letale: cosa c’è di più invidiabile, in confronto alla fine fatta da quella bambina?».

Fatto sta che McCollum e Brown non c’entravano per niente. Entrambi con disabilità mentali e uno dei due appena quindicenne, erano finiti in carcere: il piccolo all’ergastolo, il grande nel braccio della morte. L’errore giudiziario fu ancora più emblematico perché il sospettato più plausibile, Roscoe Artis, che sta scontando una condanna all’ergastolo per un omicidio simile commesso poche settimane dopo l’uccisione di Sabrina, era sotto gli occhi di tutti e il suo Dna è stato adesso riscontrato su una sigaretta trovata in quel campo di soia, il luogo del delitto.

«Casi di condanna capitale basati su prove inconsistenti, inquinate da negligenze di procuratori e giudici e viziate da pregiudizi razziali sono purtroppo molto comuni. Eppure, anche se i sostenitori della pena di morte insistono che solo i colpevoli sono messi a morte - scrive il New York Times - è oggi chiaro che il giudice Scalia 20 anni fa era pronto a consentire l’esecuzione di un uomo che è risultato innocente».

giovedì 4 settembre 2014

North Carolina: per 31 anni nel braccio della morte, liberati perché innocenti

Sono due fratelli Henry McCollum e Leon Brown, hanno trascorso 31 anni nel braccio della morte. Erano stati imprigionati nel 1983, quando uno aveva 19 anni e l'altro 15. La loro liberazione è stata accompagnata da un'esplosione di gioia da parte di familiari e avvocati che avevano creduto nella loro innocenza.




Tutti e due con un quoziente intellettuale al di sotto della media, e semi-analfabeti, erano stati facilmente convinti a firmare una confessione. Quella confessione li portò nel braccio della morte della Carolina del nord. E oggi, 31 anni più tardi, il 50enne Henry e il 46nne Leon Brown sono tornati liberi. Il giudice Douglas Sasser li ha definiti “innocenti”.

martedì 2 settembre 2014

Egitto: pena di morte commutata in ergastolo


Il tribunale di Giza, alle porte del Cairo, ha commutato in ergastolo la pena di morte inflitta in precedenza alla Guida Suprema dei Fratelli Musulmani, Mohamed Badie, e ad altri sette dirigenti della Fratellanza, movimento messo al bando nell'estate del 2013. 

La tv di stato egiziana ha riportato la notizia spiegando che per altri sei imputati, processati in contumacia, la condanna a morte è stata confermata. Badie e gli altri condannati erano accusati di aver incitato la folla alla violenza e all'uccisione di manifestanti del fronte avverso durante le proteste di luglio 2013 a Giza. 

Come sappiamo il Gran Mufti Shawqi Allam 16 giugno scorso aveva dato parere negativo sulle condanne a morte e aveva chiesto una revisione del caso. Tra gli altri condannati all'ergastolo si contano il segretario generale del disciolto partito della Fratellanza, Partito Libertà e Giustizia, Mohammed al-Beltagi, nonché il vice leader del partito, Essam al-Erian. Tra gli imputati per i quali la condanna a morte è stata invece confermata si annovera Assem Abdel Maged, leader della Gamaa Islamiya.

lunedì 1 settembre 2014

Due condannati a morte giustiziati in Giappone

Sono tre le condanne eseguite quest'anno, 11 dal ritorno dei conservatori al governo, nel dicembre del 2012.


L'esecuzione più recente risale al 26 giugno del 2014. Il ministro della Giustizia Sadakazu Tanigak ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa di aver ordinato le esecuzioni dopo matura riflessione. Il ritmo delle esecuzioni è ripreso dopo che in Giappone nel 2011 non vi erano state esecuzioni. Al momento nel braccio della morte sono presenti 125 condannati.


Alla fine del mese di marzo 2014 avevamo accolto con gioia la notizia della liberazione 
del sig. Iwao Hakamada, dopo 48 anni di ingiusta prigionia nel braccio della morte. 

La Comunità di Sant'Egidio da molti anni segue l'evoluzione della pena di morte in Giappone e ha contatti con associazioni, parlamentari e singoli che vedono con favore l'abolizione della pena capitale. In particolare, anche insieme alla signora Hideko sorella del detenuto, si era impegnata sul caso di Hakamada, che ha toccato il cuore di milioni di persone di tutto il mondo, promuovendo una profonda riflessione sul senso della giustizia e sull'assurdità della condanna a morte. 

Con la Comunità di Sant'Egidio torniamo a rinnovare e rafforzare il nostro impegno democratico per il riconoscimento dei diritti umani e per un livello più alto e più umano dell'amministrazione della giustizia in Giappone. Ci auguriamo che presto un nuovo pensiero sulla vita e sulla giustizia abbia spazio anche in Giappone e che non avvengano più esecuzioni.