Ne hanno parlato ieri a Roma nella Nuova Aula dei Gruppi Parlamentari, alla Camera, i responsabili della Giustizia di 30 paesi in un clima di dialogo e di analisi degli ostacoli e di ricerca delle possibili soluzioni.
Non si può pensare che la pena capitale sia la cura per una società violenta, ha sostenuto Marco Impagliazzo. La pena di morte non è una medicina; è l’opposto, è un veleno. Ma noi, qui, non vogliamo avvelenare le nostre società. Al contrario, intendiamo cercare un antidoto al veleno della violenza, insieme.


Il mondo si era abituato alla pena di morte fin dai suoi primi passi. “Era sembrata naturale – ha ricordato Mario Marazziti - quasi come l’aria e l’acqua. Così è stato per la schiavitù e la tortura”. La pena di morte non aiuta mai la sicurezza dei popoli. Rende più vulnerabili alla violenza, alla tortura, perché disumanizza anche chi è dalla parte della ragione. Lo aveva ben compreso Cesare Beccaria, nel XVIII secolo, quando sostenne che è “un assurdo che le leggi, [le quali] … detestano e puniscono l’omicidio, ne commettano uno esse medesime, e per allontanare i cittadini dall’assassinio, ne ordinino uno pubblico” (Dei delitti e delle pene, cap. XXVIII).
Tante le questioni affrontate come quella dell’aumento delle esecuzioni extragiudiziali, in diversi Paesi del mondo – spesso nei confronti di persone accusate di reati legati alla droga - e dei linciaggi, una giustizia “fai da te” che provoca la morte di troppe persone, uccise dalla popolazione, nella maggioranza dei casi per aver commesso piccoli furti. O del numero dei condannati a morte innocenti che escono dal braccio della morte. Negli USA il Registro Ufficiale ha superato i 1900 casi di condanne della persona sbagliata. Ha affermato Magdaleno Rose-Avila fondatore dell'associazione Witness to Innocence, che "La storia non aspetta, in questi 10 anni di Convegni dei Ministri della Giustizia con Sant'Egidio si è fatta la storia. Bisogna continuare a sognare l'impossibile".
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