di Luca Liverani
Nel 2017 l’applicazione della pena di morte si è ridotta di un terzo rispetto a un anno fa. Impagliazzo: «Rispondere con la violenza alla violenza, legittima chi ne fa uso»
Non c'è incongruenza più grande che combattere con la pena capitale chi celebra la morte, compiendo stragi e immolandosi. Eppure, di fronte al terrorismo, la tentazione si fa strada. «Molti sono i Paesi che pensano di ripristinare la pena di morte dice il ministro della Giustizia Andrea Orlando e anche in Europa davanti agli atti terroristici si è tornato a invocare il ripristino della pena di morte». Per il Guardasigilli il rischio c'è. E «per impedire che questa impostazione ci riporti indietro è necessario rafforzare la cooperazione nazionale sulla repressione dei fenomeni criminali per rispondere alla paura». Il no del Guardasigilli alla pena capitale è tutt'altro che una resa al crimine. Orlando lo ribadisce al X Congresso internazionale «Un mondo senza pena di morte», organizzato alla Camera dalla Comunità di Sant'Egidio, con i contributi dei ministri della Giustizia arrivati da 30 Paesi. C'è anche il ministro del Marocco, Mohamed Aujjar, Paese che ha ridotto a pochissimi reati quelli puniti con la pena capitale. Abolizionista de facto con l'ultima esecuzione nel 1993, il Marocco che ha cancellato di recente la pena di morte per gli apostati, cioè chi abbandona l'islam. All'incontro invia un suo intervento il premier Paolo Gentiloni, che conferma l'impegno dell'Italia come capofila dei Paesi impegnati per la moratoria universale, approvata nel 2007 dall'assemblea delle Nazioni Unite: «L'Italia, con l'Unione Europea, continuerà a farsi promotrice di questa campagna, per vincere insieme la sfida di un mondo finalmente libero dalla pena di morte». Da quel primo sì «questa battaglia fondamentale per i diritti umani è proseguita con risultati significativi in tutto il mondo». Orlando sottolinea che dal 2014 a oggi il numero di Paesi abolizionisti è passato da 79 a 107. E le esecuzioni nel 2017 sono state un terzo in meno rispetto all'anno precedente. Anche Marco Impagliazzo dice no all'occhio per occhio di Stato: «Proprio perché ci confrontiamo con il culto della morte espresso dal terrorismo suicida e dal diffondersi della violenza estrema avverte il presidente della Comunità di Sant'Egidio appare chiaro che difendere la vita è rifiutare ogni logica basata sulla soppressione di un essere umano. Fosse anche quella del terrorista». Per Impagliazzo «la pena di morte rappresenta la vittoria di quel nemico che si vorrebbe tenere lontano ed esorcizzare. Con la pena capitale il nemico ha vinto perché è entrato dentro di noi». Rispondere alla violenza con una violenza di segno opposto «per quanto legalizzata», sarebbe un modo per «banalizzare lo spargimento di sangue. La pena di morte non è una medicina, ma un veleno». Mario Marazziti, presidente della commissione Affari sociali della Camera, ricorda i passi avanti: nel 1975 solo 16 Paesi avevano abolito la pena di morte, «l'anno scorso solo 23 su 200, comprese le entità territoriali che non siedono all'Onu, hanno compiuto esecuzioni capitali». Molto c'è ancora da fare. Negli Stati Uniti dove il presidente Donald Trump ha invocato la pena di morte per l'autore della strage del 31 ottobre a New York il boia non solo uccide, ma discrimina: «Negli Usa gli afroamericani sono il 13% della popolazione, ma salgono al 61% tra gli innocenti condannati al posto di altri». Perché «un innocente nero ha sette volte le probabilità di un bianco di essere condannato a morte innocente».
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