mercoledì 16 settembre 2015

Camerun, Sant'Egidio libera 9 giovani: incarcerati per anni per un ramo spezzato

Dal 2009 anche i detenuti delle carceri italiane impegnati nell'aiuto a coloro che sono reclusi nelle carceri dell'Africa. Basta poco: un piccolo aiuto può cambiare la vita di una persona. 
Riparte la campagna "liberare i prigionieri in Africa" uno sforzo di solidarietà e generosità che viene dalle carceri italiane. 
Perché nessuno è così povero da non poter aiutare un altro. E per scoprire che c'è più gioia nel dare che nel ricevere. 
E che la dignità di una persona dipende anche dalla possibilità di aiutare gli altri. 

http://www.santegidio.org/

Riportiamo l'articolo apparso oggi su Repubblica.it
di STEFANO PASTA

Nelle prigioni africane, al termine della pena non si è liberi: occorre ripagare lo Stato per ciò che ha speso durante la detenzione. Il furto di un panino o un ramo tagliato costano anni di carcere.
 A Tcholliré, la Comunità di Sant'Egidio distribuisce sapone e cibo, libera i prigionieri progettando il loro reinserimento. In carcere finiscono i più poveri: ragazzi di strada, profughi centrafricani, immigrati ciadiani. La particolare situazione dei giovanissimi detenuti ex combattenti con Boko Haram.

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Camerun, Sant'Egidio libera 9 giovani: incarcerati per anni per un ramo spezzatoROMA - A Tcholliré, nel nord del Camerun, sono oltre 800 i detenuti delle due prigioni cittadine. Le loro condizioni, tra scabbia, fame, sete e sovraffollamento, sono quelle comuni a molte carceri africane. Le immagini mostrano ragazzini con pesanti catene di metallo ai piedi, come quelle d'altri tempi. Giovanissimi, a volte anche dodicenni, pagano con anni di reclusione il furto di una gallina o di un frutto. Non ci sono limiti alla custodia cautelare, si può rimanere dietro le sbarre per lunghi periodi prima del processo, quando l'accusato non può pagare un avvocato, oppure perché il dossier resta "dimenticato" nel commissariato dove è avvenuto l'arresto. Ma la reclusione viene allungata anche al termine della pena. In Camerun, infatti, per tornare in libertà è necessario pagare una somma per ripagare lo Stato del denaro speso durante la detenzione.

Ibrahim e gli altri ragazzi non più dietro le sbarre. Ibrahim aveva già scontato vari mesi. La colpa? Aver tagliato un ramo di un albero per scaldarsi. Lui è uno dei nove giovani liberati questo mese dalla Comunità di Sant'Egidio. Ogni settimana i membri dell'associazione distribuiscono sapone e cibo a Tcholliré e in altri dieci carceri del Camerun; tutti operano a titolo gratuito, un fatto che colpisce molto in una società in cui, invece, qualsiasi cosa ha un prezzo. Racconta Luc De Bolle: "Durante una di queste visite abbiamo conosciuto Ibrahim e gli altri ragazzi. Sono di famiglie povere, se non avessimo pagato la spesa accumulata (dai 25 ai 100 euro), sarebbero rimasti in carcere ancora per chissà quanto tempo. Ora li aiuteremo a trovare un lavoro e a reinserirsi nella società". Tra l'altro, proprio in questa occasione, la Comunità ha avviato un dialogo con il nuovo direttore del Tribunale regionale. L'obiettivo è considerare pene più miti per i reati legati all'estrema povertà.

Dietro le sbarre immigrati illegali ciadiani e profughi centrafricani. I nove ragazzi liberati erano tre camerunensi, due del Ciad e quattro del Centrafrica. Queste proporzioni fotografano bene la popolazione carceraria di Tcholliré. Ragazzi di strada i primi, immigrati senza documenti i ciadiani ("Si finisce in carcere per immigrazione clandestina" conferma De Bolle), profughi i centrafricani. La situazione di questi ultimi è la peggiore: vivono affamati in campi, da cui possono difficilmente uscire, spesso circondati dall'ostilità della popolazione locale. "Ibrahim e gli altri tre  -  continua il volontario di Sant'Egidio  -  volevano scaldarsi e vendere una parte dei legni per comprare da mangiare. Purtroppo sono stati fermati dalla gente inferocita e portati dal giudice". Secondo l'Ocha, l'ufficio umanitario delle Nazioni Unite, per la guerra scoppiata a fine 2013 tra milizie Seleka e Antibalaka, oggi sono 460mila i profughi centrafricani all'estero, aumentati di 100mila nell'ultimo anno. Anche all'interno del paese, metà della popolazione (2,7 milioni di centrafricani) vive in situazione di grave necessità.  

Ragazzini di strada arrestati in via preventiva. Se i profughi centrafricani a Tcholliré sono in aumento, i detenuti più piccoli, ancora adolescenti, sono camerunensi. Ragazzi di strada, arrestati a scopo preventivo in un clima di repressione e paura per gli attentati di Boko Haram nel nord del paese. A fine luglio, una bambina di nove anni, imbottita di esplosivo, si è fatta saltare in aria in un affollato locale notturno a Maroua, provocando decine di morti e feriti. Anche ad agosto gli attentati sono continuati, con nuovi morti. "La gente deve sviluppare una cultura di vigilanza perché Boko Haram ha cambiato strategia",  ha detto il ministro della Difesa Edgar Alain Mebe Ngo'o chiedendo di segnalare qualunque attività o persona sospetta. Nelle città sono scattate misure di sicurezza, dal coprifuoco al divieto per i mendicanti di entrare nei luoghi pubblici e di stare nelle strade a chiedere l'elemosina. Tutti gli autori degli ultimi attentati erano minorenni, la stessa bimba di nove anni era stata vestita da mendicante.  

A Tcholliré gli adolescenti reclutati da Boko Haram. "A Tcholliré e nelle altre carceri  -  racconta De Bolle  -  incontriamo anche ragazzini arrestati per aver fatto parte di Boko Haram. Sono stati reclutati perché poveri: ragazzi di strada, oppure venduti dalle loro famiglie per pochi soldi". Gli adolescenti sono usati come spie, oppure vengono mandati nei campi di addestramento al confine con la Nigeria e dopo poche settimane sono pronti a combattere. Per giovani senza speranze, l'arruolamento con gli alleati africani dell'Isis appare un modo per costruirsi un futuro, spinti dal fascino per la violenza e per l'appartenenza a un gruppo. Quando sono arrestati, spesso solo perché potenzialmente arruolabili, la Comunità di Sant'Egidio li visita in carcere, ascolta le loro storie e ragiona con loro del reinserimento nella società al termine della detenzione. "Questo  -  conclude De Bolle  -  è il nostro modo di costruire la pace e di combattere il terrorismo".

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