venerdì 16 gennaio 2015

Jakarta pronta a giustiziare sei narcotrafficanti, quattro gli stranieri

Le esecuzioni verranno eseguite nel fine settimana. Una conferma della linea dura imposta dal presidente riformista Jokowi. Per la procura generale è un “messaggio forte” ai signori della droga. Critiche dalla Chiesa cattolica, che chiede forme di punizione che rispettino la persona umana.





Jakarta (AsiaNews) - Nei prossimi giorni in Indonesia verranno giustiziate sei persone, fra cui quattro stranieri, condannate per reati legati alla vendita di stupefacenti; la conferma arriva dal procuratore generale a Jakarta. Si tratta delle prime condanne a morte eseguite dall'insediamento del nuovo presidente Joko "Jokowi" Widodo, il quale ha dichiarato guerra aperta al narcotraffico. Anche nei giorni scorsi il capo di Stato è intervenuto sulla questione, sottolineando che "non vi sarà perdono" per quanti sono stati condannati per reati legati alla droga e oggi rinchiusi nel braccio della morte. 

La posizione inflessibile assunta da Jokowi in tema di traffico di droga ha contrariato attivisti e movimenti a difesa dei diritti umani, che hanno sperato in una moratoria della pena di morte con l'ascesa al potere di un presidente riformista e popolare.  

Fra quanti verranno giustiziati - per fucilazione - nel fine settimana vi sono cittadini provenienti da Brasile, Malawi, Vietnam e Nigeria (nella foto); gli altri due sono un cittadino indonesiano e un uomo la cui nazionalità risulterebbe incerta, anche se il governo olandese avrebbe confermato in queste ore che si tratta di un proprio concittadino. 

Per il procuratore generale H.M. Prasetyo questo è un "messaggio forte" ai signori della droga, perché "non c'è misericordia per i venditori e i trafficanti di stupefacenti. "E a quanti sono in disaccordo con la pena di morte - aggiunge - mi auguro che possano capire che quanto stiamo facendo è solo salvare la nostra nazione dalla minaccia del narcotraffico". 

Anche per il portavoce della Corte suprema indonesiana Suhadi le esecuzioni - riprese lo scorso anno, dopo una moratoria iniziata nel 2008 - sono "conformi al diritto", nonostante l'ondata di proteste di attivisti e la richiesta di commutare la pena di morte in carcere a vita. Il 30 dicembre scorso il presidente ha respinto la loro richiesta di grazia; ad oggi vi sono altri 64 carcerati nel braccio della morte per reati di droga, in attesa di finire nelle mani del boia. 

Sulla vicenda nel dicembre scorso è intervenuta anche la Conferenza episcopale indonesiana (Kwi), contestando la posizione di inflessibilità e rigore adottata da Jokowi in tema di reati legati alla droga. "Nessuno ha il diritto di mettere la parola fine alla vita di un altro" ha dichiarato p. Siswantoko, mettendo anche in dubbio la reale colpevolezza dei condannati e il fatto che siano davvero loro "i signori" della droga, e non semplice manodopera. "La pena di morte non è la via giusta - conclude - per applicare la legge con dignità, perché essa mette la parola fine all'esistenza del condannato". 

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