Lo scrittore americano Karl Guillen, autore del libro “Il tritacarne” pubblicato dall’associazione editoriale umanista Multimage (con una prefazione di Massimo Carlotto), sarà presente a Ferrara giovedì 1 ottobre alle 18.30 presso lo spazio “Rrose Sélavy” di via Ripagrande 46.
Questo incontro, ideato in collaborazione con l’associazione Coalit che dal 1997 si occupa di diritti umani negati, rappresenterà una ideale “anteprima” per la sua particolare tematica, del Festival di Internazionale, cui l’associazione Rrose Sélavy parteciperà dal 2 al 4 ottobre con la mostra “This Land of Marks – La città fantastica: Ferrara” di Marco Zanotti.
Guillen è stato protagonista, alla fine degli anni ’90, di un’intricata vicenda giudiziaria. In carcere per furto, venne incolpato ingiustamente della morte di un detenuto. Per il reato di omicidio, in molte parti degli States, è prevista la pena capitale e così Karl venne messo in isolamento per 23 ore al giorno, in una cella di cemento e acciaio senza finestre. Dal 1993 al 1995 Guillen rimase nel braccio della morte per un crimine mai commesso. Nel 1999 finalmente la svolta: la pena capitale fu commutata in una detenzione lunga 20 anni. E’ stato liberato nel 2013.
Oltre all’autore sarà presente la presidentessa di Coalit Arianna Ballotta.
mercoledì 30 settembre 2015
Pena morte: il sottosegretario Giro, Italia per moratoria con approccio inclusivo
NEW YORK – Pochi giorni dopo l’appello solenne del papa per l’abolizione della pena di morte, e mentre gli Stati Uniti si preparano a mettere a morte una donna e un disabile, l’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani Zeid Ra’ad al Hussein ha auspicato la fine delle esecuzioni in tutto il mondo, secondo una tendenza all’abolizione progressiva da quando, 70 anni fa, solo 14 paesi avevano archiviato il boia dai codici.
La pena capitale provoca danni irreparabili che possono essere inflitti a un innocente, ha detto Zeid nell’ambito di un evento organizzato da Italia, Argentina, Fiji, Rwanda e Benin. Obiettivo della riunione era di “ascoltare le voci delle famiglie”. I diritti delle famiglie – ha detto Zeid, sono spesso invocati da sistemi giudiziari che hanno ripreso a mettere condannati a morte per giustificare la loro scelta. “nella realta – ha detto l’alto commissario – molte famiglie di vittime di assassini credono che rispondere a una uccisione con un’altra uccisione disonori la vittima e non permetta di riprendersi dalla perdita subita a causa del lungo processo di appello”.
Per l’Italia ha portato la voce del governo il sottosegretario agli Esteri Mario Giro:
“Pensiamo che i delitti debbano ricevere una risposta diversa dalla pena di morte.
Combattere l’impunità e assicurare l’accesso alla giustizia per le vittime e’ essenziale sia dal punto di vista della prevenzione al crimine e per la riconciliazione. Campagne di sensibilizzazione del pubblico che puntino su questi elementi sono uno strumento importante per stimolare un dibattito pubblico sulla pena di morte’.
Giro ha ricordato che l’Italia e’ stata all’avanguardia nelle battaglie per la moratoria con il sostegno incrollabile della società italiana: governo, parlamento e la società civile – e ha evocato il crescente consenso delle risoluzioni dell’Assemblea Generale per lo stop di fatto alle esecuzioni. “Siamo orgogliosi di aver promosso un approccio graduale e inclusivo che si e’ dimostrato vincente”, ha detto Giro: “Non vogliamo che altri facciano progressi. Vogliamo fare progressi assieme con gli altri”.
La pena capitale provoca danni irreparabili che possono essere inflitti a un innocente, ha detto Zeid nell’ambito di un evento organizzato da Italia, Argentina, Fiji, Rwanda e Benin. Obiettivo della riunione era di “ascoltare le voci delle famiglie”. I diritti delle famiglie – ha detto Zeid, sono spesso invocati da sistemi giudiziari che hanno ripreso a mettere condannati a morte per giustificare la loro scelta. “nella realta – ha detto l’alto commissario – molte famiglie di vittime di assassini credono che rispondere a una uccisione con un’altra uccisione disonori la vittima e non permetta di riprendersi dalla perdita subita a causa del lungo processo di appello”.
Per l’Italia ha portato la voce del governo il sottosegretario agli Esteri Mario Giro:
“Pensiamo che i delitti debbano ricevere una risposta diversa dalla pena di morte.
Combattere l’impunità e assicurare l’accesso alla giustizia per le vittime e’ essenziale sia dal punto di vista della prevenzione al crimine e per la riconciliazione. Campagne di sensibilizzazione del pubblico che puntino su questi elementi sono uno strumento importante per stimolare un dibattito pubblico sulla pena di morte’.
Giro ha ricordato che l’Italia e’ stata all’avanguardia nelle battaglie per la moratoria con il sostegno incrollabile della società italiana: governo, parlamento e la società civile – e ha evocato il crescente consenso delle risoluzioni dell’Assemblea Generale per lo stop di fatto alle esecuzioni. “Siamo orgogliosi di aver promosso un approccio graduale e inclusivo che si e’ dimostrato vincente”, ha detto Giro: “Non vogliamo che altri facciano progressi. Vogliamo fare progressi assieme con gli altri”.
Non si fermano le esecuzioni in Georgia. Ore di ansia per Richard Glossip e Alfredo Prieto
Usa, il Papa: «Fermate l'esecuzione di Kelly». Ma la Georgia va avanti
Con una lettera del nunzio Francesco ha cercato di fermare l'iniezione letale fissata per stanotte. Ma le autorità hanno negato la commutazione della pena. E altre due esecuzioni restano fissate anche in Oklahoma e Virginia
di Giorgio Bernardelli
http://vaticaninsider.lastampa.it/
Non si è fermato all'appello per l'abolizione della pena di morte lanciato giovedì dall'aula del Congresso. Papa Francesco ha provato oggi in prima persona a fermare l'iniezione letale fissata per questa sera nei confronti di Kelly Gissendaner, una donna della Georgia. La prima in calendario dopo la conclusione del viaggio che ha avuto proprio nella richiesta di mettere al bando le esecuzioni capitali uno dei suoi momenti più forti. E la prima anche di una drammatica serie che potrebbe vedere ben tre persone salire al patibolo nelle prossime ore tra la Georgia, l'Oklahoma e la Virginia. Neanche questa iniziativa del Papa, però, al momento sembra destinata a fermare il boia negli Stati Uniti.
L'intervento sulle autorità della Georgia è avvenuto attraverso una lettera inviata a nome di papa Francesco dal nunzio apostolico negli Stati Uniti, monsignor Carlo Maria Viganò. Un testo stringato in cui il Nunzio riprende proprio le parole pronunciate dal Pontefice davanti al Congresso: la pena di morte va abolita perché «ogni persona umana è dotata di una inalienabile dignità». E aggiunge: «Pur senza ridurre la gravità del crimine per il quale la signora Gissendaner è stata condannata, ed esprimendo egualmente vicinanza alle vittime, vi imploro, in considerazione di queste ragioni, a commutare la sentenza in un’altra che possa esprimere meglio tanto la giustizia quanto la misericordia».
L'appello sembra però caduto nel vuoto: la grazie è stata negata e l'esecuzione resta fissata per le 19 di questa sera ora locale, quando in Italia sarà l'1 di notte. Kelly Gissendaner è una donna di 47 anni, madre di tre figli, condannata come mandante dell’omicidio del marito, compiuto nel 1997 dal suo amante. Se le verrà praticata l'iniezione letale sarà il primo caso di una donna sottoposta alla pena di morte in Georgia dal 1945.
Già due volte nel marzo scorso Kelly era stata sottoposta alle procedure per l’iniezione letale, ma all’ultimo momento la condanna a morte era stata rinviata; in un primo caso per una tempesta di neve e nel secondo per un’anomalia riscontrata nella fiala del farmaco. Durante gli anni trascorsi in carcere Kelly è profondamente cambiata, al punto da aver conseguito una laurea in Teologia.
Oltre a lei, però, in queste ore, altri due detenuti sono a un passo dalla pena capitale. In Oklahoma oggi pomeriggio alle 15 potrebbe toccare a Richard Glossip, un uomo di 52 anni condannato per l’omicidio del proprietario del motel di cui era amministratore. Glossip continua a proclamarsi innocente e l’unica prova contro di lui è la testimonianza dell’esecutore materiale dell’omicidio Justin Sneed. Questi - chiamando in causa Glossip come mandante - ha ottenuto a sua volta l’ergastolo al posto della pena di morte. Gli avvocati del condannato hanno presentato nei giorni scorsi nuove testimonianze sull’inattendibilità di Sneed, ma la Corte suprema dell’Oklahoma ieri le ha rigettate con un verdetto contrastato (tre giudici hanno votato contro la riapertura del processo, due a favore). Per la sorte di Richard Glossip si sta spendendo in maniera particolare sister Helen Prejean, la religiosa simbolo della battaglia contro la pena di morte negli Stati Uniti: ha annunciato che starà accanto a Glossip fino alla fine.
Infine un terzo caso riguarda la Virginia e ha per protagonista Alfreto Prieto, 50 anni, un pluriomicida accusato anche di alcuni stupri. Prieto è originario del Salvador: emigrò negli Stati Uniti con la famiglia ai tempi della guerra civile. La sua storia incrocia l’altro grande tema toccato da papa Francesco durante la sua visita: quello dei latinos e delle opportunità loro offerte nel sogno americano. L’esecuzione di Prieto è fissata per la notte tra giovedì e venerdì e sta facendo discutere anche per il fatto che - per aggirare il boicottaggio dei farmaci utilizzati per le iniezioni letali - il sistema giudiziario della Virginia si è fatto vendere dal Texas la fiala che verrà utilizzata.
Con una lettera del nunzio Francesco ha cercato di fermare l'iniezione letale fissata per stanotte. Ma le autorità hanno negato la commutazione della pena. E altre due esecuzioni restano fissate anche in Oklahoma e Virginia
di Giorgio Bernardelli
http://vaticaninsider.lastampa.it/
Non si è fermato all'appello per l'abolizione della pena di morte lanciato giovedì dall'aula del Congresso. Papa Francesco ha provato oggi in prima persona a fermare l'iniezione letale fissata per questa sera nei confronti di Kelly Gissendaner, una donna della Georgia. La prima in calendario dopo la conclusione del viaggio che ha avuto proprio nella richiesta di mettere al bando le esecuzioni capitali uno dei suoi momenti più forti. E la prima anche di una drammatica serie che potrebbe vedere ben tre persone salire al patibolo nelle prossime ore tra la Georgia, l'Oklahoma e la Virginia. Neanche questa iniziativa del Papa, però, al momento sembra destinata a fermare il boia negli Stati Uniti.
Richard Glossip, Oklahoma |
L'appello sembra però caduto nel vuoto: la grazie è stata negata e l'esecuzione resta fissata per le 19 di questa sera ora locale, quando in Italia sarà l'1 di notte. Kelly Gissendaner è una donna di 47 anni, madre di tre figli, condannata come mandante dell’omicidio del marito, compiuto nel 1997 dal suo amante. Se le verrà praticata l'iniezione letale sarà il primo caso di una donna sottoposta alla pena di morte in Georgia dal 1945.
Alfredo Prieto, Virginia |
Oltre a lei, però, in queste ore, altri due detenuti sono a un passo dalla pena capitale. In Oklahoma oggi pomeriggio alle 15 potrebbe toccare a Richard Glossip, un uomo di 52 anni condannato per l’omicidio del proprietario del motel di cui era amministratore. Glossip continua a proclamarsi innocente e l’unica prova contro di lui è la testimonianza dell’esecutore materiale dell’omicidio Justin Sneed. Questi - chiamando in causa Glossip come mandante - ha ottenuto a sua volta l’ergastolo al posto della pena di morte. Gli avvocati del condannato hanno presentato nei giorni scorsi nuove testimonianze sull’inattendibilità di Sneed, ma la Corte suprema dell’Oklahoma ieri le ha rigettate con un verdetto contrastato (tre giudici hanno votato contro la riapertura del processo, due a favore). Per la sorte di Richard Glossip si sta spendendo in maniera particolare sister Helen Prejean, la religiosa simbolo della battaglia contro la pena di morte negli Stati Uniti: ha annunciato che starà accanto a Glossip fino alla fine.
Infine un terzo caso riguarda la Virginia e ha per protagonista Alfreto Prieto, 50 anni, un pluriomicida accusato anche di alcuni stupri. Prieto è originario del Salvador: emigrò negli Stati Uniti con la famiglia ai tempi della guerra civile. La sua storia incrocia l’altro grande tema toccato da papa Francesco durante la sua visita: quello dei latinos e delle opportunità loro offerte nel sogno americano. L’esecuzione di Prieto è fissata per la notte tra giovedì e venerdì e sta facendo discutere anche per il fatto che - per aggirare il boicottaggio dei farmaci utilizzati per le iniezioni letali - il sistema giudiziario della Virginia si è fatto vendere dal Texas la fiala che verrà utilizzata.
martedì 29 settembre 2015
Appello Urgente per salvare la vita di Alfredo Prieto, la sua esecuzione è prevista per il 21 ottobre
Alfredo è un cittadino salvadoregno, ha 49 anni. La sua esecuzione è prevista per il 1 ottobre 2015 in Virginia
La sua condanna morte per due omicidi commessi nel 1988, è stata annullata per due volte. Nel 2010 è stato condannato a morte nuovamente (per la terza volta), nonostante soffra di un riconosciuto ritardo mentale. Con una dura battaglia legale lo Stato della Virginia è riuscito a sostenere che a Prieto era stato accertato un QI di poco maggiore (73 contro 70 punti) di quello con cui viene riconosciuto lo stato di ritardato mentale (e quindi l'impossibilità di essere condannati a morte).
Lo Stato della Virginia, per poter fissare l'esecuzione, ha dovuto richiedere in prestito al Texas una dose con tre fiale di pentobarbitolo.
Il Governo salvadoregno ha chiesto urgentemente di sospendere l'esecuzione e di commutare la condanna a morte in ergastolo.
Il Governatore della Virginia McAuliffe, al quale INTENDIAMO INVIARE L'APPELLO URGENTE, ha dichiarato che comunicherà poco prima dell'ora prevista per l'esecuzione la propria decisione riguardo ad un eventuale atto di clemenza.
Importante: è possibile inviare l'appello via Fax al numero 001 804 3716351.
Si possono inviare tweet a @governorVA
L'appello:
URGENT APPEAL SPREAD BY THE COMMUNITY OF SANT’EGIDIO TO SAVE THE LIFE OF RICHARD GLOSSIP, SENTENCED TO DEATH
Dear Governor McAuliffe,
I am writing in order to ask you to stay the execution and then commute the death sentence of Alfredo Prieto.
I want to point out note the evidence that he has a clear intellectual disability and I express my concern that procedural technicalities are preventing this claim from being the subject of a full judicial hearing.
I actually think that the power of executive clemency is not constrained by procedural rules.
I am not seeking to downplay the seriousness of the crime or the suffering caused, but I hope you may evaluate the request of all those want to spare another life.
Respectfully
http://nodeathpenalty.santegidio.org/
La sua condanna morte per due omicidi commessi nel 1988, è stata annullata per due volte. Nel 2010 è stato condannato a morte nuovamente (per la terza volta), nonostante soffra di un riconosciuto ritardo mentale. Con una dura battaglia legale lo Stato della Virginia è riuscito a sostenere che a Prieto era stato accertato un QI di poco maggiore (73 contro 70 punti) di quello con cui viene riconosciuto lo stato di ritardato mentale (e quindi l'impossibilità di essere condannati a morte).
Lo Stato della Virginia, per poter fissare l'esecuzione, ha dovuto richiedere in prestito al Texas una dose con tre fiale di pentobarbitolo.
Il Governo salvadoregno ha chiesto urgentemente di sospendere l'esecuzione e di commutare la condanna a morte in ergastolo.
Il Governatore della Virginia McAuliffe, al quale INTENDIAMO INVIARE L'APPELLO URGENTE, ha dichiarato che comunicherà poco prima dell'ora prevista per l'esecuzione la propria decisione riguardo ad un eventuale atto di clemenza.
Importante: è possibile inviare l'appello via Fax al numero 001 804 3716351.
Si possono inviare tweet a @governorVA
L'appello:
URGENT APPEAL SPREAD BY THE COMMUNITY OF SANT’EGIDIO TO SAVE THE LIFE OF RICHARD GLOSSIP, SENTENCED TO DEATH
Dear Governor McAuliffe,
I am writing in order to ask you to stay the execution and then commute the death sentence of Alfredo Prieto.
I want to point out note the evidence that he has a clear intellectual disability and I express my concern that procedural technicalities are preventing this claim from being the subject of a full judicial hearing.
I actually think that the power of executive clemency is not constrained by procedural rules.
I am not seeking to downplay the seriousness of the crime or the suffering caused, but I hope you may evaluate the request of all those want to spare another life.
Respectfully
http://nodeathpenalty.santegidio.org/
sabato 26 settembre 2015
Città per la vita: da Termoli un appello all’Arabia Saudita per Ali al-Nimr
Un appello accorato dal Comune di Termoli dove i consiglieri chiedono la grazia per Ali Mohammed al-Nimr.
Il giovane che ora ha 21 anni era stato arrestato all’età di 17 anni con l’accusa di aver partecipato alle manifestazioni legate alla Primavera Araba. Ha scontato 4 anni di prigionia. La Corte penale speciale e la Corte suprema dell'Arabia Saudita hanno confermato la sentenza capitale nei confronti del giovane attivista sciita. A breve verrà decapitato e poi crocifisso.
Ieri a Bruxelles il presidente francese François Hollande ha chiesto all’Arabia Saudita di rinunciare all’esecuzione. In queste ore migliaia di persone anche in Italia si stanno unendo alla causa, grazie ai social Twitter (l’hashtag è #Free Nimr). L’obiettivo è quello di far sì che l’ambasciatore del Regno saudita in Italia possa intercedere per la salvezza del ragazzo.
Gli esperti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani hanno espresso dure critiche circa il processo giudiziario che ha portato alla sua condanna: “Ogni sentenza che impone la pena di morte di minorenni al momento del reato nonché la loro esecuzione, è incompatibile con gli obblighi internazionali dell’Arabia Saudita”.
Puoi firmare l'appello di http://www.amnestyusa.org/
Qui di seguito la nota inviata dai consiglieri del Comune di Termoli:
“Condanniamo in ogni modo la pena di morte. La condanna alla decapitazione e crocifissione del giovane Ali al-Nimr, desta in tutti noi rabbia e sgomento. Come consiglieri sappiamo quanto sia difficile il confronto tra ideologie diverse ma ci battiamo tutti i giorni perché questo avvenga con i metodi e gli strumenti che la democrazia ci mette a disposizione. L’evoluzione culturale dei popoli ha portato la maggior parte dei Paesi del Mondo all’abolizione della pena di morte e biasimiamo gli Stati in cui, ancora oggi, si procede in questo modo per punire chi si è macchiato di un reato. Per di più il giovane Ali al-Nimr è stato condannato per aver manifestato le sue idee, in modo non violento. È condannato a morte per aver creduto in un ideale di libertà e fratellanza. Chiediamo la grazia per il giovane Ali al-Nimr, chiediamo allo Stato dell’Arabia Saudita di annullare l’esecuzione che dovrebbe avvenire tra pochi giorni. Uccidere un giovane che scende in piazza per proclamare le sue idee non servirà a intimorire altre migliaia di giovani che, come Ali, credono e si battono per un futuro migliore. La soluzione non è la condanna a morte. La soluzione sono l’ascolto e il confronto. La storia ci insegna che le rivoluzioni soffocate nel sangue non hanno portato a nulla se non ad ulteriori inasprimenti dei conflitti. Siamo esseri umani, capaci costruire un mondo migliore, capaci di accogliere chi è diverso da noi, capaci di percepire e vivere nel sentire collettivo.
Non cediamo il fianco all’odio e a chi ci vuole metterci uno contro l’altro per poter prevaricare più facilmente.
Voi Arabi, con la grandezza e la raffinatezza del vostro pensiero, siete stati nella storia dell’umanità una pietra miliare della scienza, la matematica, la filosofia e la poesia. Non dimenticate il vostro passato, non sporcate il ricordo delle meraviglie che avete saputo costruire. Non macchiate la vostra identità con un atto di barbarie quale la pena di morte.
Noi tutti consiglieri del Comune di Termoli vi chiediamo quindi la grazia per il giovane Ali al-Nimr. Risparmiate la sua vita”.
Il giovane che ora ha 21 anni era stato arrestato all’età di 17 anni con l’accusa di aver partecipato alle manifestazioni legate alla Primavera Araba. Ha scontato 4 anni di prigionia. La Corte penale speciale e la Corte suprema dell'Arabia Saudita hanno confermato la sentenza capitale nei confronti del giovane attivista sciita. A breve verrà decapitato e poi crocifisso.
Ieri a Bruxelles il presidente francese François Hollande ha chiesto all’Arabia Saudita di rinunciare all’esecuzione. In queste ore migliaia di persone anche in Italia si stanno unendo alla causa, grazie ai social Twitter (l’hashtag è #Free Nimr). L’obiettivo è quello di far sì che l’ambasciatore del Regno saudita in Italia possa intercedere per la salvezza del ragazzo.
Gli esperti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani hanno espresso dure critiche circa il processo giudiziario che ha portato alla sua condanna: “Ogni sentenza che impone la pena di morte di minorenni al momento del reato nonché la loro esecuzione, è incompatibile con gli obblighi internazionali dell’Arabia Saudita”.
Puoi firmare l'appello di http://www.amnestyusa.org/
Qui di seguito la nota inviata dai consiglieri del Comune di Termoli:
“Condanniamo in ogni modo la pena di morte. La condanna alla decapitazione e crocifissione del giovane Ali al-Nimr, desta in tutti noi rabbia e sgomento. Come consiglieri sappiamo quanto sia difficile il confronto tra ideologie diverse ma ci battiamo tutti i giorni perché questo avvenga con i metodi e gli strumenti che la democrazia ci mette a disposizione. L’evoluzione culturale dei popoli ha portato la maggior parte dei Paesi del Mondo all’abolizione della pena di morte e biasimiamo gli Stati in cui, ancora oggi, si procede in questo modo per punire chi si è macchiato di un reato. Per di più il giovane Ali al-Nimr è stato condannato per aver manifestato le sue idee, in modo non violento. È condannato a morte per aver creduto in un ideale di libertà e fratellanza. Chiediamo la grazia per il giovane Ali al-Nimr, chiediamo allo Stato dell’Arabia Saudita di annullare l’esecuzione che dovrebbe avvenire tra pochi giorni. Uccidere un giovane che scende in piazza per proclamare le sue idee non servirà a intimorire altre migliaia di giovani che, come Ali, credono e si battono per un futuro migliore. La soluzione non è la condanna a morte. La soluzione sono l’ascolto e il confronto. La storia ci insegna che le rivoluzioni soffocate nel sangue non hanno portato a nulla se non ad ulteriori inasprimenti dei conflitti. Siamo esseri umani, capaci costruire un mondo migliore, capaci di accogliere chi è diverso da noi, capaci di percepire e vivere nel sentire collettivo.
Non cediamo il fianco all’odio e a chi ci vuole metterci uno contro l’altro per poter prevaricare più facilmente.
Voi Arabi, con la grandezza e la raffinatezza del vostro pensiero, siete stati nella storia dell’umanità una pietra miliare della scienza, la matematica, la filosofia e la poesia. Non dimenticate il vostro passato, non sporcate il ricordo delle meraviglie che avete saputo costruire. Non macchiate la vostra identità con un atto di barbarie quale la pena di morte.
Noi tutti consiglieri del Comune di Termoli vi chiediamo quindi la grazia per il giovane Ali al-Nimr. Risparmiate la sua vita”.
venerdì 25 settembre 2015
Un giorno di liberazione nella prigione di Coyah, in Guinea, grazie a “Je DREAM”
Una nuova storia di liberazione dal carcere in Africa. E' successo in Guinea Conakry a 10 detenuti della piccola prigione di Coyah, un giorno di liberazione.
Otto di loro avevano già scontato la loro pena da due mesi, ma l’impossibilità di pagare la multa per la detenzione li obbligava a rimanere, finché qualcuno non si ricordasse di loro; gli altri due avevano terminato la pena da solo una settimana, ma con lo stesso problema.
In Guinea la cifra da pagare per poter uscire a fine pena si aggira di solito tra i 100 e i 200mila franchi guineani (tra 12 e 24 euro): non è poco se si considera che il salario minimo guineano è di 400.000, ma impossibile da trovare per chi, in prigione da tempo, non ha risorse economiche ed ha perso i contatti con la famiglia.
leggi tutto da:
http://dream.santegidio.org/2015/09/25/un-giorno-di-liberazione-nella-prigione-di-coyah
Otto di loro avevano già scontato la loro pena da due mesi, ma l’impossibilità di pagare la multa per la detenzione li obbligava a rimanere, finché qualcuno non si ricordasse di loro; gli altri due avevano terminato la pena da solo una settimana, ma con lo stesso problema.
In Guinea la cifra da pagare per poter uscire a fine pena si aggira di solito tra i 100 e i 200mila franchi guineani (tra 12 e 24 euro): non è poco se si considera che il salario minimo guineano è di 400.000, ma impossibile da trovare per chi, in prigione da tempo, non ha risorse economiche ed ha perso i contatti con la famiglia.
leggi tutto da:
http://dream.santegidio.org/2015/09/25/un-giorno-di-liberazione-nella-prigione-di-coyah
giovedì 24 settembre 2015
Marazziti: Straordinario intervento di papa Francesco al Congresso americano, è tempo di abolire la pena di morte!
Marazziti: straordinario intervento di papa Francesco al Congresso americano.
E’ tempo di abolire la pena di morte anche in tutti gli Stati Uniti.
Una grande democrazia rischia di abbassare tutti al livello di chi uccide quando utilizza la pena capitale.
Mario Marazziti, al termine della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati da lui presieduta, che ha espresso il parere favorevole sul disegno di legge per la cittadinanza per i bambini stranieri e figli di immigrati, ha commentato a caldo il passaggio del discorso di papa Francesco al Congresso americano sulla necessità di “scelte coraggiose” e di abolire la pena di morte.
“Uno intervento straordinario, che aiuta tutte le democrazie a capire che non c’è giustizia senza vita, e che la pena di morte abbassa l’intera società al livello di chi uccide. C’è una cultura di morte e una sconfitta evidente nel mantenimento della pena capitale. E’ una società che non sa immaginare la riabilitazione, ma solo la punizione. E questo l’ha detto con chiarezza papa Francesco quando detto, anche in termini personali:
"Proteggere e difendere la vita umana mi ha portato, fin dall'inizio del mio ministero, a sostenere a vari livelli l'abolizione globale della pena di morte. Sono convinto che questa sia la via migliore, dal momento che ogni vita è sacra", e che "ogni persona umana - specifica - è dotata di una inalienabile dignità e la società può solo beneficiare dalla riabilitazione di coloro che sono condannati per crimini".
Come co-fondatore della Coalizione Mondiale contro la Pena di Morte ho sottolineato più volte come da quindici anni la pena capitale si stia restringendo negli USA e nel mondo e come gli Stati Uniti siano oggi al numero più basso di esecuzioni e di condanne da 15 anni. Con la Comunità di Sant’Egidio ho lavorato direttamente all’abolizione, avvenuta, della pena di morte in New Jersey, New Mexico, Illinois, Nebraska. E accompagnato i processi che l’anni eliminata anche in Connecticut, Maryland e nello Stato di New York. Ma adesso è il tempo per una moratoria ufficiale delle esecuzioni a livello federale come primo passo verso l’uscita degli Stati Uniti dal numero dei paesi retenzionisti.
Il movimento mondiale di ogni cultura e credo religioso deve essere molto grato a papa Francesco per avere messo al centro della sua azione e del suo messaggio la dignità della vita senza eccezioni e, per questo, anche la necessità di porre fine a una pratica barbara come la pena capitale.
Roma, 24 settembre 2015
E’ tempo di abolire la pena di morte anche in tutti gli Stati Uniti.
Una grande democrazia rischia di abbassare tutti al livello di chi uccide quando utilizza la pena capitale.
Mario Marazziti, al termine della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati da lui presieduta, che ha espresso il parere favorevole sul disegno di legge per la cittadinanza per i bambini stranieri e figli di immigrati, ha commentato a caldo il passaggio del discorso di papa Francesco al Congresso americano sulla necessità di “scelte coraggiose” e di abolire la pena di morte.
“Uno intervento straordinario, che aiuta tutte le democrazie a capire che non c’è giustizia senza vita, e che la pena di morte abbassa l’intera società al livello di chi uccide. C’è una cultura di morte e una sconfitta evidente nel mantenimento della pena capitale. E’ una società che non sa immaginare la riabilitazione, ma solo la punizione. E questo l’ha detto con chiarezza papa Francesco quando detto, anche in termini personali:
"Proteggere e difendere la vita umana mi ha portato, fin dall'inizio del mio ministero, a sostenere a vari livelli l'abolizione globale della pena di morte. Sono convinto che questa sia la via migliore, dal momento che ogni vita è sacra", e che "ogni persona umana - specifica - è dotata di una inalienabile dignità e la società può solo beneficiare dalla riabilitazione di coloro che sono condannati per crimini".
Come co-fondatore della Coalizione Mondiale contro la Pena di Morte ho sottolineato più volte come da quindici anni la pena capitale si stia restringendo negli USA e nel mondo e come gli Stati Uniti siano oggi al numero più basso di esecuzioni e di condanne da 15 anni. Con la Comunità di Sant’Egidio ho lavorato direttamente all’abolizione, avvenuta, della pena di morte in New Jersey, New Mexico, Illinois, Nebraska. E accompagnato i processi che l’anni eliminata anche in Connecticut, Maryland e nello Stato di New York. Ma adesso è il tempo per una moratoria ufficiale delle esecuzioni a livello federale come primo passo verso l’uscita degli Stati Uniti dal numero dei paesi retenzionisti.
Il movimento mondiale di ogni cultura e credo religioso deve essere molto grato a papa Francesco per avere messo al centro della sua azione e del suo messaggio la dignità della vita senza eccezioni e, per questo, anche la necessità di porre fine a una pratica barbara come la pena capitale.
Roma, 24 settembre 2015
Papa Francesco al Congresso Usa: “Abolite la pena di morte. La vita è sacra!"
“Abolite la pena di morte e la vendita delle armi. Aiutate i profughi e le famiglie. La politica persegua il bene comune”.
Papa Francesco ha parlato al popolo americano dalla sua sede più rappresentativa, un evento unico, il primo Papa della storia nell'arena politica americana.
da il Sole24ore
Mario Platero
WASHINGTON - In un’atmosfera elettrica, carica di emozione, un Pontefice, Papa Francesco ha parlato per la prima volta nella storia al Congresso americano riunito in seduta plenaria, portando un messaggio prima di tutto di unità e di responsabilità nei confronti degli elettori. Un messaggio importante per un Congresso polarizzato e visto con sospetto dall'americano comune. «Sono molto grato per il vostro invito a rivolgermi a questa Assemblea Plenaria del Congresso nella “terra dei liberi e casa dei valorosi”», ha aperto il Papa.
Ed è stato subito interrotto da un grande applauso comune, da una “standing ovation” con tutti, i senatori, il corpo diplomatico, la Corte suprema, il Consiglio dei ministri di Barack Obama in piedi: la coreografia è quella della grandi occasioni, simile a quella che abbiamo per il discorso sullo stato dell'Unione, un momento davvero unico e solenne. «Mi piace pensare che la ragione di questa mia presenza sia il fatto che io pure sono un figlio di questo grande continente, da cui tutti noi abbiamo ricevuto tanto e verso il quale condividiamo una comune responsabilità».
Poi il messaggio politico, o meglio l'ammonizione: pensare al bene comune e «alla discendenza comune da immigrati, la maggioranza di noi una volta erano stranieri» ha detto Francesco raccogliendo uno degli applausi più fragorosi. E la protezione dell'ambiente, e la ricerca del dialogo come ha detto aver fatto lui stesso con tutti gli americani «attraverso i loro rappresentanti», il richiamo alla sacralità della vita «fin dall'inizio» per arrivare a chiedere l'abolizione della pena di morte.
Il Papa ha chiesto dimostrazioni di solidarietà nei confronti dei più deboli: «C'è una regola d'oro: non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi». E ha ricordato che per lui la famiglia resta quella tradizionale, uno dei pochi messaggi accolto con una divisione all'interno della Camera.
Due i messaggi che hanno fatto da contrappunto all'idea del dialogo, quello interno e quello esterno.
Per il dialogo interno Francesco ha detto: «Qui, insieme con i suoi rappresentanti, vorrei cogliere questa opportunità per dialogare con le molte migliaia di uomini e di donne che si sforzano quotidianamente di fare un'onesta giornata di lavoro, di portare a casa il pane quotidiano.
Per il dialogo esterno ha cercato di superare di nuovo la polarizzazione aprendo al dialogo anche movimenti motivati da estremismi che possono sembrare irriconciliabili. «Il mondo contemporaneo – ha detto Francesco - con le sue ferite aperte che toccano tanti dei nostri fratelli e sorelle, richiede che affrontiamo ogni forma di polarizzazione che potrebbe dividerlo tra questi due campi. Sappiamo che nel tentativo di essere liberati dal nemico esterno, possiamo essere tentati di alimentare il nemico interno. Imitare l'odio e la violenza dei tiranni e degli assassini è il modo migliore di prendere il loro posto. Questo è qualcosa che voi, come popolo, rifiutate». Poi il congedo: «La nostra - dice Francesco - dev'essere una risposta di speranza e di guarigione, di pace e di giustizia. Ci è chiesto di fare appello al coraggio e all'intelligenza per risolvere le molte crisi economiche e geopolitiche di oggi.. Una nazione può essere considerata grande quando difende la libertà, come ha fatto Lincoln; quando promuove una cultura che consenta alla gente di “sognare” pieni diritti per tutti i propri fratelli e sorelle, come Martin Luther King ha cercato di fare; quando lotta per la giustizia e la causa degli oppressi, come Dorothy Day ha fatto con il suo instancabile lavoro, frutto di una fede che diventa dialogo e semina pace nello stile contemplativo di Thomas Merton».
Poi la benedizione, per l'America e l'ultimo interminabile applauso a suggellare la fine di un altro momento straordinario nella storia di questa democrazia e di questo Papa che per la prima volta si sono incontrati.
lunedì 21 settembre 2015
Glossip: esecuzione rinviata, la mobilitazione continua
Il dolore della sorella di Richard |
di Stefano Pasta
La Corte d’appello penale dell’Oklahoma ha fermato il boia, annunciando che «analizzerà approfonditamente» il caso. Ma il rinvio è di sole due settimane. la prossima data è il 7 settembre.
La mobilitazione per salvare la vita di Richard continua. In prima fila l’attrice Susan Sarandon e suor Helen Prejean.
Sister Helen Prejean e Susan Sarandon |
Perché Richard viva firmiamo l'appello attraverso questo link:
http://nodeathpenalty.santegidio.org
Due settimane di vita, quattordici giorni. È il tempo che ha guadagnato Richard Glossip, il dead man walking per cui era prevista l’esecuzione in Oklahoma il 16 settembre, la notte tra mercoledì e giovedì in Italia.
Sister Helen Prejean, la suora che lo ha seguito passo dopo passo e a cui Richard aveva chiesto di essergli accanto nelle ultime ore, lo aveva già raggiunto nel braccio della morte. La governatrice Mary Fallin aveva appena respinto la sospensione, confermando che le tre flebo di curaro, pentothal e barbiturici avrebbero ucciso l’uomo. E invece, tre ore prima dell’ora X, la Corte d’appello penale dell’Oklahoma ha fermato tutto, annunciando che nelle prossime due settimane «analizzerà approfonditamente» il caso ed eventuali nuove informazioni in arrivo.
Richard Glossip. In copertina: suor Helen Prejean circondata dagli abbracci alla notizia del rinvio dell'esecuzione.
Richard Glossip. In copertina: suor Helen Prejean circondata dagli abbracci alla notizia del rinvio dell'esecuzione.
DECISIVA ANCHE LA MOBILITAZIONE INTERNAZIONALE
La svolta è stata possibile grazie ad un abile team di legali, mentre nei due precedenti processi Glossip non aveva potuto permettersi una difesa efficace. È stata decisiva anche la mobilitazione internazionale degli ultimi giorni, da Sister Helen e Susan Sarandon al senatore dell’Oklahoma Tom Coburn, sostenitore della pena di morte ma convinto che in questo caso ci fossero forti dubbi sulla colpevolezza del condannato.
Richard si trova da 17 anni nel braccio della morte perché ritenuto il mandante dell’omicidio di Barry Van Treese, il proprietario del motel in cui lavorava, ucciso a colpi di bastone nel corso di un brutale agguato nel gennaio del 1997.
Lui si è sempre dichiarato innocente. La condanna è arrivata in base all’accusa dell’esecutore materiale, che, coinvolgendo Richard, si è salvato a sua volta dalla pena capitale. Recentemente, persino la figlia dell’omicida ha scritto a un giornale americano di «essere fermamente convinta che Glossip sia un uomo innocente».
Aggiunge Sister Helen, l’autrice di Dead man walking: «Io sono sicura della sua innocenza. In ogni caso, provare che non hai fatto qualcosa è difficile… Lo Stato non può essere certo della sua colpevolezza, ma dovresti esserlo quando leghi qualcuno su un lettino e lo ammazzi iniettando dei farmaci nelle vene (gli stessi farmaci che in passato hanno ucciso dopo atroci sofferenze)».
SI PUÒ FIRMARE L'APPELLO PER LA SALVEZZA DI RICHARD GLOSSIP
Oggi Glossip è salvo, ma il 30 settembre è fissata la nuova esecuzione. La Comunità di Sant’Egidio, in alleanza con Sister Helen, rilancia l’appello in suo favore. «Il rinvio di ieri», dice Stefania Tallei, «è anche frutto della mobilitazione internazionale. Lottare per i condannati a morte è affermare il valore della vita e non dimenticare le vite scartate, come dice Papa Francesco». Proprio la Chiesa è in prima fila nella lotta contro la pena di morte negli Stati Uniti e la Conferenza episcopale ha annunciato un anno di mobilitazione su questo tema in occasione del Giubileo della Misericordia.
Nel 2015, gli omicidi di Stato negli Usa sono stati 20, la maggior parte in Texas e in Virginia. La battaglia per la vita sta facendo passi avanti. Appare probabile che alla fine di quest’anno le esecuzioni non supereranno le 35 del 2014: sarebbe un numero nettamente inferiore ai 98 ammazzati nel 2000 e il totale più basso dal 1990 ad oggi. Nuovi Stati si aggiungono alla lista degli abrogazionisti — ultimo il pur conservatore Nebraska, in maggio — e anche nei 31 dove la “camera della morte” è ancora attiva, meno della metà l’hanno fatta funzionare negli ultimi cinque anni. I sondaggi indicano che soltanto una maggioranza di adulti anziani resta decisamente favorevole al boia, mentre il sostegno crolla fra i giovani sotto i 30 anni.
domenica 20 settembre 2015
Arabia Saudita: pena di morte a un giovane di 17 anni
Si tratta di un detenuto di diciassette anni, condannato a decapitazione e crocifissione, il suo nome è Alì Mohammed al-Nimr.
Lo riporta ilsussidiario.net
Il caso del diciassettenne Ali Mohammed al-Nimr si trova a fatica sulla Rete, anche sui siti sempre aggiornatissimi dei paesi anglofoni che spesso riportano violazioni dei diritti umani. Ci si imbatte in questa storia tramite i social network, grazie a qualcuno capace di riprendere sperduti siti ad esempio australiani. Il ragazzo è stato arrestato nel febbraio del 2012 in seguito a una manifestazione in cui alcune persone protestavano per la persecuzione politica dello zio di Ali Mohammed al-Nimr, anche lui condannato a morte.
Una delle tante manifestazioni che vengono immediatamente represse e tenute nascoste in Arabia Saudita a favore della democrazia. Il ragazzo viene accusato di manifestazione illegale e non meglio precisato possesso di armi da fuoco, furto di armi e minacce ai pubblici ufficiali. Rinchiuso in un carcere minorile, di lui si saprà molto poco come tipico dei carceri sauditi, se non che viene sistematicamente torturato per obbligarlo a firmare una dichiarazione in cui si auto accusa. La condanna è inevitabile e arriva nel maggio 2014: decapitazione e successiva crocifissione ad esempio di tutti. Ogni richiesta di appello è stata respinta senza che nessun avvocato o familiare abbia potuto assistere ai procedimenti.
La crocifissione nei paesi islamici non ha niente a che vedere con quella di Gesù, è solo il metodo che usavano anche gli antichi romani ad esempio perché i colpevoli venissero mostrati a tutti. Il corpo mozzato di Ali Mohammed al-Nimr sarà dunque esposto con una pratica a dir poco barbara. Non è una novità per un paese che è strettissimo alleato politico, militare ed economico dell'occidente, che mette in pratica la sharia esattamente come i criticati terroristi dello Stato islamico. Tra il 1985 e il 2013 2mila persone sono state giustiziate con la decapitazione in Arabia Saudita in seguito a processi di cui si è sempre saputo quasi nulla.
Lo riporta ilsussidiario.net
Il caso del diciassettenne Ali Mohammed al-Nimr si trova a fatica sulla Rete, anche sui siti sempre aggiornatissimi dei paesi anglofoni che spesso riportano violazioni dei diritti umani. Ci si imbatte in questa storia tramite i social network, grazie a qualcuno capace di riprendere sperduti siti ad esempio australiani. Il ragazzo è stato arrestato nel febbraio del 2012 in seguito a una manifestazione in cui alcune persone protestavano per la persecuzione politica dello zio di Ali Mohammed al-Nimr, anche lui condannato a morte.
Una delle tante manifestazioni che vengono immediatamente represse e tenute nascoste in Arabia Saudita a favore della democrazia. Il ragazzo viene accusato di manifestazione illegale e non meglio precisato possesso di armi da fuoco, furto di armi e minacce ai pubblici ufficiali. Rinchiuso in un carcere minorile, di lui si saprà molto poco come tipico dei carceri sauditi, se non che viene sistematicamente torturato per obbligarlo a firmare una dichiarazione in cui si auto accusa. La condanna è inevitabile e arriva nel maggio 2014: decapitazione e successiva crocifissione ad esempio di tutti. Ogni richiesta di appello è stata respinta senza che nessun avvocato o familiare abbia potuto assistere ai procedimenti.
La crocifissione nei paesi islamici non ha niente a che vedere con quella di Gesù, è solo il metodo che usavano anche gli antichi romani ad esempio perché i colpevoli venissero mostrati a tutti. Il corpo mozzato di Ali Mohammed al-Nimr sarà dunque esposto con una pratica a dir poco barbara. Non è una novità per un paese che è strettissimo alleato politico, militare ed economico dell'occidente, che mette in pratica la sharia esattamente come i criticati terroristi dello Stato islamico. Tra il 1985 e il 2013 2mila persone sono state giustiziate con la decapitazione in Arabia Saudita in seguito a processi di cui si è sempre saputo quasi nulla.
mercoledì 16 settembre 2015
Buona notizia! L'esecuzione di Richard Glossip è stata sospesa!
Sono partiti tanti appelli e all'ultimo momento una Corte dell'Oklahoma ha deciso di concedere un'ulteriore sospensione a Richard Glossip.
http://www.theatlantic.com/politics/archive
Era prevista per oggi la sua esecuzione, era stata sospesa a gennaio e poi nuovamente fissata senza tenere conto della voce di un uomo che si proclama innocente, del fatto che le prove a suo carico sono assai scarse.
L’unico ad accusarlo era un altro collega di lavoro, poi condannato all’ergastolo in quanto autore materiale dell’omicidio e reo confesso, il quale ha accusato Richard di avergli commissionato l’omicidio, molto probabilmente per evitare lui stesso la condanna a morte. La condanna è arrivata dopo due processi in cui l'accusatore ha cambiato più volte la versione dei fatti e in cui Richard non poteva permettersi un'adeguata difesa legale. Gli è stato anche offerto di dichiararsi colpevole patteggiando 20 anni, ma lui ha rifiutato continuando a dichiararsi innocente.
La Corte Suprema aveva deciso di esaminare se la procedura usata per l'iniezione letale era costituzionale, dopo un'esecuzione finita tragicamente con enorme sofferenza del condannato. Purtroppo la Corte Suprema, per 5 voti a 4, ha stabilito che la procedura utilizzata è costituzionale e lo Stato ha fissato per la data dell'esecuzione per oggi 16 settembre.
Richard Glossip ha 51 anni, da 17 si trova nel braccio della morte. Fu condannato a morte nel 1998 (17 anni fa) con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Barry Van Treese, il proprietario del motel che Richard gestiva, ucciso a colpi di bastone nel corso di un brutale agguato nel gennaio del 1977.
Insieme a Sr. Helen Prejean, celebre autore del libro “Dead Man Walking”, e a Susan Sarandon che sostiene la sua difesa, esprimiamo la nostra gioia per questa buona notizia!
Camerun, Sant'Egidio libera 9 giovani: incarcerati per anni per un ramo spezzato
Dal 2009 anche i detenuti delle carceri italiane impegnati nell'aiuto a coloro che sono reclusi nelle carceri dell'Africa. Basta poco: un piccolo aiuto può cambiare la vita di una persona.
Riparte la campagna "liberare i prigionieri in Africa" uno sforzo di solidarietà e generosità che viene dalle carceri italiane.
Perché nessuno è così povero da non poter aiutare un altro. E per scoprire che c'è più gioia nel dare che nel ricevere.
E che la dignità di una persona dipende anche dalla possibilità di aiutare gli altri.
http://www.santegidio.org/
Riportiamo l'articolo apparso oggi su Repubblica.it
di STEFANO PASTA
Nelle prigioni africane, al termine della pena non si è liberi: occorre ripagare lo Stato per ciò che ha speso durante la detenzione. Il furto di un panino o un ramo tagliato costano anni di carcere.
A Tcholliré, la Comunità di Sant'Egidio distribuisce sapone e cibo, libera i prigionieri progettando il loro reinserimento. In carcere finiscono i più poveri: ragazzi di strada, profughi centrafricani, immigrati ciadiani. La particolare situazione dei giovanissimi detenuti ex combattenti con Boko Haram.
______________________________
Camerun, Sant'Egidio libera 9 giovani: incarcerati per anni per un ramo spezzatoROMA - A Tcholliré, nel nord del Camerun, sono oltre 800 i detenuti delle due prigioni cittadine. Le loro condizioni, tra scabbia, fame, sete e sovraffollamento, sono quelle comuni a molte carceri africane. Le immagini mostrano ragazzini con pesanti catene di metallo ai piedi, come quelle d'altri tempi. Giovanissimi, a volte anche dodicenni, pagano con anni di reclusione il furto di una gallina o di un frutto. Non ci sono limiti alla custodia cautelare, si può rimanere dietro le sbarre per lunghi periodi prima del processo, quando l'accusato non può pagare un avvocato, oppure perché il dossier resta "dimenticato" nel commissariato dove è avvenuto l'arresto. Ma la reclusione viene allungata anche al termine della pena. In Camerun, infatti, per tornare in libertà è necessario pagare una somma per ripagare lo Stato del denaro speso durante la detenzione.
Ibrahim e gli altri ragazzi non più dietro le sbarre. Ibrahim aveva già scontato vari mesi. La colpa? Aver tagliato un ramo di un albero per scaldarsi. Lui è uno dei nove giovani liberati questo mese dalla Comunità di Sant'Egidio. Ogni settimana i membri dell'associazione distribuiscono sapone e cibo a Tcholliré e in altri dieci carceri del Camerun; tutti operano a titolo gratuito, un fatto che colpisce molto in una società in cui, invece, qualsiasi cosa ha un prezzo. Racconta Luc De Bolle: "Durante una di queste visite abbiamo conosciuto Ibrahim e gli altri ragazzi. Sono di famiglie povere, se non avessimo pagato la spesa accumulata (dai 25 ai 100 euro), sarebbero rimasti in carcere ancora per chissà quanto tempo. Ora li aiuteremo a trovare un lavoro e a reinserirsi nella società". Tra l'altro, proprio in questa occasione, la Comunità ha avviato un dialogo con il nuovo direttore del Tribunale regionale. L'obiettivo è considerare pene più miti per i reati legati all'estrema povertà.
Dietro le sbarre immigrati illegali ciadiani e profughi centrafricani. I nove ragazzi liberati erano tre camerunensi, due del Ciad e quattro del Centrafrica. Queste proporzioni fotografano bene la popolazione carceraria di Tcholliré. Ragazzi di strada i primi, immigrati senza documenti i ciadiani ("Si finisce in carcere per immigrazione clandestina" conferma De Bolle), profughi i centrafricani. La situazione di questi ultimi è la peggiore: vivono affamati in campi, da cui possono difficilmente uscire, spesso circondati dall'ostilità della popolazione locale. "Ibrahim e gli altri tre - continua il volontario di Sant'Egidio - volevano scaldarsi e vendere una parte dei legni per comprare da mangiare. Purtroppo sono stati fermati dalla gente inferocita e portati dal giudice". Secondo l'Ocha, l'ufficio umanitario delle Nazioni Unite, per la guerra scoppiata a fine 2013 tra milizie Seleka e Antibalaka, oggi sono 460mila i profughi centrafricani all'estero, aumentati di 100mila nell'ultimo anno. Anche all'interno del paese, metà della popolazione (2,7 milioni di centrafricani) vive in situazione di grave necessità.
Ragazzini di strada arrestati in via preventiva. Se i profughi centrafricani a Tcholliré sono in aumento, i detenuti più piccoli, ancora adolescenti, sono camerunensi. Ragazzi di strada, arrestati a scopo preventivo in un clima di repressione e paura per gli attentati di Boko Haram nel nord del paese. A fine luglio, una bambina di nove anni, imbottita di esplosivo, si è fatta saltare in aria in un affollato locale notturno a Maroua, provocando decine di morti e feriti. Anche ad agosto gli attentati sono continuati, con nuovi morti. "La gente deve sviluppare una cultura di vigilanza perché Boko Haram ha cambiato strategia", ha detto il ministro della Difesa Edgar Alain Mebe Ngo'o chiedendo di segnalare qualunque attività o persona sospetta. Nelle città sono scattate misure di sicurezza, dal coprifuoco al divieto per i mendicanti di entrare nei luoghi pubblici e di stare nelle strade a chiedere l'elemosina. Tutti gli autori degli ultimi attentati erano minorenni, la stessa bimba di nove anni era stata vestita da mendicante.
A Tcholliré gli adolescenti reclutati da Boko Haram. "A Tcholliré e nelle altre carceri - racconta De Bolle - incontriamo anche ragazzini arrestati per aver fatto parte di Boko Haram. Sono stati reclutati perché poveri: ragazzi di strada, oppure venduti dalle loro famiglie per pochi soldi". Gli adolescenti sono usati come spie, oppure vengono mandati nei campi di addestramento al confine con la Nigeria e dopo poche settimane sono pronti a combattere. Per giovani senza speranze, l'arruolamento con gli alleati africani dell'Isis appare un modo per costruirsi un futuro, spinti dal fascino per la violenza e per l'appartenenza a un gruppo. Quando sono arrestati, spesso solo perché potenzialmente arruolabili, la Comunità di Sant'Egidio li visita in carcere, ascolta le loro storie e ragiona con loro del reinserimento nella società al termine della detenzione. "Questo - conclude De Bolle - è il nostro modo di costruire la pace e di combattere il terrorismo".
Riparte la campagna "liberare i prigionieri in Africa" uno sforzo di solidarietà e generosità che viene dalle carceri italiane.
Perché nessuno è così povero da non poter aiutare un altro. E per scoprire che c'è più gioia nel dare che nel ricevere.
E che la dignità di una persona dipende anche dalla possibilità di aiutare gli altri.
http://www.santegidio.org/
Riportiamo l'articolo apparso oggi su Repubblica.it
di STEFANO PASTA
Nelle prigioni africane, al termine della pena non si è liberi: occorre ripagare lo Stato per ciò che ha speso durante la detenzione. Il furto di un panino o un ramo tagliato costano anni di carcere.
A Tcholliré, la Comunità di Sant'Egidio distribuisce sapone e cibo, libera i prigionieri progettando il loro reinserimento. In carcere finiscono i più poveri: ragazzi di strada, profughi centrafricani, immigrati ciadiani. La particolare situazione dei giovanissimi detenuti ex combattenti con Boko Haram.
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Camerun, Sant'Egidio libera 9 giovani: incarcerati per anni per un ramo spezzatoROMA - A Tcholliré, nel nord del Camerun, sono oltre 800 i detenuti delle due prigioni cittadine. Le loro condizioni, tra scabbia, fame, sete e sovraffollamento, sono quelle comuni a molte carceri africane. Le immagini mostrano ragazzini con pesanti catene di metallo ai piedi, come quelle d'altri tempi. Giovanissimi, a volte anche dodicenni, pagano con anni di reclusione il furto di una gallina o di un frutto. Non ci sono limiti alla custodia cautelare, si può rimanere dietro le sbarre per lunghi periodi prima del processo, quando l'accusato non può pagare un avvocato, oppure perché il dossier resta "dimenticato" nel commissariato dove è avvenuto l'arresto. Ma la reclusione viene allungata anche al termine della pena. In Camerun, infatti, per tornare in libertà è necessario pagare una somma per ripagare lo Stato del denaro speso durante la detenzione.
Ibrahim e gli altri ragazzi non più dietro le sbarre. Ibrahim aveva già scontato vari mesi. La colpa? Aver tagliato un ramo di un albero per scaldarsi. Lui è uno dei nove giovani liberati questo mese dalla Comunità di Sant'Egidio. Ogni settimana i membri dell'associazione distribuiscono sapone e cibo a Tcholliré e in altri dieci carceri del Camerun; tutti operano a titolo gratuito, un fatto che colpisce molto in una società in cui, invece, qualsiasi cosa ha un prezzo. Racconta Luc De Bolle: "Durante una di queste visite abbiamo conosciuto Ibrahim e gli altri ragazzi. Sono di famiglie povere, se non avessimo pagato la spesa accumulata (dai 25 ai 100 euro), sarebbero rimasti in carcere ancora per chissà quanto tempo. Ora li aiuteremo a trovare un lavoro e a reinserirsi nella società". Tra l'altro, proprio in questa occasione, la Comunità ha avviato un dialogo con il nuovo direttore del Tribunale regionale. L'obiettivo è considerare pene più miti per i reati legati all'estrema povertà.
Dietro le sbarre immigrati illegali ciadiani e profughi centrafricani. I nove ragazzi liberati erano tre camerunensi, due del Ciad e quattro del Centrafrica. Queste proporzioni fotografano bene la popolazione carceraria di Tcholliré. Ragazzi di strada i primi, immigrati senza documenti i ciadiani ("Si finisce in carcere per immigrazione clandestina" conferma De Bolle), profughi i centrafricani. La situazione di questi ultimi è la peggiore: vivono affamati in campi, da cui possono difficilmente uscire, spesso circondati dall'ostilità della popolazione locale. "Ibrahim e gli altri tre - continua il volontario di Sant'Egidio - volevano scaldarsi e vendere una parte dei legni per comprare da mangiare. Purtroppo sono stati fermati dalla gente inferocita e portati dal giudice". Secondo l'Ocha, l'ufficio umanitario delle Nazioni Unite, per la guerra scoppiata a fine 2013 tra milizie Seleka e Antibalaka, oggi sono 460mila i profughi centrafricani all'estero, aumentati di 100mila nell'ultimo anno. Anche all'interno del paese, metà della popolazione (2,7 milioni di centrafricani) vive in situazione di grave necessità.
Ragazzini di strada arrestati in via preventiva. Se i profughi centrafricani a Tcholliré sono in aumento, i detenuti più piccoli, ancora adolescenti, sono camerunensi. Ragazzi di strada, arrestati a scopo preventivo in un clima di repressione e paura per gli attentati di Boko Haram nel nord del paese. A fine luglio, una bambina di nove anni, imbottita di esplosivo, si è fatta saltare in aria in un affollato locale notturno a Maroua, provocando decine di morti e feriti. Anche ad agosto gli attentati sono continuati, con nuovi morti. "La gente deve sviluppare una cultura di vigilanza perché Boko Haram ha cambiato strategia", ha detto il ministro della Difesa Edgar Alain Mebe Ngo'o chiedendo di segnalare qualunque attività o persona sospetta. Nelle città sono scattate misure di sicurezza, dal coprifuoco al divieto per i mendicanti di entrare nei luoghi pubblici e di stare nelle strade a chiedere l'elemosina. Tutti gli autori degli ultimi attentati erano minorenni, la stessa bimba di nove anni era stata vestita da mendicante.
A Tcholliré gli adolescenti reclutati da Boko Haram. "A Tcholliré e nelle altre carceri - racconta De Bolle - incontriamo anche ragazzini arrestati per aver fatto parte di Boko Haram. Sono stati reclutati perché poveri: ragazzi di strada, oppure venduti dalle loro famiglie per pochi soldi". Gli adolescenti sono usati come spie, oppure vengono mandati nei campi di addestramento al confine con la Nigeria e dopo poche settimane sono pronti a combattere. Per giovani senza speranze, l'arruolamento con gli alleati africani dell'Isis appare un modo per costruirsi un futuro, spinti dal fascino per la violenza e per l'appartenenza a un gruppo. Quando sono arrestati, spesso solo perché potenzialmente arruolabili, la Comunità di Sant'Egidio li visita in carcere, ascolta le loro storie e ragiona con loro del reinserimento nella società al termine della detenzione. "Questo - conclude De Bolle - è il nostro modo di costruire la pace e di combattere il terrorismo".
giovedì 10 settembre 2015
INVIA IL NOSTRO APPELLO URGENTE PER RICHARD GLOSSIP!
L'esecuzione di Richard Glossip - sospesa a gennaio - è stata fissata nuovamente per il 16 settembre.
Pochi giorni per firmare l'Appello con cui chiediamo la sua salvezza.
A gennaio l'esecuzione di Glossip fu sospesa all'ultimo momento dalla Corte Suprema che decise di esaminare se la procedura usata per l'iniezione letale era costituzionale, dopo un'esecuzione finita tragicamente con enorme sofferenza del condannato.
La Corte Suprema, per 5 voti a 4, ha stabilito che la procedura utilizzata è costituzionale e lo Stato ha immediatamente fissato per il 16 settembre la data dell'esecuzione, che a questo punto difficilmente sarà nuovamente sospesa.
L'unica possibilità è che il governatore Fallin si convinca a sospendere l'esecuzione per dare agli avvocati più tempo per dimostrare l'innocenza di Richard.
Appello Urgente per la salvezza di RICHARD GLOSSIP, la sua esecuzione è fissata per il 29 gennaio in Oklahoma. Richard Glossip ha 51 anni, da 17 si trova nel braccio della morte.
La Comunità di Sant’Egidio invita tutti ad unirsi agli sforzi di coloro che chiedono l’immediata sospensione dell’esecuzione, attraverso l’invio al Governatore di uno specifico appello.
http://nodeathpenalty.santegidio.org/
Richard Glossip fu condannato a morte nel 1998 (17 anni fa) con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Barry Van Treese, il proprietario del motel che Richard gestiva, ucciso a colpi di bastone nel corso di un brutale agguato nel gennaio del 1977.
Richard, che non è stato condannato per aver materialmente commesso l’omicidio, si è sempre dichiarato innocente. Del resto le prove a suo carico erano assai scarse. L’unico ad accusarlo era un altro collega di lavoro, poi condannato all’ergastolo in quanto autore materiale dell’omicidio e reo confesso, il quale ha accusato Richard di avergli commissionato l’omicidio, molto probabilmente per evitare lui stesso la condanna a morte.
La condanna a morte è arrivata dopo due processi in cui l’accusatore ha cambiato più volte la propria versione dei fatti e la difesa si è dimostrata del tutto inefficace, anche perché Richard non poteva permettersi un’adeguata difesa legale in un processo così complesso.
Successivamente a Richard fu offerto di dichiararsi colpevole e patteggiare una condanna a 20 anni, ma lui rifiutò, continuandosi a dichiarare del tutto innocente.
Finora tutti gli appelli presentati dai suoi avvocati sono stati respinti e l’esecuzione sembra assai probabile, sebbene essa avvenga dopo quella di Clayton Lockett, che lo scorso 29 aprile è stato messo a morte dopo una dolorosa agonia durata quasi un’ora e causata dagli effetti di un nuovo cocktail di farmaci e dopo diversi tentativi infruttuosi da parte del personale medico di trovare la vena adatta per l’iniezione letale.
Recentemente è cresciuta la mobilitazione a livello americano ed internazionale, che ha come obiettivo convincere il Governatore dell’Oklahoma Mary Fallin, a sospendere l’esecuzione, in attesa che a Richard venga riconosciuta la possibilità di avere un nuovo processo.
Sr. Helen Prejean, celebre autore del libro “Dead Man Walking”, si è interessata al caso entrando in contatto con Glossip ed assicurandogli la propria vicinanza ed accettando di accompagnarlo fino all’esecuzione, nel caso in cui essa non dovesse essere sospesa.
Eventuali approfondimenti sul caso sono disponibili alla pagina www.richardeglossip.com
APPELLO PER SALVARE LA VITA DI RICHARD GLOSSIP
Pochi giorni per firmare l'Appello con cui chiediamo la sua salvezza.
A gennaio l'esecuzione di Glossip fu sospesa all'ultimo momento dalla Corte Suprema che decise di esaminare se la procedura usata per l'iniezione letale era costituzionale, dopo un'esecuzione finita tragicamente con enorme sofferenza del condannato.
La Corte Suprema, per 5 voti a 4, ha stabilito che la procedura utilizzata è costituzionale e lo Stato ha immediatamente fissato per il 16 settembre la data dell'esecuzione, che a questo punto difficilmente sarà nuovamente sospesa.
L'unica possibilità è che il governatore Fallin si convinca a sospendere l'esecuzione per dare agli avvocati più tempo per dimostrare l'innocenza di Richard.
Appello Urgente per la salvezza di RICHARD GLOSSIP, la sua esecuzione è fissata per il 29 gennaio in Oklahoma. Richard Glossip ha 51 anni, da 17 si trova nel braccio della morte.
La Comunità di Sant’Egidio invita tutti ad unirsi agli sforzi di coloro che chiedono l’immediata sospensione dell’esecuzione, attraverso l’invio al Governatore di uno specifico appello.
http://nodeathpenalty.santegidio.org/
Richard Glossip fu condannato a morte nel 1998 (17 anni fa) con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Barry Van Treese, il proprietario del motel che Richard gestiva, ucciso a colpi di bastone nel corso di un brutale agguato nel gennaio del 1977.
Richard, che non è stato condannato per aver materialmente commesso l’omicidio, si è sempre dichiarato innocente. Del resto le prove a suo carico erano assai scarse. L’unico ad accusarlo era un altro collega di lavoro, poi condannato all’ergastolo in quanto autore materiale dell’omicidio e reo confesso, il quale ha accusato Richard di avergli commissionato l’omicidio, molto probabilmente per evitare lui stesso la condanna a morte.
La condanna a morte è arrivata dopo due processi in cui l’accusatore ha cambiato più volte la propria versione dei fatti e la difesa si è dimostrata del tutto inefficace, anche perché Richard non poteva permettersi un’adeguata difesa legale in un processo così complesso.
Successivamente a Richard fu offerto di dichiararsi colpevole e patteggiare una condanna a 20 anni, ma lui rifiutò, continuandosi a dichiarare del tutto innocente.
Finora tutti gli appelli presentati dai suoi avvocati sono stati respinti e l’esecuzione sembra assai probabile, sebbene essa avvenga dopo quella di Clayton Lockett, che lo scorso 29 aprile è stato messo a morte dopo una dolorosa agonia durata quasi un’ora e causata dagli effetti di un nuovo cocktail di farmaci e dopo diversi tentativi infruttuosi da parte del personale medico di trovare la vena adatta per l’iniezione letale.
Recentemente è cresciuta la mobilitazione a livello americano ed internazionale, che ha come obiettivo convincere il Governatore dell’Oklahoma Mary Fallin, a sospendere l’esecuzione, in attesa che a Richard venga riconosciuta la possibilità di avere un nuovo processo.
Sr. Helen Prejean, celebre autore del libro “Dead Man Walking”, si è interessata al caso entrando in contatto con Glossip ed assicurandogli la propria vicinanza ed accettando di accompagnarlo fino all’esecuzione, nel caso in cui essa non dovesse essere sospesa.
Eventuali approfondimenti sul caso sono disponibili alla pagina www.richardeglossip.com
APPELLO PER SALVARE LA VITA DI RICHARD GLOSSIP
mercoledì 2 settembre 2015
In Missouri ieri la sesta esecuzione
Roderick Nunley ha trascorso 25 anni nel braccio morte.
Lo stato del Missouri ha messo fine ieri alla vita di Roderick Nunley tramite iniezione letale.
Nunley aveva trascorso 25 anni nel braccio della morte. Nunley, che aveva ammesso la propria colpevolezza, era stato condannato l'uccisione di una ragazza di 15 anni, nel 1989.
Salgono a sei le esecuzioni effettuate in Missouri quest'anno.
Non c'è giustizia senza vita.
La pena di morte infatti non restituisce mai la vita alle vittime.
Aggiunge, a freddo, una nuova morte a crimini già avvenuti, quando non si è più in grado di nuocere.
Lo stato del Missouri ha messo fine ieri alla vita di Roderick Nunley tramite iniezione letale.
Nunley aveva trascorso 25 anni nel braccio della morte. Nunley, che aveva ammesso la propria colpevolezza, era stato condannato l'uccisione di una ragazza di 15 anni, nel 1989.
Salgono a sei le esecuzioni effettuate in Missouri quest'anno.
Non c'è giustizia senza vita.
La pena di morte infatti non restituisce mai la vita alle vittime.
Aggiunge, a freddo, una nuova morte a crimini già avvenuti, quando non si è più in grado di nuocere.
martedì 1 settembre 2015
Creare una rete tra città e piccoli comuni per dire no alla pena di morte.
È l’iniziativa promossa dalla Comunità di Sant’Egidio e recepita anche dal Comune di Pozzilli.
“Città per la vita/Città contro la pena di morte”, questo il titolo della campagna, ha lo scopo di sensibilizzare la comunità al principio del rispetto della vita e della dignità dell’uomo in ogni parte del mondo, essendo la pena di morte ancora una pratica in vigore in diversi paesi.
Aderendo a questa rete, anche la comunità di Pozzilli intende affermare la sua posizione di ferma condanna della pena di morte, impegnandosi a sostenere la campagna abolizionista attiva in tutto il mondo.
Per dare maggiore risonanza alla cosa il comune, attraverso una delibera di Giunta, ha proceduto ad istituire una giornata cittadina “Città della vita” per il giorno 30 novembre. -
È l’iniziativa promossa dalla Comunità di Sant’Egidio e recepita anche dal Comune di Pozzilli.
“Città per la vita/Città contro la pena di morte”, questo il titolo della campagna, ha lo scopo di sensibilizzare la comunità al principio del rispetto della vita e della dignità dell’uomo in ogni parte del mondo, essendo la pena di morte ancora una pratica in vigore in diversi paesi.
Aderendo a questa rete, anche la comunità di Pozzilli intende affermare la sua posizione di ferma condanna della pena di morte, impegnandosi a sostenere la campagna abolizionista attiva in tutto il mondo.
Per dare maggiore risonanza alla cosa il comune, attraverso una delibera di Giunta, ha proceduto ad istituire una giornata cittadina “Città della vita” per il giorno 30 novembre. -
Burkina Faso, tra una settimana in parlamento la legge sull’abolizione della pena di morte
Speciale per Africa ExPress http://www.africa-express.info/
di Cornelia I. Toelgyes
29 agosto 2015
Ieri, 28 agosto, i deputati del Burkina Faso hanno avviato l’esame di una proposta di legge per l’abolizione della pena di morte. Nel Paese, uno dei più poveri del mondo, attualmente tredici persone si trovano nel braccio della morte in attesa dell’esecuzione della pena.
Promotore di questo disegno di legge è Cherif Sy, presidente del Consiglio nazionale di transizione (CNT), l’assemblea interinale che resterà in carica fino alle nuove elezioni che si terranno il prossimo ottobre. Il governo e il parlamento erano stati sciolti il 31 ottobre 2014, dopo la caduta di Blaise Campaoré. L’ex-presidente aveva chiesto un terzo mandato, una pretesa di fronte alla quale la società civile del Paese si era opposta (http://www.africa-express.info/2014/11/01/burkina-faso-campaore-dimissionato-ma-il-nuovo-leader-non-piace-alla-piazza/).
L’abolizione della pena di morte è fortemente sostenuta da varie organizzazioni della società civile, nonché dal foro degli avvocati burkinabè. Il governo di transizione ha già approvato il testo della norma, si attende ora che venga esaminato e discusso in parlamento.
Sy, mentre ha presentato il disegno di legge davanti ad una commissione parlamentare, ha esordito con queste parole: “Si può condannare qualcuno all’ergastolo, ma uccidere una persona tramite fucilazione, impiccagione o mozzandogli testa, avvilisce la società, certamente non esalta l’essere umano. Anche se la pena capitale è stata applicata solamente quattro volte da quando abbiamo ottenuto l’indipendenza, cinquantacinque anni fa, non ci ha fatto crescere né come nazione, né come persone”.
L’ultima esecuzione risale al 1988, eppure solo lo scorso luglio un militare è stato condannato a morte per aver ammazzato la sua ex-fidanzata.
Ora si attente il prossimo 6 settembre. Quel giorno saranno in tanti a osservare l’ex colonia francese Burkina il Faso, perché in parlamento si aprirà il dibattito sulla nuova legge, che prevede come pena massima l’ergastolo al posto della pena capitale.
“Il Burkina Faso ha un’occasione storica per riconoscere l’inviolabilità del diritto alla vita”, ha sottolineato il direttore regionale per l’Africa occidentale di Amnesty International, Alioune Tine, in un comunicato.
Nel corso degli ultimi vent’anni molti Stati africani hanno abolito la pena capitale. Il Burundi, il Gabon, la Costa d’Avorio, il Senegal, il Togo, le Isole Mauritius, il Ruanda e all’inizio di quest’anno si è aggiunto anche il Madagascar. Ora si attende che anche il Burkina Faso faccia la stessa scelta per poter essere inserito nell’elenco dei Paesi abolizionisti.
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