Dieci milioni di yen, poco più di 70 mila euro. È questa la somma stanziata quasi 10 anni fa per istituire un fondo che aiutasse i detenuti del braccio della morte nelle carceri giapponesi a pagarsi le spese necessarie per sostenere un nuovo processo. A nove anni dalla nascita, gli amministratori del Daidoji (questo il nome del fondo) hanno dichiarato che continueranno la loro attività oltre la scadenza prevista, anche se serviranno nuovi finanziamenti.
I GIAPPONESI PER LA PENA DI MORTE. Anche perché nell'impero del Sol levante le esecuzioni continuano. Anzi, si sono fatte sempre più frequenti dall'insediamento del governo di Shinzo Abe. Vero è che la pena capitale è fortemente appoggiata da una larga fetta di opinione pubblica.
Istituito nel 2005, il fondo nacque grazie alla donazione di Sachiko Daidoji, madre di un condannato e attivista per i diritti dei detenuti nel braccio della morte e scomparsa a 83 anni nel 2004.
Oltre a pagare le spese legali dei condannati che chiedono un nuovo processo, il Daidoji organizza mostre con i lavori dei detenuti per sensibilizzare contro la pena di morte.
SENSIBILIZZARE CON L'ARTE. L'ultima è stata allestita nella galleria Owada, nel centro culturale di Shibuya, a Tokyo. Qui sono esposte le opere collezionate in nove anni di attività. «Quando abbiamo istituito il fondo», ha spiegato Masakuni Ota, uno degli amministratori, «speravamo che la pena di morte sarebbe stata abolita nell'arco di 10 anni. Ma al momento, non vediamo segnali in questo senso e, anzi, è diventato ancora più importante per i condannati mostrarci i loro lavori».
Per i detenuti con condanna confermata, ai quali non viene comunicata la data dell'esecuzione, l'arte e la letteratura costituiscono uno dei pochi modi per esprimere la propria creatività o i propri desideri in uno stato di totale reclusione. Lo dimostra il numero di opere raccolte dal fondo Daidoji. Un segno, secondo Ota, «di quanto i detenuti, attraverso i loro lavori, cerchino disperatamente un contatto con la società al di fuori del carcere, un dialogo con gli altri».
DODICI ESECUZIONI NELL'ERA ABE. Mentre in patria la pena di morte è accettata, dall'esterno arrivano pressioni sempre più pesanti per la sua abolizione. Solo il 29 agosto, l'ex ministro della giustizia Sadakazu Tanigaki ha autorizzato l'impiccagione di Mitsuhiro Kobayashi e Tsutomu Takamizawa, entrambi condannati per omicidio plurimo. Sono state rispettivamente l'11esima e la 12esima esecuzione da dicembre 2012, data dall'insediamento del governo Abe. Tanigaki ha definito la scelta «difficile», ma «doverosa», vista l'efferatezza dei crimini dei condannati. Inoltre, in risposta alle critiche delle ong internazionali, il ministro ha affermato che in Giappone c'è un diffuso consenso sull'utilità della pena di morte.
IN CARCERE 126 CONDANNATI. Al momento sono 126 i detenuti in attesa di esecuzione, 85 dei quali hanno fatto ricorso contro la condanna e 25 hanno presentato richiesta di amnistia. Alcune organizzazioni non governative come il Japan Innnocence and Death Penalty Information Center criticano l'intero sistema giuridico che fa troppo affidamento sulle confessioni - spesso estorte con la violenza - dei sospetti. Come nel caso di Iwao Hakamada, un ex pugile detenuto per 45 anni nel braccio della morte, condannato a causa di prove forse fabbricate ad hoc.
La richiesta di un nuovo processo è stata accolta ed ora è fuori, in attesa di una nuova sentenza.
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