sabato 14 giugno 2014

Dalla Comunità di Sant’Egidio al carcere della Florida. Giusi Branca e le lettere ai condannati

Giusi, l’italiana che aiuta i condannati a morte della Florida

http://bigbrowser.blog.lemonde.fr/

Il destino dei prigionieri, molti dei quali hanno passato più di 25 anni nel Braccio della morte. Le Monde: «La pagina più deprimente del social network»
di Francesco Tortora

Autorevoli media internazionali come Le Monde l’hanno definita la «pagina più deprimente di Facebook» perché raccoglie i volti e le angoscianti storie dei prigionieri del “UCI and FSP Death Row”, il Braccio della morte del penitenziario di Raiford in Florida. I post e le immagini raccontano il destino dei prigionieri, molti dei quali hanno passato più di 25 anni nel Braccio della morte e sono stati giustiziati in età anziana per i crimini commessi anni prima. A gestire la pagina Facebook è Giusi Branca, quarantottenne italiana che da anni lotta contro la pena di morte e che spende gran parte della sua giornata ad aiutare i parenti dei prigionieri ad avere contatti con questi ultimi e a rendere la loro vita meno deprimente.

Ritmo delle esecuzioni

Lo scopo iniziale della pagina del social network era quello di dare notizie pratiche ai parenti dei condannati (ad esempio come raggiungere la prigione, come ottenere un colloquio, a che ora incontrare i condannati, la posizione delle stazioni di rifornimento vicino al carcere). Peccato che negli ultimi anni queste necessarie informazioni siano state surclassate dalle notizie sempre più periodiche di nuove condanne a morte. Da quando si è insediato in Florida il governatore repubblicano Rick Scott le esecuzioni sono aumentate velocemente. Solo nell’ultimo anno ben 12 persone sono state giustiziate nel penitenziario (un vero e proprio record per un carcere della Florida) e nel prossimo mese altri due prigionieri saliranno al patibolo. Il governatore che a novembre punta alla rielezione ha fatto approvare recentemente il Timely Justice Act, norma che accelera i tempi delle esecuzione dei condannati di lungo periodo e così intende conquistarsi i favori degli elettori più conservatori. L’elenco dei Dead Men Walking è destinato ad aumentare finché il governatore rimarrà in carica.

http://www.santegidio.org/scrivere a un condannato


Dalla Comunità di Sant’Egidio al carcere della Florida
- Giusi Branca, nata in Australia da genitori italiani in servizio all’estero, oggi vive in Olanda e passa diversi mesi della sua vita in Florida. Tuttavia dichiara a Corriere.it che l’Italia è l’unico paese in cui si sente a casa e di cui ha profonda nostalgia: “Per l’umanità e la civiltà – spiega la quarantottenne - che rimane per me unica al mondo” Anni fa - racconta - mentre lavoravo in un istituto di lingue cominciai ad interessarmi ai diritti umani e mi associai ad alcuni gruppi umanitari, tra cui la Comunità di Sant’Egidio, iniziando ad aiutare a tradurre le lettere dei detenuti del Braccio della morte. Guardando casualmente un sito dedicato ai condannati alla pena capitale riconobbi il nome di un antico conoscente. Con molta esitazione gli scrisse e dopo diverse settimane ricevetti una risposta del tutto inaspettata. Da allora con lui ho continuato ad avere un’intensa attività epistolare e quando sono in Florida vado a trovarlo nel penitenziario” (l’uomo è stato condannato a morte per omicidio ed è rinchiuso in carcere da 25 anni ndr).



Sfida psicologica
Più di 360 uomini vivono nel Braccio della Morte del penitenziario, ma meno del 10% riceve visite. Come raccontano i parenti e i conoscenti dei condannati sulla pagina Facebook riuscire a ottenere un colloquio è davvero difficile, soprattutto per quelli che non capiscono il complicato sistema e come funzionano in generale le prigioni americane. Le visite sono una dura sfida psicologica visto che gli incontri avvengono in orari assurdi e limitati e in una piccola sala dove i condannati hanno più o meno sei ore a disposizione con i loro cari una volta a settimana. Ai prigionieri è permesso al massimo un abbraccio con i conoscenti all’inizio e alla fine della visita e durante il resto del colloquio bisogna rimanere inchiodati su sgabelli d’acciaio molto scomodi: “Ho conosciuto personalmente almeno 20 condannati del Braccio della morte – racconta la Branca – e il mio rapporto con loro è sempre stato molto buono. Molti tra loro, purtroppo, sono morti con il passare degli anni di malattie terminali o uccisi dal boia; ultimamente ho assistito l’amica di un prigioniero giustiziato che conoscevo da più di 9 anni. Momenti difficilissimi in cui qualsiasi consolazione davanti a questo atto crudele è del tutto inesistente. Purtroppo non tutti i condannati sanno dell’esistenza della pagina Facebook. I detenuti non hanno accesso a internet, quindi se conoscono il mio lavoro è grazie alle informazioni girate dalle loro famiglie. Tuttavia cerchiamo di coinvolgere i detenuti attraverso svariate iniziative, principalmente artistiche. Tramite un’organizzazione che si chiama FDRAG (Florida death row Advocacy Group) abbiamo promosso l’esposizione di dipinti dei detenuti e stampato un giornalino che è inviato a tutti coloro che lo richiedono”.

Lo stato delle celle e e le condizioni dei detenuti
La pagina Facebook, ideata dalla Branca, aiuta principalmente i visitatori che vengono da lontano. I consigli offerti sul web rendono più facile il viaggio e la sosta in questa cittadina della Florida che è davvero difficile da raggiungere. Inoltre i parenti dei condannati sono aggiornati sullo stato degli appelli e delle manifestazioni contro la pena di morte organizzate dalle associazioni umanitarie: “Le condizioni delle prigioni sono orrende – continua la Branca – I detenuti restano chiusi in cella 24 ore su 24. Il cibo è pessimo e i menù non cambiano mai. Immaginate di dover mangiare burro di noccioline, sarde in acqua e cavolo tutti i giorni. Inoltre i prigionieri, a parte dipingere, non hanno la possibilità di fare nulla in cella. Vivono in luoghi vecchi e infestati da insetti, per lo più scarafaggi e formiche. Il caldo soffocante d’estate e il freddo d’inverno rendono le giornate interminabili. Inoltre c’è sempre il terrore che arrivi la notizia che il giorno della propria esecuzione è stato deciso ed è imminente. I condannati spesso soffrono di malattie degenerative, la loro salute mentale deteriora a poco a poco, molti perdono l’equilibrio mentale e ogni cognizione del tempo senza aver avuto alcun supporto psicologico prima di affrontare il boia.
Social media
Secondo la Branca i social media possono svolgere un’importante battaglia a sostegno dell’abolizione della pena di morte: “I Social Media hanno profondamente modificato il paradigma comunicativo e si sono rivelati un potentissimo mezzo di interazione, socializzazione, organizzazione in ambito politico – spiega la quarantottenne - Penso che questi nuovi canali siano riusciti a bypassare il monopolio delle informazioni, permettendo una diffusione di notizie, immagini, opinioni che presentano un quadro ben diverso da quello pubblicato dallo stato o dal procuratore. I social permettono di trasmettere l’idea che questi uomini, sebbene abbiano commesso atti terribili, restano esseri umani e che la pena di morte è il modo più barbaro per punire i loro errori.

Messaggi sanguinari
Nonostante le terribili condizioni del carcere raccontate sulla pagina Facebook e le innumerevoli suppliche presentate affinché si abbia maggiore compassione verso i detenuti, sono tanti gli utenti che scrivono in bacheca messaggi sanguinari contro i condannati a morte: “E’ gente – taglia corto Giusi Branca – che chiaramente non sa nulla del sistema giudiziario americano o della situazione di esasperazione in cui si trovano il 70% dei prigionieri con avvocati inesperti e disinteressati”. La quarantottenne non demorde e ogni giorno continua a dare informazioni e a diffondere speranza. Troppo spesso, però, si trova a passare ore a moderare e cancellare messaggi pieni di violenza e di odio contro i prigionieri: “La maggiore difficoltà è indubbiamente riuscire a selezionare le informazioni da dare. Bisogna cercare di non offendere i parenti delle vittime ma anche rispettare la privacy delle famiglie e degli amici dei detenuti. La nostra politica è quella di tutelare sia i parenti delle vittime sia quelli dei condannati – spiega l’italiana – Tuttavia la mancanza di pietà in alcuni messaggi lascia davvero esterrefatti”.

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